CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 febbraio 2019, n. 5080
Tributi – Reddito di impresa – Cessioni di immobili – Determinazione del valore di cessione
Fatti di causa
1. – La società G.A. s.r.l. in liquidazione impugnò l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle Entrate relativamente a IRES, IRAP e IVA per l’anno di imposta 2004, col quale era stato rideterminato il reddito di impresa e disposto il recupero a tassazione di ricavi non dichiarati in ragione della sottofatturazione di sei cessioni di immobili.
2. – Il ricorso della contribuente fu parzialmente accolto dalla C.T.P. di Brescia, che rideterminò il reddito di impresa in euro 300 mila.
3. – Sull’appello principale proposto dalla Agenzia delle Entrate e su quello incidentale proposto dalla società ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, in riforma della sentenza di primo grado, rigettò il ricorso originario.
4. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso la società G.A. s.r.l. in liquidazione sulla base di cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce (ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di pronunciare sul motivo dell’appello incidentale proposto dalla società ricorrente, col quale si era dedotta la nullità dell’avviso di accertamento per il fatto che l’Agenzia delle Entrate aveva utilizzato i dati OMI senza allegarli all’atto impugnato, come – a suo dire – sarebbe imposto dall’art. 42 d.P.R. n. 600/1973.
La censura non è fondata, avendo la C.T.R. pronunciato un rigetto implicito del motivo di appello suddetto.
In proposito, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dall’art. 35, comma 3, del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla l. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass., Sez. 5, n. 9474 del 12/04/2017; Sez. 5, n. 21813 del 07/09/2018).
Nella specie, la C.T.R., facendo applicazione di tale principio, ha ritenuto che l’avviso fosse congruamente motivato sulla base di una serie di plurimi indizi, indipendenti e ulteriori rispetto dai dati OMI; col che risulta implicitamente rigettato il motivo di appello col quale si era lamentato che la pretesa tributaria era fondata esclusivamente sui dati OMI.
2. – Col secondo motivo, si deduce (ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600/1973 e 54 d.P.R. n. 633/1972, per avere la C.T.R. ritenuto la sussistenza di indizi gravi precisi e concordanti, idonei a dimostrare il maggior ricavo della società contribuente nei termini di cui all’avviso di accertamento.
Unitamente a tale motivo di ricorso può essere esaminato, stante la stretta connessione, il terzo mezzo, col quale si deduce (ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione degli elementi indiziari attestanti il maggior ricavo della società.
Entrambi i motivi sono inammissibili, risolvendosi in una doglianza di merito relativa alla valutazione delle prove e all’accertamento del fatto.
Sul punto, va ricordato che la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, spettando soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi, tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova è assegnato un valore legale (così, ex plurimis, Cass., Sez. U, n. 5802 del 11/06/1998; Sez. L, n. 25608 del 14/11/2013); e che, pertanto, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione proposto ai sensi del dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (nel testo vigente prima della riforma del 2012), qualora con esso si intenda far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, si prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti in sede di legittimità (Cass., Sez. L, n. 12052 del 23/05/2007; Sez. 2, n. 7476 del 4/06/2001).
3. – Col quarto e col quinto motivo (erroneamente indicati in ricorso con i numeri 5 e 6), si deduce (ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 472/1997, nonché (ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) l’omessa motivazione della sentenza impugnata, per avere la C.T.R. ritenuto l’applicabilità delle sanzioni senza procedere all’accertamento dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa della società contribuente.
Anche questi motivi sono infondati.
Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, è sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra, da parte dell’amministrazione finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento) (Cass., Sez. 5, n. 22329 del 13/09/2018).
Nella specie, la C.T.R., sulla base di congruo accertamento in fatto (esente da vizi logici e giuridici), ha ritenuto la sussistenza di sottofatturazione nella vendita di sei immobili. La sottofatturazione è una condotta di per sé cosciente e volontaria, che non esige ulteriore motivazione; né la società ricorrente ha dedotto di aver offerto la prova contraria in ordine alla assenza di colpa, sulla quale il giudice di appello avrebbe dovuto motivare.
4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 (settemila), oltre le spese prenotate a debito.
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