CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 ottobre 2020, n. 22851
Tributi – Accertamento – Fattura ritenuta relativa ad operazione inesistente – Prove indiziarie – Profilo del fornitore – Qualificazione di “cartiera”
Rilevato che
con la sentenza impugnata è stata confermata la pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Udine con la quale era stata rigettata la domanda proposta dalla ricorrente indicata in epigrafe, volta alla declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento (n. 830030100076) per l’anno di imposta 2003 – fondato su fattura ritenuta relativa ad operazione (di acquisto di materiale ferroso dalla F.T.A.) inesistente – di maggiore imposta IRPEG (per € 73.259,00), IRAP (per € 9.157,00) ed IVA (per € 43.094,00), oltre sanzioni (per € 109.888,50);
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società, affidato a tre motivi;
l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo, l’Impresa T. S.p.A. – denunciando insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – si duole che il giudice del gravame abbia desunto la totale inesistenza dell’operazione fatturata dai (ritenuti) connotati di “cartiera” della società F.T.A., senza tuttavia considerare che: a) dal bilancio del 2003 la predetta società aveva generato ricavi di vendita e prestazioni per oltre 3 milioni di euro e sopportato costi per materie prime di circa 3 milioni e trecento euro; b) il maggior trasporto di materiale (ammontante a kg 433.280 di ferro tondo e rete elettrosaldata) nel cantiere era stato effettuato dalla Autotrasporti B.E., sicché non poteva avere rilievo decisivo il fatto che la ditta P.T., altresì incaricata di eseguire parte del trasporto del materiale, avrebbe negato di conoscere la F.T.A.; c) i pagamenti erano avvenuti con bonifico e non risultava alcuna forma di retrocessione del denaro.
2. Con il secondo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 4 bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice del gravame abbia affermato l’indeducibilità del costo, benché risultasse agli atti l’archiviazione della notizia di reato a carico dell’amministratore della T. per infondatezza della stessa, non essendo, peraltro, la mancanza di inerenza mai stata contestata.
3. Con il terzo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su fatto decisivo della controversia – si duole che la CTR abbia rigettato anche la richiesta di disapplicazione delle sanzioni, omettendo di considerare che la società aveva affidato alla C.E.I.S. s.r.l. l’incarico di controllo, gestione e verifica della commessa, nonché conferito al sig. S.A. procura speciale avente ad oggetto la gestione ordinaria, in nome e per conto proprio, del contratto di appalto, sicché non era ipotizzabile alcuna “culpa in vigilando”, con la ulteriore conseguenza che il deficit motivazionale si era tradotto in una violazione di legge, essendo stato applicato il trattamento sanzionatorio a titolo di responsabilità oggettiva.
4. Il primo motivo è, per un verso, inammissibile, poiché con esso si tende, in buona sostanza, al conseguimento di una revisione del giudizio valutativo compiuto dal giudice di merito, in contrasto con i noti limiti del giudizio di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. 7/01/2014, n. 91: «Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, né porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito»; cfr., altresì, Cass. 24/05/2018, n. 12967: «Risulta integrato il vizio di omessa o insufficiente motivazione, di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, quando, dal compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione o sia evincibile un’obiettiva carenza dell’iter” logicoargomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata, mentre, a sua volta, il vizio di contraddittorietà si rende ravvisabile solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” posta a fondamento della decisione adottata». V., ancora, Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148, ove è precisato che la motivazione omessa o insufficiente non è configurabile quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione).
