CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 luglio 2021, n. 20816

Tributi – Contenzioso tributario – Sentenza di appello – Ricorso in Cassazione – Omesso esame di un fatto decisivo – Questione di diritto infondata – Conferma della decisione

Fatti di causa

1. La vicenda contenziosa trae origine da una verifica fiscale operata a seguito di interpello presentato dalla contribuente ai sensi dell’art. 37-bis d.P.R. n. 600 del 1973 per la disapplicazione dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 relativamente al periodo d’imposta 2006 e di un test di operatività per l’anno 2007 per il quale non è stato presentato alcun interpello disapplicativo.

Alla luce di tali elementi l’Ufficio ha notificato avvisi di accertamento calcolando maggiori redditi di impresa a titolo di IVA in capo alla società ed IRPEF, quale reddito di partecipazione, per i singoli soci.

I ricorsi della società e dei soci sono stati, in parte, dichiarati inammissibili perché proposti fuori termine, in parte rigettati nel merito (i soli ricorsi proposti da V.G. e dalla società per l’anno 2007).

2. Con la sentenza indicata in epigrafe la CTR, richiamati i principi espressi dalle sentenze delle Sezioni Unite in tema di litisconsorzio necessario tra società di persone e soci e verificata l’integrità del contraddittorio in relazione alle cause validamente introdotte con i due ricorsi ritenuti ammissibili, ha rilevato il mancato assolvimento dell’onere della prova contraria da parte dei contribuenti relativamente all’anno 2006 per il quale è stata presentata istanza di interpello disapplicativo.

In relazione all’anno 2007, pur non avendo la società presentato alcun interpello disapplicativo, la CTR ha compiuto un esame del materiale probatorio prodotto in giudizio per smentire la presunzione derivante dall’art. 30 cit. riproponendo, sul punto “le medesime osservazioni già esposte in ordine all’anno d’imposta 2006”.

I giudici di appello hanno altresì ritenuto inammissibili le eccezioni proposte con le memorie del 27.6.2013 in quanto “nuove” e non proposte in prime cure”.

3. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti articolando tre motivi di censura.

Ha resistito l’Agenzia depositando controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 e dell’art. 10 legge n. 212 del 2000.

La censura ha ad oggetto l’avere la CTR ritenuto non necessario instaurare il contraddittorio prima dell’emissione degli avvisi di accertamento che non erano stati preceduti da alcuna richiesta di chiarimenti o di invito a produrre la documentazione.

Per l’anno 2006 l’Ufficio si era limitato a prendere atto del diniego dell’istanza di interpello, per l’anno 2007 si era proceduto senza contraddittorio alcuno in ragione del fatto che lo stesso non era mai stato oggetto di interpello.

Da ciò discende l’illegittimità dell’azione amministrativa, con conseguente nullità ed illegittimità degli avvisi impugnati, sulla scorta della copiosa giurisprudenza di legittimità citata e riportata in ricorso.

2. Con il secondo motivo viene dedotta violazione di legge a norma dell’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ. per mancanza di motivazione della sentenza, non essendosi i giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio mai espressi sul tema della eccepita illegittimità degli avvisi di accertamento per violazione del principio del contraddittorio.

3. Con il terzo motivo il medesimo profilo viene dedotto quale omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio per non essere stato preso in considerazione il “fatto storico” costituito dall’assenza del preventivo confronto tra contribuente ed Ufficio.

4. I motivi riguardano tutti i profili del contraddittorio endoprocedimentale relativo alla mancata attivazione delle garanzie per il contribuente prima dell’emissione degli avvisi di accertamento per i quali si procede.

Con il primo motivo si lamenta la mancata attivazione del contraddittorio, mentre con gli altri si deduce l’omessa pronuncia e l’omessa motivazione sul punto sollevato già nelle fasi di merito.

Il motivo è infondato sotto il profilo sostanziale per plurime ragioni.

4.1. In riferimento all’anno 2006 la contribuente ha presentato istanza di interpello e, pertanto, il contraddittorio è stato adeguatamente garantito nella fase amministrativa secondo la modalità espressamente prevista in base alla procedura attivata.

L’art. 30, comma 4-bis legge n. 724 del 1994 consente, alle società che chiedono la disapplicazione della disciplina dettata per le cd. società di comodo, di formulare istanza di interpello, ai sensi del comma 8 dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma non richiama espressamente anche le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 37- bis citato.

La previsione di cui all’art. 30, comma 4, legge n. 724 del 1994, secondo cui l’accertamento induttivo del reddito delle cd. società di comodo deve essere effettuato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente, anche per lettera raccomandata, di chiarimenti, è stata implicitamente abrogata dall’art. 35, comma 15, del d.l. n. 223 del 2006, in vigore dal 4 luglio 2006, che si applica, secondo le disposizioni del successivo comma 16 dello stesso articolo, “a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”, ossia in relazione agli atti impositivi che riguardano i periodi di imposta dal 2006 in poi e, quindi, anche agli avvisi di accertamento per cui è giudizio.

Nella fattispecie, con l’istanza di interpello la società ha fornito elementi all’Ufficio in base ai quali ritenere inapplicabile la presunzione di cui all’art. 30 legge n. 724 del 1994 ma tali elementi sono stati considerati inidonei a dimostrare quanto sostenuto dalla contribuente.

