CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 giugno 2021, n. 17627
Tributi – Accertamento catastale – Attribuzione della rendita catastale – Dichiarazioni DOCFA a seguito di variazioni – Rendita proposta – Determinazione rendita definitiva da parte dell’ufficio – Termine di un anno – Natura non perentoria
Rilevato che
1. – Con sentenza n. 3145/17, depositata il 13 luglio 2017, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate, così confermando la decisione di prime cure recante annullamento di un avviso di accertamento catastale relativo ad unità immobiliare oggetto di dichiarazione di variazione presentata con procedura Docfa;
– a fondamento del decisum il giudice del gravame ha ritenuto che:
– la fattispecie controversa aveva ad oggetto «una unità immobiliare che al 01.01.1992 risultava accatastata in Categoria A/4 classe 3 con consistenza di 10 vani. A seguito di successivi interventi di ampliamento – di cui alle dichiarazioni DOCFA presentate nell’ottobre e nel dicembre 2013 – l’allora proprietario ha proposto il classamento del bene in categoria A/2 classe 4 con consistenza di 12 vani»;
– l’avviso di accertamento impugnato recava rettifica di siffatto proposto classamento in quanto l’unità immobiliare che ne risultava era stata divisa «in due unità immobiliari distinte, ciascuna con proprio classamento e rendita, sul presupposto della “autonoma capacità reddituale” delle diverse porzioni di fabbricato»;
– ai sensi del d.m. n. 701 del 1994, art. 1, c. 3, non poteva ritenersi consentito all’Agenzia di procedere «d’imperio ad un nuovo frazionamento dell’immobile realizzando autonomamente due unità immobiliari distinte, tra l’altro con una redistribuzione degli spazi e dei vani ipotetica e meramente discrezionale», in quanto detta disposizione (solo) rendeva possibile «previa verifica delle caratteristiche dell’immobile …. [la] variazione della rendita catastale mediante la corretta individuazione della categoria e della classe del bene»;
2. – l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi;
– G.E. resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Considerato che
1. – col primo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia denuncia falsa applicazione del d.m. n. 701 del 1994, art. 1, assumendo, in sintesi, che il potere di rettifica della rendita catastale ben può conseguire, secondo il disposto normativo, dalla verifica delle caratteristiche degli immobili oggetto delle dichiarazioni Docfa, con conseguente variazione delle risultanze censuarie iscritte in catasto;
– il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione del r.d.l. n. 652 del 1939, art. 5, sull’assunto che la legittimità del disposto frazionamento conseguiva dalla nozione di unità immobiliare urbana, qual recepita da detta disposizione, ed incentrata sui caratteri di autonomia funzionale e reddituale dell’unità, secondo gli usi locali;
– col terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione del d.p.r. n. 1142 del 1949, art. 40, disposizione questa che, recando specificazione dell’art. 5, cit., espressamente correla l’accatastamento immobiliare al riscontro di un cespite indipendente inteso come minimo perimetro immobiliare caratterizzato da autonomia funzionale e reddituale;
2. – i tre motivi, – che vanno congiuntamente trattati in quanto afferiscono a distinti profili di una medesima quaestio iuris, – sono fondati e vanno accolti;
3. – il d.m. n. 701 del 1994, art. 1, c. 3, – che, adottato sulla base del d.l. n. 16 del 1993, art. 2, conv. in I. n. 75 del 1993, è venuto a ridisciplinare le dichiarazioni di accertamento, e di variazione, delle unità immobiliari urbane (d.p.r. n. 1142 del 1949, art. 56; r.d.l. n. 652 del 1939, art. 20), – dispone che la rendita indicata dal contribuente, con la dichiarazione presenta con procedura cd. Docfa, «rimane negli atti catastali come “rendita proposta” fino a quando l’ufficio non provvede con mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione, e comunque entro dodici mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni di cui al comma 1, alla determinazione della rendita catastale definitiva»; e soggiunge che «É facoltà dell’amministrazione finanziaria di verificare, … le caratteristiche degli immobili oggetto delle dichiarazioni di cui al comma 1 ed eventualmente modificarne le risultanze censuarie iscritte in catasto.»;
