CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 aprile 2021, n. 10469
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Appello – Nuove eccezioni sollevate in grado di appello – Inammissibilità
Rilevato che
1. La Commissione tributaria provinciale di Roma rigettava il ricorso proposto da M.D.M. avverso un avviso di accertamento recante la determinazione in suo danno di un maggior reddito imponibile a fini IRPEF, quale titolare di partecipazione nella misura del 80% della società a ristretta base azionaria D.P.A. s.r.I., considerando il reddito accertato in capo alla società presuntivamente percepito dal socio a titolo di utili non distribuiti.
2. La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 129/6/12 del 30 maggio 2012, accoglieva l’appello del contribuente. Motivava la decisione con un duplice rilievo: (a) la mancanza di prova della regolare notifica alla società dell’accertamento, sicché questo non poteva «costituire valido presupposto per la presunzione di distribuzione degli utili alla socia»; (b) la omessa allegazione all’avviso di accertamento nei confronti della socia dei verbali di constatazione della Guardia di Finanza in esso richiamati.
3. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, il contribuente.
Considerato che
4. In via preliminare, va affermata l’ammissibilità del ricorso, posta in dubbio da parte controricorrente per la modalità di redazione adoperata, asseritamente ricondotta al c.d. assemblaggio di atti e, quindi, reputata carente dell’esposizione dei fatti di causa.
È invero affermazione costante e reiterata, nella giurisprudenza di nomofilachia, che la tecnica di redazione per assemblaggio del ricorso per cassazione viola il principio di autosufficienza, implicando una esposizione dei fatti non sommaria. La pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali, infatti, «è, per un verso, assolutamente superflua, non essendo affatto richiesto che il ricorrente dia meticolosamente conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata; ed è, per altro verso, inidonea a soddisfare il requisito di cui all’art. 366, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., in quanto con tale modalità espositiva si affida in sostanza alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non serve affatto che il giudice di legittimità sia informato), la scelta di quanto effettivamente rileva in relazione ai motivi di ricorso» (così, testualmente, Cass., Sez. U., 11/04/2012, n. 5698; conformi, ex plurimis, Cass. 22/01/2014, n. 1220; Cass. 18/09/2015, n. 18363; Cass. 22/02/2016, n. 3385; Cass. 04/04/2018, n. 8245; Cass. 04/10/2018, n. 24340; Cass. 25/11/2020, n. 26387).
L’applicazione di tale principio (cui si intende qui dare continuità) al caso de quo non conduce all’esito auspicato dalla controricorrente. Non è dubbio che l’illustrazione della vicenda controversa e delle ragioni di doglianza nel ricorso in parola si articoli mediante la riproduzione (totale o parziale) di alcuni atti afferenti il processo, inseriti in copia fotografica nel corpo del ricorso, e segnatamente: di porzione dell’avviso di accertamento impugnato; della motivazione della sentenza di prime cure; dell’intero ricorso introduttivo della lite; di parte dei motivi di impugnazione formulati con l’atto di appello.
E tuttavia, siffatto modus espositivo è corredato da una serie di passaggi descrittivi ed argomentativi, in guisa di concatenazione logica tra le parti del discorso, che recano una narrazione, puntuale ed efficace, del fatto processuale e consentono una chiara ed agevole individuazione delle censure sollevate, pur astrattamente espungendo (in quanto facilmente isolabili) gli atti riprodotti, il cui inserimento, pertanto, finisce per assolvere la funzione (oltreché di una migliore comprensione della materia del contendere) di consentire più facilmente quella verifica diretta degli atti di causa, cui la Corte è abilitata (avendone, anzi, il potere-dovere: Cass. 25/10/2017, n. 25259) quando (come nella specie) si adduca un error in procedendo rilevante ex art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ..
5. L’unico motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e degli artt. 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.. Si assume, in sintesi, che, incorrendo in ultrapetizione, la gravata sentenza ha annullato l’atto impositivo in accoglimento di motivi sollevati per la prima volta dal contribuente con l’atto di appello, da considerare invece nuovi e, pertanto, da dichiarare inammissibili.
6. La doglianza è fondata, alla luce della lettura degli atti processuali come riprodotti in ricorso.
Nel libello introduttivo del giudizio di prime cure, il contribuente aveva dedotto, quali ragioni a suffragio dell’invocato annullamento dell’accertamento: la decadenza dell’amministrazione dal potere impositivo per tardiva notifica (nei suoi confronti) dell’avviso; la carenza di motivazione e di riscontro probatorio in ordine alla presunzione di distribuzione ai soci degli utili conseguiti dalla società; la sua estraneità all’attività di gestione della società; in via gradata, la non applicabilità delle sanzioni irrogate.
Nello spiegare appello avverso la sfavorevole pronuncia resa dalla commissione tributaria provinciale, lo stesso contribuente ha altresì allegato: l’omessa allegazione all’avviso di accertamento degli atti in esso richiamati, in violazione dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212; la mancata di regolare notifica alla società partecipata dell’avviso di accertamento nei riguardi della stessa emesso.
Ragioni di invalidità dell’atto impositivo opposto in tutta evidenza radicalmente differenti, per presupposti di fatto e di diritto, rispetto al thema decidendum compiutamente cristallizzato all’esito del giudizio di prima istanza, ed importanti verifiche e riscontri non effettuabili per la prima volta in sede di appello.
Ma siffatta allegazione appare in chiaro contrasto con il divieto dei nova in appello sancito, per il giudizio tributario, dall’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, norma che, nel suo perimetro applicativo, include, oltre alle domande, anche le eccezioni in senso tecnico, queste ultime da intendersi, riguardate dal lato del contribuente, come l’allegazione di vizi di invalidità dell’atto tributario oppure di fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, che introducono una causa petendi nuova e fondata su situazioni fattuali o giuridiche non prospettate in primo grado, così inserendo nel processo un nuovo tema d’indagine e di decisione ed alterando l’oggetto sostanziale dell’azione e la materia controversa (tra le tante, sull’argomento, cfr. Cass. 23/07/2020 15730; Cass. 27/06/2019, n. 17231; Cass. 30/10/2018, n. 27562; Cass. 29/12/2017, n. 31224). Ne deriva che le descritte eccezioni sollevate in grado di appello, in quanto nuove, dovevano essere dichiarate inammissibili dalla Commissione tributaria regionale, la quale ha invece fondato su di esse (ed esclusivamente su di esse) la statuizione di accoglimento della domanda del contribuente.
6. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui è altresì demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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