CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 aprile 2021, n. 10455
Tributi – Accertamento – Attribuzione di utili extracontabili in capo al socio derivanti da plusvalenza da cessione di immobile societario – Illegittimità – Procedura di rivalutazione con azzeramento della plusvalenza – Prova – Iscrizione nel bilancio della società, indicazione nella dichiarazione della società, versamento imposta sostitutiva e perizia del valore delle partecipazioni possedute nella società
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello presentato dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (n. 149/2/2012), che aveva accolto il ricorso di A.C., socio della P. s.r.l., a ristretta base partecipativa, contro l’avviso emesso dalla Agenzia delle entrate di Milano nei suoi confronti, per l’anno 2005, avendo rilevato una plusvalenza dalla cessione dell’unico cespite della società indicato in bilancio al costo storico di € 435.215,00 e venduto il 25-7-2005 per la somma di € 2.000.000,00, da ritenersi quali utili extracontabili, da presumersi imputabili al socio per la sua quota del 15 %. Il giudice di appello, in particolare, escludeva la sussistenza di un giudicato esterno da rinvenirsi nella sentenza della Commissione tributaria della Campania, sezione distaccata di Salerno, che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società dalla Agenzia delle entrate di Avellino, in quanto l’annullamento era dipeso esclusivamente dalla inesistente notifica alla società quando ormai era estinta. Inoltre, aggiungeva, per quel che ancora qui rileva, che il contribuente aveva solo allegato, ma non dimostrato, che la società aveva proceduto alla rivalutazione del cespite immobiliare nel 2000, in tal modo, attraverso il pagamento della imposta sostitutiva, il valore del compendio era passato da € 435.215,00 ad € 2.065.828,00, con azzeramento della plusvalenza, essendo stato nel 2005 il bene venduto per € 2.000.000,00. Inoltre, il modello F24 prodotto non consentiva in alcun modo di riferirlo proprio al pagamento della imposuta sostitutiva di cui alla suddetta rivalutazione, non essendovi altri documenti a dimostrazione della correttezza dell’assunto del contribuente. Trattavasi, dunque, di utili non contabilizzati dalla P. s.r.l. e tale affermazione non era stata contestata dal contribuente.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.
3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 3, del d.P.R. 600/1973, dell’art. 2727 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”, in quanto il giudice di appello ha applicato il principio della presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili (fuori bilancio), in una fattispecie in cui tali utili non esistevano. In realtà, l’avviso della Agenzia delle entrate concerne non l’accertamento di componenti positivi di reddito non contabilizzati, ma esclusivamente le modalità di calcolo della plusvalenza, puntualmente registrata in contabilità, derivante dalla cessione dell’unico immobile di titolarità della P. s.r.l. Inoltre, non è corretta la decisione di appello laddove ha affermato che “trattasi di utili non contabilizzati dalla società P. s.r.l. e tale affermazione non viene contestata dal contribuente”, in quanto nel giudizio di appello il ricorrente non si è costituito ed il principio di non contestazione non è applicabile al contumace.
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta “l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”, in quanto il contribuente ha depositato in giudizio tutti i documenti necessari per fornire la dimostrazione della insussistenza della plusvalenza, e segnatamente: il bilancio della società al 31-12-2000, da cui emergeva nell’attivo dello stato patrimoniale l’avvenuta rivalutazione dell’immobile e la costituzione della relativa riserva di rivalutazione; la dichiarazione dei redditi della società, nel cui quadro RF erano stati riportati i medesimi valori rivalutati di bilancio, ai fini del calcolo del reddito minimo delle società di comodo; il modello F24 attestante il pagamento integrativo della imposta sostitutiva di rivalutazione; la perizia di stima del valore delle partecipazioni possedute nella società, che dava conto della avvenuta rivalutazione del cespite immobiliare.
3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 3, del d.P.R. 600/1973, dell’art. 2727 c.c. e degli artt. 45 e 47 del d.RR. 917/1986, in relazione agli artt. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e 62 d.lgs. 546/1992”, in quanto l’annullamento dell’avviso di accertamento nei confronti della società, con sentenza passata in giudicato, comportava la caducazione dell’avviso di accertamento relativo al socio.
4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e 62 d.lgs. n. 546/1992”, in quanto il giudice di appello ha operato una illegittima inversione dell’onere della prova quando ha attribuito al contribuente l’onere di provare l’avvenuta rivalutazione dell’immobile.
4. Va affrontata, preliminarmente, la questione relativa al terzo motivo, in quanto la soluzione della stessa potrebbe comportare la soluzione della controversia.
4.1. Il motivo è però infondato.
4.2. Invero, il contribuente si è limitato ad affermare che la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che aveva annullato l’avviso di accertamento nei confronti della società ed era passata in giudicato, comportava inevitabilmente l’annullamento anche dell’avviso di accertamento nei confronti del socio. Tuttavia, è pacifico tra le parti, avendolo affermato la Commissione regionale della Lombardia, senza alcuna smentita, che la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania ha annullato l’avviso nei confronti della società solo perché la notificazione dell’avviso era stata effettuata alla società, quando questa era ormai estinta (cfr. sentenza della CTR della Lombardia “non può essere preso in considerazione quale giudicato esterno poiché i motivi per i quali tale accertamento è stato dichiarato nullo non riguardano il merito dell’accertamento medesimo, ma una inesistente notifica di atto a società ormai estinta”).