– secondo un univoco, e consolidato, indirizzo interpretativo della Corte, l’evocato termine (di 12 mesi), – diversamente da quanto assume la controricorrente, – non ha natura perentoria (e, dunque, decadenziale), essendosi rilevato che «In tema di catasto dei fabbricati, il termine massimo di un anno assegnato all’ufficio dall’art. 1, comma 3, del d.m. 19 aprile 1994, n. 701 per la “determinazione della rendita catastale definitiva” a seguito della procedura cd. DOCFA, non è stabilito a pena di decadenza, tenuto conto non solo della mancanza di una specifica previsione in tal senso, ma anche dell’incompatibilità di un limite temporale con la disciplina legislativa della materia, sicché, ove l’amministrazione non provveda a definire la rendita del bene oggetto di classamento, saranno le dichiarazioni presentate dai contribuenti ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. n. 1142 del 1949 a valere come “rendita proposta” fino a che l’ufficio non provvederà alla determinazione di quella definitiva» (cfr. Cass., 21 luglio 2006, n. 16824 cui acide, ex plurimis, Cass., 27 ottobre 2020, n. 23524; Cass., 12 maggio 2017, n. 11844; Cass., 19 marzo 2014, n. 6411);
3.1 – avuto riguardo, quindi, ai dati normativi desumibili dal r.d.l. n. 652 del 1939, art. 5, conv. in l. 1249 del 1939, – secondo il quale «Si considera unità immobiliare urbana ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per sé stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio», – dal d.p.r. n. 1142 del 1949, art. 40, – alla cui stregua «Si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente», – e dal d.m. 2 gennaio 1998, n. 28, art. 2, – secondo il cui disposto l’unità immobiliare «è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale», – la Corte ha avuto modo di precisare che «l’accatastamento viene dalla normativa riferito non al fabbricato in quanto tale, bensì alla nozione di unità immobiliare urbana (UIU); a sua volta rapportata ad una componente immobiliare (rilevante ex art. 812 c.c.) suscettibile di autonoma funzionalità e redditività» (Cass., 23 maggio 2018, n. 12741);
4. – in relazione, poi, alle disposizioni di cui al d.p.r. n. 1142 del 1949, art. 61 («Il classamento consiste nel riscontrare, con sopralluogo per ogni singola unità immobiliare, la destinazione ordinaria e le caratteristiche influenti sul reddito e nel collocare l’unità stessa in quella tra le categorie e classi prestabilite per la zona censuaría a norma dell’art. 9, che, fatti gli opportuni confronti con le unità tipo, presenta destinazione e caratteristiche conformi od analoghe. Le unità immobiliari urbane devono essere classate in base alla destinazione ordinaria ed alle caratteristiche che hanno all’atto del classamento»), e art. 62 («La destinazione ordinaria si accerta con riferimento alle prevalenti consuetudini locali, avuto riguardo alle caratteristiche costruttive dell’unità immobiliare»; v., altresì, il d.p.r. n. 138 del 1998, art. 8), la Corte ha statuito che il provvedimento di attribuzione della rendita catastale di un immobile è un atto tributario che inerisce al bene che ne costituisce l’oggetto, secondo una prospettiva di tipo reale, riferita alle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche in genere), che costituiscono il nucleo sostanziale della cd. destinazione ordinaria, sicché l’idoneità del bene a produrre ricchezza va ricondotta, prioritariamente, non al concreto uso che di esso venga fatto, ma alla sua destinazione funzionale e produttiva, che va accertata in riferimento alle potenzialità d’utilizzo purché non in contrasto con la disciplina urbanistica (cfr. Cass., 30 ottobre 2020, n. 24078; Cass., 14 ottobre 2020, n. 22166; Cass., 10 giugno 2015, n. 12025);
5. – nella fattispecie, il giudice del gravame, – piuttosto che procedere ad uno specifico accertamento in ordine alle obiettive caratteristiche del complesso immobiliare (oggetto di frazionamento) e, quindi, delle relative componenti, ai fini della verifica della loro riconducibilità, o meno, a quell’unità elementare costituita dall’unità immobiliare urbana dotata di autonomia funzionale e reddituale, – ha malamente ritenuto precluso, dalla disposizione normativa evocata (d.m. n. 701 del 1994, art. 1), lo stesso esercizio del potere di rettifica in questione da parte dell’amministrazione, potere che involge quella che costituisce la necessità di un continuo adeguamento del catasto rispetto alle mutazioni dello «stato dei beni, per quanto riguarda la consistenza e l’attribuzione della categoria e della classe (r.d.l. n. 652, cit., art. 17) e che, pertanto, implica (anche) il potere di modificare «le risultanze censuarie iscritte in catasto» secondo le dichiarazioni Docfa presentate dalle stesse parti private;
6. – l’impugnata sentenza va, pertanto, cassata con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
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