CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 maggio 2018, n. 12416
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Evidente antieconomicità della gestione – Accertamento induttivo basato su presunzioni semplici – Inversione dell’onere di prova contraria a carico del contribuente
Fatti e ragioni della decisione
La società A. Motor Italia srl ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando la sentenza della CTR Campania che ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale era stato ritenuto legittimo l’accertamento emesso sulla base di studi di settore a carico della società.
La parte intimata si è costituita con controricorso, pure depositando memoria.
Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.
Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 39, co. 1, lett. d) dpr n.600/73 e dell’art. 62 sexies d.l. n. 331/1993. Il giudice di appello non avrebbe risposto ai quesiti posti dalla società in ordine alla regolarità delle scritture contabili e alla conseguente attendibilità degli studi di settore.
Il motivo è infondato.
Occorre rammentare che l’art. 62 sexies d.l. n. 331/93, convertito nella I. n. 427/93 prevede, al comma 3, che “Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’articolo 62-bis del presente decreto.”
Peraltro, questa Corte è ferma nel ritenere che gli studi di settore costituiscono, come si evince dall’art. 62 sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito in legge 29 ottobre 1993, n. 427, solo uno degli strumenti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile, il reddito reale del contribuente: tale accertamento, infatti, può essere presuntivamente condotto anche sulla base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, a prescindere, quindi, dalle risultanze degli specifici studi di settore e dalla conformità alle stesse dei ricavi aziendali dichiarati -Cass.n.20060/2014, Cass.n.6951/2017-. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (cfr. Cass. n. 7871 del 18/05/2012) e ciò indipendentemente dalla riscontrata regolarità formale delle scritture contabili, atteso che la grave incongruità o abnormità del dato economico esposto in dichiarazione priva le stesse scritture contabili di qualsiasi attendibilità (cfr. Cass. n. 20201 del 24/09/2010; id. Cass. n. 26167 del 06/12/2011, secondo cui in tema di IVA, la circostanza che un’impresa commerciale dichiari per più annualità un volume di affari di molto inferiore agli acquisti ed applichi modestissime percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare, da parte dell’Amministrazione, una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; id. n. 3197 del 11/02/2013; id. Cass. n. 6929 del 20/03/2013; id. Cass. n. 14941 del 14/06/2013) – Cass. n. 26508/2014 -. Ne consegue che una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando i presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con il conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità cfr. Cass. n. 25257/2017-.
Ora, tali principi, ai quali è necessario dare continuità, dimostrano l’erroneità della censura esposta dalla parte ricorrente, essendo evidente che l’ufficio può ben fondare l’accertamento induttivo sulle gravi incongruenze riscontrate che, indipendentemente dalla regolarità contabile, possono sorreggere validamente l’accertamento. Ciò che è avvenuto nel caso di specie. Infatti, la CTR ha valorizzato l’antieconomicità di gestione dell’impresa che ha costituito l’elemento di innesco della pretesa fiscale qui in esame, ritenendo ‘…la evidente antieconomicità di gestione rilevata dall’Ufficio (scaturente in particolare dalla circostanza che in bilancio la società ha dichiarato un utile negativo di euro 3.000,00 corrispondente alla differenza tra euro 643.000,00 di ricavi ed 646.000,00 di costi di produzione”; peraltro affermando che il contribuente non aveva prodotto documentazione utile a superare i rilievi dell’ufficio.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. La CTR non si sarebbe espressa sulle doglianze concernenti l’adombrata antieconomicità dell’operato della stessa contribuente, violando altresì l’art. 1321 c.c. e la sottesa libertà di determinare liberamente i prezzi sulla base della reale dinamica contrattuale.
La censura è infondata.
Va premesso che la CTR ha ritenuto legittima la ripresa fiscale fondata su una percentuale di ricarico del 10% inferiore al minimo di quella applicata alle imprese operanti nel settore di riferimento, valutando l’incongruità di quella, irrisoria, dichiarata nella misura dell’1,85 %.
Ciò posto, quanto alla prima questione, invero di difficile intelligibilità, la stessa prospetta un vizio di violazione di legge in ordine all’onere della prova, senza avvedersi che dalla pur succinta motivazione della CTR si comprende che l’accertamento è scaturito dalla constatata antieconomicità della gestione e dalle conseguenti gravi incongruenze riscontrate, non superate da elementi di segno contrario mai offerti dal contribuente. Ciò che esclude la prospettata violazione della disciplina in tema di onere della prova.
Parimenti infondata risulta la seconda parte della censura, proprio in forza dei principi ricordati esaminando il primo motivo -Cass.n. 26508/2014, Cass.n.12167/2014 e Cass.n. 25257/2017-, A tali principi si è pienamente uniformato il giudice di appello valorizzando, come detto, l’antieconomicità di gestione e la percentuale di ricarico utilizzata dall’Ufficio.
Sulla base delle superiori considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi pure esposti in memoria dalla ricorrente, peraltro rivolti a porre in discussione un accertamento di fatto dell’Ufficio all’interno di censure che prospettano la violazione di legge, il ricorso va per l’effetto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, dando atto, ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater DPR n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dell’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002
P.Q.M.
Visti gli artt.375 e 380 bis c.p.c.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in euro 3500, 00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi dell’art.13 c. l quater dPR n.115/2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dell’art. 13 comma 1 quater d.PR n.115/2002.
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