CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 luglio 2020, n. 15541
Tributi – Accertamento nei confronti della società per acquisti oggettivamente inesistenti – Prelevamenti in contanti dai conti correnti sociali – Conseguente accertamento di reddito da partecipazione al legale rappresentante
Rilevato che
1. La Guardia di Finanza, a seguito di verifica fiscale nei confronti della T.G. s.r.l. (dichiarata fallita il 4 novembre 2003 dal Tribunale di Nicosia), ha accertato che quest’ultima aveva acquistato fittiziamente prodotti informatici, per poi rivenderli, sempre fittiziamente, alla N. s.r.l.. Pertanto, la stessa Guardia di Finanza ha sottoposto anche la N. s.r.l. a verifica, dalla quale è emerso che la legale rappresentante di quest’ultima, M. T., a titolo di preteso adempimento dei corrispettivi per tali acquisti, in realtà oggettivamente inesistenti, aveva effettuato prelevamenti in contanti dai conti correnti sociali, ed emesso assegni a favore di sé medesima, poi girati per l’incasso, per la somma complessiva di euro 388.489,67.
Sulla base di tali risultanze, esposte nel conseguente processo verbale di constatazione, l’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei confronti della predetta M. T. in proprio, un accertamento, con il quale, ai fini Irpef, le ha imputato, per l’anno d’imposta 2002, un maggior reddito da partecipazione, non dichiarato, pari alla somma di euro 388.489,67, che la stessa contribuente ha prelevato (per contanti o tramite assegni) dalle casse sociali.
2. La contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Enna, che ha respinto il ricorso.
3. La contribuente ha quindi proposto appello avverso la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale di Palermo sezione staccata di Caltanissetta, lo ha respinto con la sentenza n. 174/21/2012, depositata in data 17 dicembre 2012.
4. La contribuente ha allora proposto ricorso per la cassazione della predetta sentenza d’appello, affidato a tre motivi.
5. L’Amministrazione si è costituita con controricorso.
6. La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. Preliminarmente è inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, perché «In tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competenze” facenti capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze, a partire dal primo gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza dell’art. 1 del d.m. 28 dicembre 2000), unico soggetto passivamente legittimato è l’Agenzia delle Entrate, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione promosso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.» (Cass. 28/01/2015, n. 1550).
2. Il primo motivo è stato così formulato dalla contribuente:
«Omessa pronuncia della sentenza sulla corretta applicazione dell’art. 41 bis d.P.R. 600/1973- art. 360 c.1 n. 4 c.p.c..».
Lamenta la ricorrente che il giudice a quo non si sia pronunciato sulla sua eccezione, proposta in primo grado e riproposta in appello, di insussistenza dei presupposti dell’accertamento parziale di cui all’art. 41 bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Il motivo è infondato, atteso che il giudice appello, affermando la sufficienza della motivazione dell’accertamento e la fondatezza dello stesso atto impositivo nel merito, ha implicitamente, ma necessariamente, riconosciuto anche la sussistenza dei presupposti della sua emissione, peraltro nel caso di specie anche incontestati, attesa la pacifica preesistenza di un processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, reso all’esito di una verifica (ferma restando invece la contestazione, da parte della contribuente, della ricorrenza delle violazioni oggetto dello stesso processo verbale).
3. Il secondo motivo è stato così formulato dalla contribuente:
«Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 e 116 del c.p.c. e dell’art. 111 della Cost.- art. 360 comma 1 n. 3 e 5 del c.p.c..». Lamenta la ricorrente che il giudice a quo non abbia considerato, ai fini della decisione sulla sussistenza del maggior reddito da partecipazione non dichiarato attribuitole con l’accertamento:
– l’ulteriore processo verbale della Guardia di Finanza, con il quale le veniva imputata la violazione della normativa anti-riciclaggio, consistente nel pagamento, in contanti, alla T.G. s.r.l. della medesima somma, senza utilizzo dell’intermediario finanziario abilitato alla consegna;
– la sentenza penale di assoluzione dal reato di bancarotta fraudolenta emessa dal Tribunale di Nicosia nei confronti del legale rappresentante della T. G. s.r.l., dalla quale era ricavabile che, attesa l’inesistenza delle operazioni concluse da quest’ultima con la N. s.r.l., la stessa T. G. s.r.l. non aveva ricevuto alcun effettivo pagamento, poiché gli importi consegnati dalla ricorrente al suo legale rappresentante erano successivamente rientrati nelle casse della medesima N. s.r.l.;
– la circostanza che, così come risultava dalla stessa sentenza penale, la N. s.r.l., relativamente all’anno d’imposta in questione, ha aderito al condono tombale di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289, provvedendo altresì alla regolarizzazione delle scritture contabili in materia, eliminando le poste negative fittizie, derivanti dalle operazioni inesistenti in questione, e facendo emergere una sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 14, quinto comma, della medesima fonte.
