CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 ottobre 2021, n. 29036
Tributi – Istanza di adesione al Pvc della G.d.F. – Impugnazione dell’atto di definizione – Esclusione
Rilevato che
dall’esposizione in fatto della sentenza censurata si evince che: l’Agenzia delle entrate, constatata l’omessa presentazione da parte di Immobiliare M. s.r.l. della dichiarazione Mod. Unico 2010, aveva proceduto a verifica fiscale redigendo il processo verbale di constatazione con il quale erano stati accertati ricavi contabilizzati e non dichiarati; la società, avvalendosi della previsione di cui all’art. 5-bis, d.lgs. n. 218/1997, aveva presentato istanza di adesione al verbale di constatazione e, di conseguenza, l’amministrazione finanziaria aveva emesso l’atto di definizione per il recupero delle imposte e delle sanzioni sulla base del processo verbale di constatazione cui la società aveva aderito; la società, tuttavia, aveva proposto ricorso avverso l’atto di definizione, evidenziando che, se, da un lato, era stata effettivamente omessa la presentazione della dichiarazione, tuttavia le imposte erano state regolarmente versate, tenuto conto dei costi sostenuti; la Commissione tributaria provinciale, ritenuto ammissibile il ricorso, lo aveva accolto, considerato che non erano emerse irregolarità e che i verificatori non avevano tenuto conto dei costi sostenuti; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’atto di definizione era impugnabile; lo stesso era illegittimo, in quanto non erano stati considerati i costi che erano stati indicati dal contribuente nel processo verbale di constatazione, come riconosciuto dalla G.d.F. nella nota del 13 novembre 2012;
l’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato ad un unico motivo di censura, cui ha resistito la controricorrente depositando controricorso, illustrato con successiva memoria;
Considerato che
con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 5bis e dell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 218/1997, nonché per falsa applicazione dell’art. 19, d.lgs. n. 546/1992, per avere erroneamente ritenuto che la società era legittimata ad impugnare l’atto di definizione, nonostante il fatto che l’amministrazione finanziaria aveva liquidato le imposte dovute tenuto conto dei rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione, nei confronti del quale, pertanto, non potevano essere mosse contestazioni nel merito;
sotto tale profilo, deduce che nel verbale di constatazione non erano stati accertati costi, come invece ritenuto dal giudice del gravame, posto che nessun accertamento ad essi relativo era stato compiuto;
il motivo è fondato;
in termini generali va osservato che, ai sensi dell’art. 5-bis, d.lgs. n. 218/1997 (nel testo ratione temporis applicabile): «1.II contribuente può prestare adesione anche ai verbali di constatazione in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto redatti ai sensi dell’articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, che consentano l’emissione di accertamenti parziali previsti dall’articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall’articolo 54, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. 2. L’adesione di cui al comma 1 può avere ad oggetto esclusivamente il contenuto integrale del verbale di constatazione (…)»;
va quindi precisato che l’adesione ai processi verbali di constatazione ha la finalità di evitare qualsiasi forma di contraddittorio in quanto il contribuente, esercitando la facoltà allo stesso riconosciuta, aderisce all’integrale contenuto del processo verbale relativamente ai rilievi in tema di imposte sui redditi ed Iva, definendo la propria posizione prima ancora dell’emissione dell’atto di accertamento, con il vantaggio che, a fronte della mancata instaurazione di un vero e proprio contraddittorio con l’Ufficio, nonché della mancata emissione di un avviso di accertamento, le sanzioni previste per la procedura ordinaria di accertamento vengono ridotte;
in questo ambito, va osservato che il legislatore ha precisato, come visto, che l’adesione del contribuente riguarda il processo verbale di constatazione che consenta l’emissione di accertamenti parziali previsti dall’articolo 41bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall’articolo 54, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
dunque, è il riferimento ai presupposti per l’accertamento parziale che connota la particolare procedura deflattiva in esame; tenuto conto, quindi, della natura dell’accertamento parziale, va precisato che lo stesso è connotato dalla contestazione di un maggior debito di imposta, senza che emerga alcuna attività di tipo valutativo da parte dell’amministrazione finanziaria, profilo che, invece, attiene all’atto di accertamento ordinario;
corollario di tale considerazione è il fatto che è escluso dalla procedura di adesione tutto ciò che, pur inserito all’interno del processo verbale, non ha alcuna attinenza con quanto può formare oggetto di immediata adesione, sicchè non possono essere fatte oggetto di adesione tutte quelle indicazioni che, se pur inserite nel processo verbale di constatazione, necessitano di una ulteriore attività istruttoria da parte dell’Ufficio;
sotto tale profilo, l’eventuale evidenziazione di costi, pur se risultanti dal processo verbale di constatazione, invero, implica necessariamente una eventuale attività di accertamento in ordine alla loro esistenza ed inerenza, dunque una attività valutativa che fuoriesce dall’ambito proprio dell’istituto in esame, caratterizzato,
come detto, dalla sola contestazione delle violazioni sostanziali riscontrate;
