CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 ottobre 2020, n. 22855
Professionisti – Responsabilità professionale – Commercialista – Non corretta tenuta della contabilità del cliente – Accertamento di maggiori imposte e sanzioni – Risarcimento – Legittimità
Fatti di causa
P.S. S.r.l. ha agito in giudizio nei confronti del commercialista A.P. per ottenere il risarcimento dei danni che assume di avere subito in conseguenza del negligente svolgimento della prestazione professionale da questi dovuta (avente ad oggetto la tenuta della contabilità sociale, nonché la redazione di bilanci e dichiarazioni dei redditi della società). Il convenuto ha chiamato in garanzia la propria compagnia di assicurazioni, I.A. S.p.A. (cui è oggi subentrata G.I. S.p.A.). La domanda della P.S. S.r.l. è stata rigettata dal Tribunale di Roma.
La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, l’ha invece parzialmente accolta, condannando il P. al pagamento dell’importo di € 22.994,50, oltre accessori, in favore della società attrice, ed I.A. S.p.A. a tenerlo indenne di quanto pagato in dipendenza della decisione stessa. Ricorre la P.S. S.r.l., sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso il P.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altra intimata.
La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Sull’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alla mancata liquidazione delle somme spese per maggiori imposte a seguito della mancata deducibilità di spese e preammortamenti e per sanzioni. In relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.».
Il motivo è fondato.
La corte di appello ha ritenuto che le sentenze delle commissioni tributarie aventi ad oggetto l’accertamento fiscale operato nei confronti della società ricorrente, regolarmente prodotte in giudizio da quest’ultima, costituissero sufficiente prova dell’inadempimento del commercialista controricorrente alla prestazione professionale dovuta, in quanto da esse emergevano «le carenze nella contabilità della società appellante, che inducono a ritenere che la stessa non sia stata correttamente tenuta dal P., con conseguente sua responsabilità professionale».
La questione della sussistenza della responsabilità professionale del P. non è peraltro più in discussione nella presente sede, in cui si controverte esclusivamente dell’importo del risarcimento dallo stesso dovuto.
Alla società committente è stato riconosciuto, a titolo di risarcimento del danno subito, esclusivamente l’importo delle sanzioni conseguenti all’accertamento fiscale, il cui ammontare viene nella sentenza impugnata indicato in € 22.994,50, non quello dovuto a titolo di tributi, in quanto quest’ultimo «sarebbe stato comunque a carico della società» (né quello dovuto per interessi, in ordine ai quali peraltro non risultano avanzate specifiche censure nel ricorso).
La società aveva peraltro specificamente dedotto – nell’impugnare la decisione di primo grado con cui era stata integralmente rigettata la sua domanda – che la responsabilità del professionista convenuto, consistente nella non corretta tenuta della contabilità sociale, aveva determinato non solo le sanzioni, ma anche la necessità di pagare le maggiori imposte contestate. Ciò in quanto il maggior importo richiesto a tale titolo dal fisco era dovuto proprio alla non corretta tenuta della suddetta contabilità.
In particolare (come chiaramente precisato nei motivi di appello, adeguatamente e puntualmente richiamati nel ricorso) aveva dedotto, da una parte, che il P. non l’aveva informata della necessità di procurarsi e allegare documentazione più dettagliata e specifica ai fini della deducibilità dei costi di propaganda e rappresentanza e, dall’altra parte, che la deducibilità degli ammortamenti anticipati era stata esclusa in sede tributaria solo per la mancata corretta redazione del quadro EC della dichiarazione dei redditi, redazione che rientrava tra gli obblighi professionali del commercialista stesso.
Aveva inoltre dedotto e documentato di avere pagato a titolo di sanzioni l’importo di € 62.213,00 (oltre € 2.897,69 per compensi di riscossione), non quello di € 22.994,50 (tale ultima somma, per quanto emerge dalle difese delle parti, sembra corrispondere in realtà alla misura del 25% delle sanzioni originariamente richieste con l’avviso di accertamento, pari ad € 91.978,00, e cioè all’importo che poteva essere pagato immediatamente in misura ridotta, facoltà di cui però la società pacificamente non si è avvalsa).
I fatti appena indicati, certamente decisivi ai fini dell’esito del giudizio in relazione all’importo dovuto a titolo di risarcimento dal P., e altrettanto certamente oggetto di discussione tra le parti (come emerge dagli atti), non risultano in alcun modo presi in esame dalla corte di appello, la quale si è limitata ad affermare, in modo del tutto generico, che poteva riconoscersi alla società, a titolo di risarcimento, esclusivamente l’importo relativo alle sanzioni, indicando tale importo in € 22.994,50 (sebbene sia pacifico che la somma di fatto pagata a tale titolo fosse quella notevolmente superiore sopra indicata), sull’assunto che i tributi sarebbero stati in ogni caso a suo carico.