Nella sostanza, quindi, secondo la ricorrente, la valutazione di tali documenti, totalmente omessa dalla CTR, avrebbe potuto dimostrare che la stessa M. T., in proprio, non aveva tratto alcun reddito, tanto meno di partecipazione, dalle somme prelevate (per contanti e per assegni) dalle casse sociali della finta acquirente N. s.r.l., poiché (come risultava dal processo verbale elevato dalla guardia di Finanza in materia di violazione della normativa antiriciclaggio) le aveva interamente consegnate al legale rappresentante della finta alienante T. G. s.r.l., il quale, a sua volta, le aveva fatte rientrare immediatamente nelle casse della medesima N. s.r.l., la quale poi, a titolo di sopravvenienza attiva, le aveva sottoposte al condono ex art. 9 legge n. 289 del 2002.
Il motivo è inammissibile, per la contemporanea prospettazione delle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, num. 3 e num. 5, cod. proc. civ., atteso che la lettura dell’intero corpo del relativo mezzo d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che dà luogo all’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (cfr. Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (cfr. Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793).
Pertanto, i distinti motivi di cui al num. 3 ed al num. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., cumulati formalmente nella rubrica del primo motivo di ricorso, risultano, anche nel contenuto di quest’ultimo, censure non ontologicamente distinte e quindi non autonomamente individuabili senza un’inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.
Tanto premesso, il motivo è altresì infondato.
Infatti, non è contestato il prelievo, da parte della contribuente, delle somme in questione dalle casse della N. s.r.l., e tale condotta è già, di per sé sola, sufficiente ad integrare il fatto generatore del reddito da sottoporre all’imposizione, senza che rilevi, ai fini fiscali, l’effettivo utilizzo o la destinazione di tale reddito da parte della medesima contribuente.
Non sono pertanto decisivi, ai fini della decisione, né l’eventuale successiva consegna, al legale rappresentante della T. G. s.r.l. (pag.39 del ricorso), di un pari importo di denaro, con conseguente contestazione alla ricorrente della violazione in materia di riciclaggio; né l’utilizzo che della somma ricevuta abbia fatto lo stesso legale rappresentante della T. G. s.r.l., sia esso lecito o meno (non è peraltro noto, in questa sede, quale sia stato il contenuto della sentenza penale irrevocabile emessa, per i fatti in questione, nei confronti di tale terzo). Tanto meno, poi, l’assunta regolarizzazione tombale della posizione fiscale della N. s.r.l. costituisce circostanza decisivo per il reddito de quo, imputato alla contribuente in proprio.
4. Il terzo motivo è stato così formulato dalla contribuente: «Violazione dell’art. 53 del tuir 917/1986 e insufficiente motivazione della sentenza – art. 360 comma 1 n. 3 e 5 del c.p.c..». Lamenta la ricorrente che il giudice a quo non abbia qualificato la natura del reddito, attribuitole dall’accertamento quale partecipazione agli utili societari.
Il motivo è inammissibile, innanzitutto per la contemporanea prospettazione, a sua volta, delle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, num. 3 e num. 5, cod. proc. civ., atteso che la lettura dell’intero corpo del relativo mezzo d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che dà luogo all’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto ( Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793).
Pertanto, i distinti motivi di cui al num. 3 ed al num. dell’art. 360, primo comma 1, cod. proc. civ., cumulati formalmente nella rubrica del terzo motivo di ricorso, risultano, anche nel contenuto di quest’ultimo, censure non distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, se non tramite un’inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.
Inoltre, la denuncia del vizio di insufficienza della motivazione non è contemplata dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata.
Infine, è comunque infondata l’unica conseguenza che la ricorrente connette, invero in modo generico, alla mancata qualificazione espressa, da parte della CTR, del reddito in questione, ovvero l’affermazione secondo cui, qualora effettivamente si fosse trattato di un reddito da partecipazione, come sostenuto nell’accertamento controverso, l’Ufficio avrebbe dovuto tener conto della ritenuta d’acconto versata dal sostituto d’imposta che, nel caso di specie, trattandosi di utili occulti, non risulta provata né presumibile.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze; nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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