CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 giugno 2021, n. 17596
Tributi – Accertamento analitico- induttivo – Odontoiatra – Reddito contrario a criteri di ragionevolezza ed economicità – Comparazione con altri professionisti della stessa attività e area geografica – Legittimità
Rilevato
1. Il contribuente, odontoiatra esercente la libera professione ed in fase di avviamento dello studio professionale, era soggetto a verifica fiscale che culminava con la notifica, in data 12.06.2008, di un avviso di accertamento ai fini Irpef, Irap, addizionali regionale e comunale, interessi e sanzioni per l’anno d’imposta 2005. Segnatamente l’Ufficio rideterminava il reddito del contribuente secondo il metodo analitico – induttivo tracciato dall’art. 39, comma 1, lett. d) del d.p.r. n. 600/1973 in base a criteri di ragionevolezza ed economicità.
Ed infatti, a fronte di una remuneratività di euro 11.209,00 annui il contribuente dichiarava euro 36.671,00 di costi, di cui euro 19.753,00 a titolo di costo per il personale dipendente. Peraltro, anziché applicare gli studi di settore, l’Ufficio adottava un metodo comparativo, avendo riguardo ad altri 331 professionisti della stessa attività e area geografica e per i quali i costi avevano un’incidenza sui compensi compresa tra il 16% e il 53%, anziché 76,59% come per il contribuente.
2. Il contribuente adiva così il Giudice di prossimità che, respingendo le tesi dell’Ufficio, accoglieva il gravame proposto.
Insorgeva con ricorso in appello l’Amministrazione finanziaria avanti la Commissione tributaria regionale che, rigettando le difese del contribuente, riformava la sentenza all’uopo richiamando la pronuncia di questa Corte n. 417/2008 secondo cui, anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette, è ammesso l’accertamento analitico-induttivo che consente la rideterminazione del reddito del contribuente, ove esso sia contrario a criteri di ragionevolezza ed economicità, e con onere a carico di quest’ultimo di fornire la prova contraria.
3. Invoca la cassazione della sentenza il contribuente che si affida a sette motivi di ricorso. Non replica l’Avvocatura dello Stato, costituitasi solo ai sensi dell’art. 370, comma 1, c.p.c.
Considerato
Vengono svolti sette motivi di ricorso.
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 39 comma 1, lett. d) d.p.r. n. 600/1973 e la mancanza dei presupposti legittimanti un accertamento analitico – induttivo in parametro all’art. 360 n. 3 c.p.c..
1.1. In particolare, denunzia il difetto dei presupposti legittimanti l’accertamento svolto dall’Ufficio stante l’assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, necessarie per poter validamente assumere l’esistenza di ricavi non dichiarati o per accertare l’inesistenza di passività dichiarate, tali non potendo essere i costi medi dichiarati dagli altri professionisti di categoria e facenti parte del medesimo comprensorio.
Il motivo non può essere accolto.
1.2 In disparte il profilo di inammissibilità della censura svolta, che si cela dietro la tautologica affermazione secondo cui i presupposti assunti dall’Ufficio sarebbero insufficienti a fondare l’accertamento, giova ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633/1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente. A tal fine può utilizzare le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni. Gli elementi assunti a fonte di presunzione, peraltro, non devono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su di un elemento unico, purché preciso e grave, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata (Cass. V, n. 26036/2015; Cass. V, n. 25217/2018; Cass. V, n. 27552/2018).
1.3 Nel caso in commento la parte ricorrente non contesta la correttezza delle percentuali di scostamento accertate dall’Ufficio né i valori dei costi e dei redditi accertati, sì da rimanere di fatto incontestata la condotta antieconomica del contribuente.
2. Con il secondo motivo il contribuente censura l’omesso esame circa i fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
2.1 Segnatamente, non sarebbe stato vagliato un preciso fatto storico, ossia il credito d’imposta beneficiato in relazione al personale assunto alle sue dipendenze. Infatti il costo dichiarato rispetto a quest’ultimo andava decurtato di euro 4.800,00 e tale decurtazione, se operata, avrebbe indotto i Giudici di merito a ritenere coerenti i costi dichiarati per l’anno d’imposta verificato. Il motivo non è fondato.