Né alcuna norma prevede espressamente che il diniego dell’Ufficio debba essere necessariamente accompagnato dalla richiesta di chiarimenti.

Pertanto, deve ritenersi che la fase amministrativa si sia svolta nel pieno rispetto del contraddittorio che si è sviluppato pienamente anche nella fase successiva con l’istanza di accertamento con adesione ed in giudizio attraverso la produzione di documenti ulteriori allegati ad integrazione dei motivi di ricorso.

Quanto esposto risulta sufficiente a far ritenere insussistente la paventata violazione delle garanzie procedimentali richiamate, considerato che la sanzione dell’invalidità dell’atto impositivo – anche laddove non espressamente prevista, ma soprattutto in presenza di una nullità testuale – deriva dalla difformità dell’atto dal modello legale (Cass., sez. 5, 11 novembre 2015, n. 23050).

Nel senso sin qui illustrato si veda quanto deciso, fra le molte, da Cass. sez. 5, n. 27149 del 23 settembre 2020.

4.2. Per quanto riguarda l’anno 2007, la CTR ha correttamente fatto applicazione del principio per cui “in tema di società di comodo, l’art. 30 della I. n. 724 del 1994, al comma 1, prevede una presunzione legale relativa, in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli “asset” patrimoniali intestati alla società (cd. “test di operatività dei ricavi”), senza che abbiano rilievo le intenzioni e il comportamento dei soci, ma poi, al successivo comma 4-bis, consente la presentazione dell’istanza di interpello (chiedendo la disapplicazione delle “disposizioni antielusive”), in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore), che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al precedente comma 1, così rispondendo all’esigenza di dare piena attuazione al principio di capacità contributiva, di cui la disciplina antielusiva è espressione, lasciando nel contempo spazio al diritto di difesa del contribuente, sufficientemente garantito dagli strumenti del contraddittorio e dalla necessità di una motivazione puntuale della condotta elusiva nell’avviso di accertamento” (Cass. sez. 5, n. 9852 del 20 aprile 2018).

Per tale annualità, i contribuenti, pur potendolo fare, non hanno presentato istanza di interpello e quindi non hanno attivato il contraddittorio endoprocedimentale espressamente previsto con tale modalità.

Ciò che forma oggetto di espressa censura con il motivo di ricorso non è, infatti, la valutazione degli elementi che hanno condotto i giudici dì merito a ritenere non fornita la prova del superamento della presunzione di cui all’art. 30 cit., quanto la asserita lesione del diritto al contraddittorio.

Si tratta di diritto che viene garantito, nella materia di interesse, dall’istanza di interpello in mancanza della quale è pur sempre consentita la piena tutela giurisdizionale nei confronti dell’atto impositivo notificato attraverso la prova delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva (fra le molte, si veda la recente Cass. sez. 5, n. 4946 del 7 ottobre 2020).

In sua mancanza, tuttavia, non potrà essere eccepita la violazione del contraddittorio che non è stato attivato per inattività del contribuente.

4.3. In ogni caso per entrambe le annualità occorre ricordare che più volte la Corte di cassazione è stata chiamata a delineare i limiti entro i quali l’Amministrazione è obbligata ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale pervenendo alla soluzione che esso trova applicazione limitatamente ai tributi c.d. “armonizzati” (nella fattispecie all’IVA) ma con l’applicazione della prova di resistenza.

L’orientamento risale a Cass. sez. un., 6 ottobre 2015, n. 24823 con la quale è stato affermato che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino“.

Applicazione espressa del suddetto principio si rinviene nella più recente Cass. sez. 6 – 5, 29 ottobre 2018, n. 27421 ove è stato precisato che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito“.

Nello stesso senso Cass. sez. 6-5, ord. 27 luglio 2018, n. 20036 nella quale si legge che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare, anche nell’ambito delle indagini cd. “a tavolino”, il contraddittorio endoprocedimentale ove l’accertamento attenga a tributi “armonizzati”: la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa“.

Pertanto, nella fattispecie, la questione relativa al contraddittorio non si pone per i redditi di partecipazione imputati ai soci ma solo per l’IVA (tributo “armonizzato”).

Sul punto, tuttavia, si rileva la mancanza di qualsiasi riferimento alla c.d. prova di resistenza non essendo state neppure prospettate le ragioni che la società contribuente avrebbe potuto far valere e che sarebbero state precluse a causa della mancata attivazione del contraddittorio.

5. Con riferimento ai motivi di natura processuale, si osserva come la Corte di cassazione abbia, più volte, espresso il seguente principio:

alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (Cass. sez. 5, n. 16171 del 28.06.2017, Rv. 644892-01; Cass. sez. 5, n. 9693 del 19.04.2018, Rv. 647716-01).

Per quanto precedentemente illustrato, la questione sostanziale della mancata attivazione del contraddittorio è infondata e da ciò discende il rigetto dei motivi relativi anche alla omessa pronuncia ed alla omessa motivazione da parte dei giudici di merito sul medesimo punto.

6. Da quanto esposto discende il rigetto del ricorso.

La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente che liquida in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Da atto dei presupposti processuali per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, se dovuto, dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002.