in questo senso, l’amministrazione finanziaria può procedere direttamente all’accertamento parziale, come richiesto dall’art. 5bis, cit., solo qualora dalle attività istruttorie suindicate emerga incontestabilmente una maggiore materia imponibile, senza controllare integralmente l’intera posizione fiscale del contribuente e, dunque, verificare se, eventuali costi indicati, siano effettivi ed inerenti: la rado dell’accertamento parziale, invero, si rinviene nella esigenza di consentire l’imposizione di una capacità contributiva che emerga ictu oculi;
ciò comporta, in definitiva, che, qualora il processo verbale di constatazione presenti contenuti eterogenei, indicando sia contestazioni di carattere sostanziale che eventuali profili che attengono ad una eventuale, possibile attività istruttoria di accertamento, l’adesione del contribuente all’integrale contenuto del verbale va riferita solo alla parte che può dare luogo ad un accertamento parziale e, dunque, alla richiesta di una maggiore imposta;
tali considerazioni hanno effetti anche sotto il profilo della ammissibilità dell’impugnazione avverso l’atto di definizione conseguente all’adozione del processo verbale di constatazione;
l’adesione al processo verbale di constatazione, invero, comporta una condivisione dei contenuti del verbale e, dunque, della pretesa erariale, ed è per tale ragione che, in tal caso, l’amministrazione finanziaria non può procedere alla formale notifica di un successivo atto impositivo;
di recente, questa Corte (Cass. civ., 21 febbraio 2020, n. 4566) ha riconosciuto al contribuente la possibilità di impugnare l’atto di definizione per far valere la non corrispondenza tra gli importi in esso esposti e quelli dovuti per effetto dell’adesione prestata al processo verbale di constatazione, ragionando sul fatto che una diversa interpretazione che precludesse ogni tipo di sindacato, anche quando l’Ufficio formalizzi un atto di definizione contenente contestazioni manifestamente erronee, si tradurrebbe in una limitazione dei diritti del contribuente sanciti dall’art. 24 Cost.;
ed è stato altresì affermato, in ripetute pronunce, il principio secondo il quale «la lettura del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 si deve interpretare estensivamente identificando tra gli atti impugnabili tutti quelli che, a prescindere dal loro nome, avanzino una pretesa tributaria nei confronti del contribuente» (Cass. civ., n. 8663/2011, 15946/2010, 1473/2010, 17202/2009);
tuttavia, vanno evidenziati i limiti entro cui può essere fatta valere l’impugnabilità dell’atto di definizione che muovono, in sostanza, dal fatto che l’impugnazione può essere fatta valere solo nel caso in cui non vi sia corrispondenza tra la maggiore imposta dovuta, secondo quanto emerge nel processo verbale di constatazione, e l’importo indicato nell’atto di definizione;
in sostanza, lo strumento della tutela giudiziaria è utilizzabile solo nel caso in cui il contribuente ravvisi degli errori in fase di liquidazione del tributo da parte dell’amministrazione finanziaria, avendo questa non correttamente determinato una maggiore imposta dovuta in base alle risultanze del processo verbale di constatazione, posto che, solo in tali circostanze, escludere un’autonoma impugnazione dell’atto di definizione significherebbe impedire al contribuente di far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale, con l’effetto che, pur in presenza di errori da parte dell’Ufficio, si vedrebbe cristallizzata, senza alcuna possibilità di tutela, una pretesa erariale non legittima;
tuttavia, come detto, i confini della impugnabilità dell’atto di definizione si arrestano sulla soglia della non contestabilità dei rilievi contenuti nel processo verbale relativi a ragioni di ordine sostanziale;
con riferimento al caso di specie, la contestazione della controricorrente non ha riguardato errori nella indicazione delle violazioni sostanziali riportate nel processo verbale di constatazione e poi trasfuse nell’atto di definizione, ma la circostanza che, essendo stati indicati dalla stessa dei costi, di questi si sarebbe dovuto tenere conto ai fini della complessiva pretesa da fare valere con l’atto impositivo finale;
in tal modo, tuttavia, sono state fatte valere ragioni di doglianza che non attengono alla sussistenza di meri errori nella indicazione delle violazioni sostanziali, ma alla deducibilità dei costi, circostanza che attiene, in realtà, a profili strettamente valutativi, di per sé estranei all’attività di accertamento parziale che, come visto, costituisce parametro di riferimento per la comprensione dell’istituto in esame;
è la stessa controricorrente che evidenzia, peraltro, tale profilo, laddove afferma che: «l’attività dell’Agenzia – ufficio Controlli, si è svolta in modo pedissequo e senza spirito critico, limitandosi al solo esame della sezione violazioni sostanziali del P.v.c., senza svolgere i necessari approfondimenti e sviluppi con l’utilizzo di ulteriori attività istruttorie»;
la pronuncia censurata, dunque, laddove ha ritenuto che l’atto di definizione è illegittimo in quanto non ha considerato i costi, seppure indicati nel processo verbale di constatazione, non è conforme ai principi sopra riportati, sicchè è viziata da violazione di legge;
ne consegue l’accoglimento del ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, rigettando il ricorso originario della controricorrente; con riferimento alle spese di lite, sussistono giusti motivi per la compensazione di quelle relative ai giudizi di merito, mentre la controricorrente è tenuta al pagamento delle spese di lite del presente giudizio;
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la decisione censurata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della controricorrente; compensa le spese di lite dei giudizi di merito, condanna la controricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio in favore della ricorrente che si liquidano in complessive euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
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