Sul punto, questa Corte si è già pronunciata affermando che la sentenza, passata in giudicato, di annullamento dell’atto impositivo nei confronti di società a ristretta base sociale, se fondata su motivi di rito (nella specie, per l’estinzione della società), non fa stato nei confronti dei soci, mancando un accertamento inconfutabile sull’inesistenza dei ricavi non contabilizzati e della relativa pretesa fiscale (Cass., sez. 5, 7 giugno 2016, n. 11680; cfr. anche Cass., n. 1989/2017, in controversia tra l’Agenzia delle entrate e l’altro socio della responsabilità a ristretta partecipazione). Infatti, proprio l’assenza di un accertamento irrefutabile sulla inesistenza nel merito della pretesa correlata ai ricavi non contabilizzati può essere posto a base della pretesa nei confronti del socio e costituire, se dimostrato dall’Ufficio, condizione legittimante della richiesta fiscale correlata al maggior reddito da partecipazione a carico del socio.
5.Il secondo motivo, anch’esso pregiudiziale nella trattazione del ricorso, è fondato.
5.1. Invero, i fatti di causa sono pacifici nel senso che la società ha acquistato un immobile nel 1991 per € 49.442,48 e, successivamente, nel 1999, per effetto di ampliamenti e migliorie, tale immobile è stato iscritto in bilancio per un valore di € 435.215,00. Lo stesso immobile è stato venduto nel 2005 dalla società al prezzo di € 2.000.000,00. La plusvalenza attribuita dalla Agenzia delle entrate era, dunque, di € 1.950.557,52 (pari alla differenza del prezzo di vendita con il valore iniziale dell’immobile nel 1991).
5.2. Il contribuente, però, ha dedotto che l’immobile è stato oggetto di rivalutazione nel 2000, ai sensi della legge n. 342/2000, con il pagamento dell’imposta sostitutiva e con il conseguente aumento di valore sino ad € 2.065.828,00, venendo meno, in tal caso la suddetta plusvalenza. Il saldo attivo di rivalutazione era di € 1.630.612,31, pari alla differenza tra il valore rivalutato per € 2.065.828,00 ed il valore del bene nel 1999, pari ad € 435.215.00.
5.3. Il giudice di appello ha ritenuto che il contribuente non abbia fornito la prova della intervenuta rivalutazione dell’immobile nel 2000, in quanto l’unico documento depositato, ossia il pagamento con F24, non è univocamente riferibile proprio a tale rivalutazione, in assenza di altra documentazione.
5.4. In realtà, il contribuente ha allegato di aver prodotto dinanzi ai giudici di merito documenti attestanti l’intervenuta rivalutazione dell’unico cespite immobiliare, che non sono stati in alcun modo esaminati dal giudice di appello. In effetti, il contribuente ha prodotto in giudizio i seguenti documenti: il bilancio della società al 21-12-2000, da cui emergerebbe il valore rivalutato dell’immobile nell’attivo dello stato patrimoniale con l’indicazione della relativa riserva di rivalutazione; la dichiarazione dei redditi della società per l’anno 2000, nel cui quadro RF sarebbero riportati i medesimi valori rivalutati di bilancio, ai fini del calcolo del reddito minimo delle società di comodo; il Modello F24 attestante il pagamento integrativo della imposta sostitutiva di rivalutazione; la perizia di stima del valore delle partecipazioni possedute nella società, ove si darebbe conto della avvenuta rivalutazione.
Tali documenti sono tutti decisivi, ai fini della soluzione della controversia, mentre il giudice di appello ha indicato solo il modello F24 quale unico documento portato dal contribuente a dimostrazione della avvenuta rivalutazione del bene.
La decisività emerge proprio dalla considerazione che, ove ci sia stata effettivamente la rivalutazione del bene, è chiaro che vi sarebbe stata necessariamente una parallela iscrizione nell’attivo dello stato patrimoniale, con incremento del valore dell’immobile e con l’iscrizione di un relativa riserva da rivalutazione, pari alla differenza tra il valore rivalutato ed il valore iniziale del bene, quindi pari ad € 1.630.612,00.
Nessuna conseguenza vi sarebbe stata nel conto economico, in quanto l’incremento del cespite, come detto, doveva essere inserito, in caso di utilizzo della procedura di rivalutazione con pagamento di imposta sostitutiva, esclusivamente nello stato patrimoniale, quale riserva di rivalutazione.
Tale riserva, chiaramente, non avrebbe natura di utile, essendo in sospensione di imposta, che sarebbe stata tassata come dividendo in capo ai soci solo al momento della distribuzione, peraltro a seguito di apposita delibera di distribuzione degli utili.
Il giudice del rinvio dovrà, quindi, tenere conto per valutare l’eventuale sussistenza della plusvalenza, dei documenti non esaminati dal giudice di appello.
6. Il primo ed il quarto motivo restano assorbiti, per l’accoglimento del vizio di motivazione, che comporta un nuovo esame della controversia da parte del giudice del rinvio.
7. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il terzo motivo; dichiara assorbiti il primo ed il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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