CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 dicembre 2021, n. 40947
Tributi – Imposta di registro – Art. 20 del DPR n. 131 del 1986 – Operazioni societarie plurime – Riqualificazione – Illegittimità – Norma di carattere antielusivo – Esclusione – Norma di natura interpretativa
Ritenuto che
1. Con atto del 12 giugno 2007, la società S.I. costituiva la S.C. s.l. a socio unico con capitale sociale di 10.000,000 euro; in data 3 Dicembre 2007, quest’ultima società deliberava l’aumento di capitale da 10.000,00 euro a 100.000,00 euro; successivamente, il 19 dicembre del medesimo anno, la S.I. conferiva il ramo d’azienda dedicato alla distribuzione dei semilavorati in acciaio alla S.C., il cui valore netto era determinato in euro 1.460.402,70, a sovrapprezzo, ed euro 60.402,70 a riserva di patrimonio netto; in esecuzione dell’aumento di capitale alla S.C. veniva attribuita una partecipazione pari ad euro 90.000,00; in data 14.02.2008, la S.I. cedeva la propria partecipazione sociale di euro 1.000.000,00 detenuta dalla S.C. alla STV srl per il prezzo di euro 22.000.000,00; il 28.03.2000 avveniva la fusione tra la STV srl e la società Coporation.
L’agenzia delle entrate notificava avviso di liquidazione alla società recuperando l’imposta proporzionale di registro su euro 22.000.000,00 per l’atto del 14.02.2008, ritenendo che la conclusione degli atti descritti era stata posta in essere in violazione della normativa in materia di imposta di registro. Avverso l’avviso di liquidazione proponeva ricorso la società S.C.
La CTP di Milano accoglieva il ricorso ritenendo che non si poteva attribuire al disposto dell’art. 20 d.P.R. n. 131/86 una funzione antielusiva di carattere generale. Proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la CTR della Lombardia lo respingeva sul rilievo che l’articolo 20 del d.P.R. n. 131/86 ha una funzione interpretativa e non antielusiva e che, comunque, l’indagine va condotta unicamente sulla base degli elementi che emergono dagli atti soggetti a registrazione e non dal loro collegamento.
Avverso la sentenza n. 4632/14, depositata il 17 settembre 2014, della CTR della Lombardia, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato ad unico motivo.
La Contribuente resiste con controricorso e con memorie.
1. Con un unico motivo, si deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 20 e 51 del d.P.R. 131/86 per aver la CTR fatto applicazione di principi difformi da quelli affermati da questa Corte, secondo i quali l’art. 20 cit. attribuisce prevalenza nell’interpretazione degli atti rispetto alla loro natura intrinseca, al dato economico reale su quello giuridici-formali enunciati anche frazionatamente in uno o più atti; con la conseguenza che una pluralità di cessioni può costituire un fenomeno unitario, anche in ragione del divieto dell’abuso del diritto, di origine comunitaria, derivante dal principio costituzionale della capacità contributiva. Il che imporrebbe di dare prevalenza assoluta alla causa reale effettivamente perseguita dalle parti rispetto al semplice assetto cartolare risultante dagli atti.
2. La censura è destituita di fondamento.
3. Occorre premettere che la giurisprudenza della Corte è pacifica nel ritenere che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non è disposizione predisposta al recupero di imposte “eluse”, perché l’istituto dell’abuso del diritto” ora disciplinato dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10 bis, presuppone una mancanza di “causa economica” che non è invece prevista per l’applicazione del D.P.R. n. 131 cit., art. 20. Norma che semplicemente impone(va), ai fini della determinazione dell’imposta di registro, di qualificare l’atto o il “collegamento” negoziale in ragione del loro “intrinseco”. Se dunque la tassazione dell’imposta di registro in misura proporzionale non deriva dalla individuazione di un “abuso di diritto” non vi è ragione per estendere alle imposte indirette una disposizione dettata per le imposte dirette, e relativa all’applicazione dell’istituto della “plusvalenza” (che opera esclusivamente nelle imposte dirette): ed è irrilevante che la legge escluda, in riferimento alle imposte dirette la sussistenza dell’abuso” in riferimento a determinate operazioni economiche (ex plurimus, Cass. n. 2054/2017).
La giurisprudenza si è consolidata nel senso della «indifferenza dell’art. 20 all’abuso del diritto e all’elusione fiscale», tanto che le due disposizioni operano su piani distinti, in quanto «l’espressa inclusione nell’art. 10-bis, comma 2, lettera a), legge n. 212/2000 della fattispecie di collegamento negoziale (invece mancante nella struttura testuale dell’art. 20)», da un lato consente, «previa l’osservanza delle tutele procedimentali contenute nella legge», all’amministrazione finanziaria di disconoscere gli effetti degli atti collegati in quanto elusivi e, come tali, privi di sostanza economica diversa dal mero risparmio d’imposta; dall’altro, però, non esclude che il collegamento negoziale continui a rilevare – al di fuori da considerazioni antielusive – «sul piano obiettivo della mera qualificazione giuridica», ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986.
Si osserva che, in tema d’imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, come modificato dall’art. 1, comma 87 della L. n. 205/2017 e dall’art. 1, comma 1084 della L. n. 145/ 2018, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, l’Amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile.
4. L’art. 1, comma 87 della L. n. 205/2017, invero, prevede: <<Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 20, comma 1: 1) le parole: « degli atti presentati » sono sostituite dalle seguenti: « dell’atto presentato »; 2) dopo la parola: « apparente » sono aggiunte le seguenti: « sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi »;…>> L’art. 1, comma 1084 della L. n. 145/ 2018 prevede: << L’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131.>>.
Il Legislatore, con la denunciata norma, ha inteso riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione. Per altro verso un’interpretazione della norma in chiave antielusiva provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10-bis della L. n. 212/2000 consentendo all’Amministrazione di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endo-procedimentale e di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al contribuente ogni legittima pianificazione fiscale. Ne consegue che nel caso di specie l’amministrazione finanziaria non aveva facoltà di riqualificare come atto di compravendita il conferimento degli immobili alla società, disconoscendone le passività accollate dall’ente.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 158 del 21/07/2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 20 del d.P. R. n. 131/1986 come modificato dall’art. 1, comma 87 della L. n. 205/2017 e dall’art. 1, comma 1084 della L. n. 145/ 2018, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali. Detta pronuncia è stata poi ribadita dalla medesima Corte con sentenza n. 39/2021, con la quale ha affermato che le questioni inerenti alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost. sono manifestamente infondate, poiché prive di argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelle già sollevate con la menzionata ordinanza del giudice di legittimità e dichiarate non fondate con sentenza n. 158 del 2020.
Nel caso di specie si verte appunto, come è pacifico tra le parti di avviso di liquidazione di imposta proporzionale di registro su una concatenazione di atti che l’agenzia delle entrate riqualificava in maniera unitaria ex articolo 20 d.P.R.131/86, in termini di conferimento d’azienda. Su tale presupposto – decidendosi in diritto sul ricorso – la motivazione della sentenza della CTR va dunque confermata.
Le spese di lite vanno interamente compensate tra le parti, tenuto conto dell’evoluzione temporale della normativa e dell’interpretazione giurisprudenziale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
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