CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 aprile 2021, n. 10504
Tributi – Imposta di registro – Registrazione di sentenza del tribunale di esecuzione mobiliare – Terzo pignorato – Obbligo di versamento
Ritenuto che
1. La CTR della Campania, sezione distaccata di Salerno, con sentenza n. 3549/9/18, depositata il 17/4/2018, accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate e, in riforma della sentenza emessa dalla CTP, dichiarava legittimo l’avviso di liquidazione afferente all’imposta di registro emesso in relazione a una sentenza resa dal Tribunale di Salerno nell’ambito di una procedura esecutiva mobiliare con la quale si ordinava al terzo pignorato di corrispondere al contribuente la somma di €. 1.137,47 comprensiva di €. 200,28 per la registrazione dell’atto.
2. Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
3. L’Agenzia dell’entrate si è costituita con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo P.C. deduce, ex art. 360 primo comma, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 46 della l. n. 374 del 1991, avendo la CTR accolto un’eccezione proposta per la prima volta in sede di appello.
Il ricorrente fonda tale censura sul rilievo che l’Agenzia delle entrate solo nel giudizio di secondo grado aveva eccepito la non applicabilità dell’esenzione d’imposta prevista dall’art. 46 cit. sul presupposto che l’ordinanza con cui si erano assegnate le somme al contribuente prevedeva a suo favore l’esborso da parte del terzo pignorato della somma relativa all’imposta di registro.
2. Con il secondo motivo il contribuente lamenta, ex art 360, primo comma, n. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 100 c.p.c. e dell’art. 46 della l. n. 374 del 1991.
Ritiene il C. che in ragione del fatto che l’ordinanza di assegnazione di somme emessa a suo favore prevedeva il pagamento da parte del terzo pignorato del relativo importo dovuto a titolo di imposta di registro, solo quest’ultimo e non l’Agenzia dell’entrate era eventualmente legittimato a richiederne la restituzione in quanto somma indebitamente pagata perché afferente ad un provvedimento per un valore inferiore a €. 1.033,00.
3. Con il terzo motivo il contribuente deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, 4 e 5, c.p.c., l’omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000.
Con tale motivo di ricorso il C. rileva che la CTR ha omesso di pronunciare sul fatto che l’Agenzia dell’entrate aveva notificato l’avviso di liquidazione senza allegare l’ordinanza oggetto di tassazione né riprodotto il contenuto essenziale dell’atto.
4. Il primo motivo non è fondato.
Il divieto di proporre eccezioni nuove in appello sancito dall’art. 57, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 non involge i casi in cui una parte si è limitata ad una contestazione generica del ricorso, contestazione che in sede di gravame viene meglio specificata, in quanto il suindicato divieto riguarda solo le eccezioni in senso stretto e non anche le mere difese che, in quanto tali, non introducono nuovi temi di indagine.
Nel caso di specie, per come riportato dallo stesso ricorrente, l’Agenzia dell’entrate ha sin dal giudizio di primo grado contestato il ricorso proposto dal contribuente sul punto relativo alla richiesta applicabilità dell’art. 46 della l. n. 374 del 1991. A fronte di tale contestazione non costituisce eccezione il fatto che l’Ufficio, nel giudizio di secondo grado, ha precisato che tale inapplicabilità era conseguenza del fatto che il provvedimento oggetto di tassazione non era stato emesso dal Giudice di pace al quale si riferiva l’art. 46 cit. Sul punto si riporta il principio affermato da questa Corte (Cass. n. 31224 del 2017) secondo cui «Nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili».
5. Il secondo motivo è inammissibile.
Il ricorrente ritiene che difetti in capo all’Agenzia delle entrate la legittimazione a richiedere il pagamento di quanto indicato a titolo di imposta di registro nell’ordinanza di assegnazione somme emessa a suo favore; essendo, al contrario, legittimato il terzo pignorato che eventualmente ha versato tale importo allo stesso contribuente.
Tale censura risulta proposta per la prima volta in tale sede e, pertanto, ne risulta evidente l’inammissibilità.
6. Il terzo motivo non è fondato.
Va premesso il principio secondo cui «Nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto» (Cass. n. 21968 del 2015); principio ulteriormente precisato con altra pronuncia secondo cui «In caso di nullità della sentenza per omessa pronuncia, esigenze di economia processuale impongono di evitare la cassazione con rinvio quando la pretesa, sulla quale si riscontri mancare la pronuncia, avrebbe dovuto essere rigettata o potuto essere decisa nel merito, purché senza necessità di ulteriori accertamenti in fatto» (Cass. n. 21257 del 2014).
In applicazione di tali principi e tenuto conto del fatto che la CTR non ha motivato in ordine al motivo di appello proposto dal contribuente relativo alla presunta violazione dell’art. 7 l. n. 212 del 2000, il Collegio non può non rilevare come esso sia del tutto privo di fondamento.
Il contribuente lamenta la suddetta violazione sul presupposto che all’avviso di accertamento impugnato non era allegato il provvedimento giurisdizionale dal quale esso traeva origine.
L’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento d’imposta, salvo che, in casi particolari che una apposita norma richieda l’esposizione analitica e contestuale dei motivi, è soddisfatto sempre che il contribuente sia posto in condizione di conoscere la pretesa fiscale in tutti i suoi elementi essenziali, ai fini di una efficace contestazione sull’an e sul quantum debeatur.
Nel caso di specie assume rilievo la piena conoscenza mostrata dal contribuente dell’atto dell’Autorità giudiziaria sul quale la pretesa fiscale si fondava, conoscenza desumibile dal pieno esercizio del proprio diritto di difesa dinnanzi alle commissioni tributarie di primo e secondo grado e dal fatto che il contribuente era parte del relativo giudizio.
7. Deve, in conclusione, affermarsi la corretta applicazione da parte della CTR dei principi sopra enunciati
8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. 255,00 oltre spese e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.