2.3 In primo luogo corre l’obbligo di sottolineare che il profilo di genericità che inficiava il vizio precedente si estende anche alla presente censura giacché la parte ricorrente si limita ad una esposizione sommaria della sua tesi, senza rappresentare in concreto gli effetti del preteso mancato esame del fatto storico.
Non rende infatti merito alla pretesa “coerenza” dei costi al netto della decurtazione operata.
2.4 Ad ogni buon conto, è oramai orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). A tal fine costituisce un “fatto” non una “questione” o un “punto” ma un vero e proprio “accadimento storico”. Non costituiscono, viceversa, “fatti” suscettibili di fondare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802, Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152).
2.5 Nel caso in esame il motivo proposto non si basa su un fatto storico, quanto sulla contestata illegittimità dell’avviso impugnato giacché i ricavi sarebbero stati erroneamente rideterminati senza tenere conto delle difese del contribuente.
2.6 Peraltro, e a chiusura del cerchio, non può poi sottacersi la circostanza per cui la somma richiamata dal contribuente, e pari a 4.800,00, non è in grado di mutare le conclusioni cui è pervenuto l’Ufficio: detto importo è comunque inferiore alla differenza tra i costi sopportati per i dipendenti e i redditi del contribuente, sicché quest’ultimo risulta comunque aver ricevuto una retribuzione apparentemente inferiore a quella dei suoi dipendenti.
3. Con il terzo motivo di doglianza la parte ricorrente denunzia la nullità della sentenza e la violazione dell’art. 116, co. 1, c.p.c. per omessa valutazione di elementi istruttori offerti in entrambi i gradi di merito del presente giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.
3.1 Occorre precisare che la presente censura viene svolta in via apparentemente subordinata alla precedente. In particolare si afferma che, stante l’omessa considerazione circa l’importo di euro 4.800,00 da decurtare a titolo di credito d’imposta beneficiato dal contribuente in relazione al personale assunto alle sue dipendenze quale fatto storico, la sentenza sarebbe nulla per violazione dell’art. 116 c.p.c. e per omessa valutazione degli elementi istruttori (e non più dei “fatti storici” come assunto nel motivo procedente).
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
3.2 Giova ricordare che questa Corte ha già avuto occasione di rimarcare come ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, denunciabile ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 4, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo invece necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (v., Cass., n. 20311/2011).
3.3 Peraltro in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato (tra le altre v. Cass. n. 23940 del 2017). Ancor più precisamente è stato affermato che “in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000). Quanto poi alla valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., bensì errore di fatto, da censurare attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, primo comma 1, n. 5 c.p.c., come riformulato dall’art. 54 d.l. 83/2012, conv. con modif. dalla I. 134/2012 (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940)” (cfr. Cass., n. 3149/2019).
3.4 Sotto il profilo della fondatezza, il motivo deve invece essere respinto per le stesse ragioni esposte al motivo precedente e cui si rimanda.
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame circa i fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in parametro all’art. 360 n. 5 c.p.c.
4.1 Con il quinto motivo, invece, deduce la nullità della sentenza e la violazione dell’art. 116, co. 1, c.p.c. per omessa valutazione di elementi istruttori offerti in entrambi i gradi di merito del presente giudizio in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
4.2 In buona sostanza il ricorrente segue la stessa dicotomia utilizzata per argomentare i primi due motivi di ricorso, e quindi l’omesso esame circa i fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti ovvero la violazione dell’art. 116, co. 1, c.p.c. per omessa valutazione di elementi istruttori offerti in entrambi i gradi di merito del presente giudizio ma, questa volta, in relazione agli studi di settore. Lamenta infatti l’illegittimità della decisione di secondo grado per non aver la CTR considerato la circostanza secondo cui il sig. M.M. era risultato congruo rispetto agli studi di settore.
I motivi sono infondati.