La decisione va pertanto cassata, in accoglimento delle censure di cui al motivo di ricorso in esame.
La corte di appello, in sede di rinvio, dovrà provvedere a valutare nuovamente la fattispecie, sotto il profilo della determinazione del danno subito dalla società per l’inadempimento del P. alle sue obbligazioni professionali, prendendo in esame le indicate circostanze di fatto.
Dovrà quindi essere nuovamente valutato il nesso di causalità giuridica tra l’inadempimento del P. ai suoi obblighi professionali e gli importi in concreto pagati dalla società committente in seguito all’accertamento fiscale per cui è causa, al fine di accertare, in particolare, se sia o meno imputabile al professionista, quale inesatto adempimento della prestazione professionale dovuta, la mancata indicazione alla società dei caratteri che doveva avere la documentazione da allegare alle dichiarazioni fiscali ai fini della deducibilità dei costi di pubblicità, propaganda e rappresentanza, nonché se gli sia altresì imputabile la mancata corretta redazione del quadro EC della dichiarazione dei redditi, che ha determinato l’impossibilità di dedurre gli ammortamenti anticipati.
Dovrà, del pari, essere nuovamente valutata anche la questione relativa all’importo delle sanzioni pagate dalla società e in concreto addebitabili al P. a titolo risarcitorio, tenuto conto dell’effettivo esborso effettuato a tale titolo dalla società e della eventuale possibilità ed esigibilità di un pagamento in misura ridotta (e ciò eventualmente anche ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c., naturalmente sulla base delle sole allegazioni ed eccezioni regolarmente e tempestivamente proposte in proposito dalle parti).
2. Con il secondo motivo si denunzia «Sulla violazione dell’art. 167 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 115 c.p.c. in relazione alla mancata liquidazione delle somme spese per la mancata riconsegna della contabilità in formato elettronico con i dati occorrenti per la produzione degli elenchi clienti e fornitori, per somme non contestate dal convenuto. In relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.».
Con il terzo motivo si denunzia «Sull’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alla fattura dello studio R. per euro 838,40. In relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.».
Il secondo ed il terzo motivo del ricorso – entrambi relativi ai costi che la società ricorrente assume di aver sostenuto per operare nuovamente la digitalizzazione dei propri dati contabili, non riconsegnati in formato elettronico dal P. – sono connessi e possono pertanto essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati.
2.1 Va in primo luogo disattesa la dedotta violazione del principio di non contestazione, con riguardo ai pretesi maggiori costi sostenuti dalla società per le prestazioni che sarebbero state richieste ai propri dipendenti per la nuova digitalizzazione dei dati contabili.
In proposito deve in primo luogo ravvisarsi un profilo di inammissibilità della censura, in quanto il richiamo al contenuto della comparsa di costituzione del P. in primo grado, nel ricorso limitato a poche righe della stessa, non appare sufficientemente specifico, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e non consente pertanto a questa Corte di valutare compiutamente il merito delle critiche mosse alla decisione (non essendo possibile verificare l’esatta portata delle complessive contestazioni del convenuto, in relazione alle allegazioni dell’attrice).
Per quanto emerge dagli atti, comunque, è da ritenere che il convenuto aveva contestato il fondamento della domanda, non solo con riguardo al proprio inadempimento professionale ma anche con riguardo alla prova dei pretesi danni derivanti dalla mancata consegna della documentazione contabile in formato digitale. È quindi da escludere che si potesse ritenere operante il principio di non contestazione con riguardo agli importi che la società aveva allegato di avere dovuto sborsare a tal fine.
Avendo radicalmente contestato, oltre che il proprio inadempimento, anche la sussistenza di idonea prova degli esborsi effettuati dalla società, che secondo quest’ultima integravano il conseguente danno, il convenuto non aveva certo l’onere di contestare specificamente anche il quantum degli importi che la società attrice aveva allegato di aver pagato per la digitalizzazione della documentazione riconsegnata solo in formato cartaceo. Correttamente, quindi la corte di appello ha ritenuto gravare sull’attrice l’ordinario onere probatorio relativo al quantum dei danni allegati, onere non correttamente adempiuto secondo l’insindacabile valutazione delle prove dalla stessa corte operata in proposito.
2.2 Va altresì esclusa la sussistenza del dedotto omesso esame di un fatto decisivo e controverso, con riguardo alla fattura emessa da altro professionista per le sue prestazioni, in relazione alla medesima voce di danno.
Il documento prodotto è stato infatti preso espressamente in considerazione dalla corte di appello, ma la prova documentale dell’esborso finalizzato all’elisione del danno è stata valutata come insufficiente.
Non si tratta quindi di omesso esame di un fatto decisivo e controverso, ma di insindacabile valutazione di un documento probatorio dai giudici del merito.
3. È accolto il primo motivo di ricorso, rigettati gli altri.
La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
– Accoglie il primo motivo del ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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