4.1. Il predetto motivo è, per altro verso, infondato, poiché, nel caso, il giudice di merito, nel pervenire alle criticate conclusioni, ha valorizzato, quali elementi probatori indiziari, attestanti la insussistenza dell’operazione, il fatto che: a) la F.T.A., costituita solo nel maggio del 2003 – la cui sede nel centro storico di Reggio Emilia altro non era se non un recapito di corrispondenza – si era sostanziata esclusivamente nella attività riconducibile al sig. V., il quale, senza avvalersi di alcun dipendente, aveva gestito oltre 35 rapporti di conto corrente bancari, effettuato operazioni finanziarie per svariati milioni di euro, emesso più di 570 fatture di vendita, sviluppato fra tutte le attività a lui riconducibili un volume di affari pari ad oltre € 21.700.000 determinati solo da fatture rinvenute a mezzo di questionari, prelevato contanti dai conti societari per oltre 15 milioni di euro, interagito in tutte le società che aveva rappresentato traslando interi capitali da un conto all’altro sino a depauperare ogni singolo deposito bancario; inoltre, non era stata trovata traccia alcuna dell’acquisto del materiale ferroso poi ceduto e l’amministratore, alla data del 2005, era un soggetto irreperibile; b) nella fattura era riportato che una parte del trasporto sarebbe stata fatta dalla ditta P.T. (per un imponibile di € 79.274 oltre IVA); ma la ditta, contattata, aveva negato la effettività dell’operazione di trasporto e aveva affermato di non conoscere né la F.T.A. né la T.; c) il geometra S., responsabile del cantiere per conto della T., aveva dichiarato di non conoscere la F.T.A., ma di avere effettuato l’ordine attraverso un intermediario/agente di commercio; d) dei presunti 505 Kg, solo 14.256 erano stati utilizzati presso il cantiere; e) la F.T.A. non aveva mai versato l’IVA e non aveva presentato negli anni successivi alcuna dichiarazione annuale.
4.2. In buona sostanza, non si rinvengono incoerenze ed incongruenze logiche nel percorso argomentativo svolto dal giudice di merito che ha correttamente considerato una serie di convergenti elementi prima in una valutazione atomistica, poi, di sintesi, per desumerne la inesistente compravendita di merce, ritenendo non plausibile che la quantità, peraltro assai esigua (rispetto a quella oggetto di fatturazione), di materiale rinvenuto sul cantiere potesse essere stata ceduta dalla F.T.A., in concreto non operativa.
5. Il secondo motivo è infondato, poiché l’art. 14, comma 4 bis, l. n. 537 del 1993 (nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), consente, a determinate condizioni, la deducibilità dei costi documentati con fatture che riferiscono l’operazione a soggetto diverso da quello effettivo (cd. operazioni “soggettivamente inesistenti”), mentre, nel caso in esame, viene contestata la inesistenza oggettiva del costo, per definizione indeducibile ex art. 109 TUIR (cfr., tra le altre, Cass. 20/04/2016, n. 7896, in motivazione; cfr., inoltre, circolare n. 32/2012 dell’Agenzia delle Entrate, ove è precisato che l’indeducibilità dei costi esposti in fatture oggettivamente inesistenti discende direttamente dall’ordinaria applicazione delle regole di determinazione del reddito, indipendentemente dalla configurazione di un illecito penale).
6. Il terzo motivo è infondato, giacché la motivazione della CTR, anche in tal caso priva di incongruenze, è imperniata sul mancato doveroso controllo della società sulla gestione dell’appalto da parte del sig. S., nonché sulla idoneità di una semplice verifica sui SAL ad evidenziare la falsità della fatturazione; sicché è rimasta non dimostrata l’assenza di colpa in capo alla società stessa (su cui grava il relativo onere; cfr., tra le altre, Cass. 15/05/2019, n. 12901, che, nel ritenere addebitabili al contribuente per “culpa in vigilando” le operazioni di “compliance” tributaria affidate a professionista rimasto inadempiente, ha affermato che «In tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza»; cfr., in senso analogo, Cass. 17/03/2017, n. 6930: «In tema di sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, la prova dell’assenza di colpa grave-, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, grava sul contribuente, il quale, dunque, risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica ove non dimostri di aver vigilato su quest’ultimo»; v., ancora, Cass. 14/09/2016, n. 18118: «In tema d’IVA, l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo»).
7. Al rigetto del ricorso segue il pagamento delle spese di lite, determinate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la società al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in € 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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