4.3 In materia questa Corte ha a più riprese affermato che “Gli studi di settore costituiscono, come si evince dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, solo uno degli strumenti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile, il reddito reale del contribuente: tale accertamento, infatti, può essere presuntivamente condotto anche sulla base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, a prescindere, quindi, dalle risultanze degli specifici studi di settore e della conformità alle stesse dei ricavi aziendali dichiarati” (Cass. sez. 5, 24 settembre 2014, n. 20060; Cass. sez. 5, 14 dicembre 2012, n. 23096)” (Cfr. Cass.,V, n. 16840/2020).
4.4 Nel caso in esame la parte ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione la dichiarata congruità del contribuente rispetto agli studi di settore, quale ulteriore elemento addotto a giustificare il reddito ritenuto non plausibile dall’Amministrazione. Ciò nondimeno, la paventata congruenza invocata dal contribuente si esaurisce in una mera affermazione di parte, rimanendo totalmente inespressa ogni prova al riguardo. Infatti, la parte ricorrente denunzia l’illegittimità della sentenza per non aver la CTR valutato la congruità dei redditi del contribuente rispetto agli studi di settore. Ma tale congruità non risulta essere stata accompagnata da alcun supporto probatorio.
4.5 A ciò aggiungasi che il giudice di merito non ha l’obbligo di esaminare tutti gli elementi istruttori emersi, purché dia conto della decisività, ai fini della decisione assunta, di quelli effettivamente esaminati (cfr. Cass., V, n. 16840/2020).
Il quarto e il quinto motivo vanno pertanto entrambi respinti.
5. Con il sesto motivo il contribuente si duole dell’omesso esame circa i fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
5.1 Con l’ultima censura prospetta la nullità della sentenza e la violazione dell’art. 116, co. 1, c.p.c. per omessa valutazione di elementi istruttori offerti in entrambi i gradi di merito del presente giudizio in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
5.2 In sostanza, con il sesto e il settimo motivo di ricorso la parte ricorrente, similmente ai precedenti, lamenta rispettivamente l’omesso esame circa i fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti e la violazione dell’art. 116, co. 1, c.p.c. per omessa valutazione di elementi istruttori offerti in entrambi i gradi di merito del presente giudizio, circoscrivendo le doglianze di questo ultimo grappolo di censure alla circostanza che il contribuente era in fase di avvio della professione, sicché stava sopportando elevati costi di ammortamento relativi ai beni strumentali necessari all’esercizio della professione, e al fatto che l’attività era comunque svolta a part-time, stante gli impegni accademici assunti.
I motivi sono infondati.
5.3 Per sconfessare gli assunti della parte ricorrente è sufficiente la lettura della sentenza impugnata ove si legge testualmente “la giovane età del professionista e la nuova apertura dello studio odontoiatrico non possono infatti da sole giustificare onorari inferiori a quelli di un infermiere, soprattutto se si considera che il dott. M.M. già all’epoca poteva vantare l’esperienza e il prestigio di importanti collaborazioni a livello universitario”. E ancora: “pure l’asserita attività odontoiatrica part-time appare davvero poco credibile, essendo notoria la conciliabilità della docenza universitaria con la libera professione”. Da quanto sopra emerge chiaramente come le circostanze invocate, contrariamente alla tesi della ricorrente, siano state espressamente prese in considerazione dalla CTR ma da questa non ritenute insufficienti.
5.4 A margine il fatto che, secondo il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. lav., Sentenza n. 7394 del 26 marzo 2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14 giugno 2007, Rv. 598004; Sez. lav., Sentenza n. 12052 del 23 maggio 2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30 marzo 2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 7 marzo 2007, Rv. 595448; Sez. lav., Sentenza n. 2577 del 6 febbraio 2007, Rv. 594677; Sez. lav., Sentenza n. 27197 del 20 dicembre 2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20 giugno 2006, Rv. 589557; Sez. lav., Sentenza n. 12446 del 25 maggio 2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21 aprile 2006, Rv. 588706; Sez. lav., Sentenza n. 9233 del 20 aprile 2006, Rv. 588486; Sez. lav., Sentenza n. 3881 del 22 febbraio 2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22 giugno 1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione” (Cass; III, 17036/2018).
5.5 Anche il sesto e il settimo motivi devono pertanto essere rigettati.
6. In definitiva il ricorso va respinto.
Non vi è luogo a pronunciare sulle spese in mancanza di attività difensiva dell’Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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