CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 maggio 2018, n. 12481
Tributi – Imposte sui redditi – Accertamento – Reddito d’impresa – Corrispettivo della cessione di beni immobili – Rideterminazione in base al valore OMI e alla comparazione di immobili simili – Legittimità
Rilevato
che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione semplificata;
che R. s.r.l. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Frosinone. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione della società contro un avviso di rettifica imposta di registro;
Considerato
che il ricorso è affidato a due motivi;
che col primo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 51, commi 2° e 3°, e 52, commi 2° e 2°bis, D.P.R. n. 131/1986 e dell’art. 7 L. n. 212/2000, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.: la CTR avrebbe erroneamente riconosciuto la sussistenza della motivazione sull’atto, in forza del mero richiamo allo scostamento tra valore accertato e valore dichiarato, all’esito delle quotazioni OMI ed a termini di comparazione solo genericamente riferiti; che, col secondo, si assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 comma 1° e dell’art. 116 comma 1° c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., giacché i giudici di appello, a fronte di una valutazione apparentemente ponderata della perizia redatta dall’Ufficio del Territorio, in modo del tutto generico e sommario avrebbe negato che la relazione tecnica prodotta dalla società potesse integrare la prova contraria; che l’intimata ha resistito con controricorso;
che il primo motivo è infondato;
che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione dell’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 24, comma 5, della I. n. 88 del 2009, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dall’art. 35, comma 3, del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla I. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Sez. 5, n. 9474 del 12/04/2017); che la CTR ha considerato che l’Ufficio, oltre ad aver richiamato i valori OMI, “ha fatto riferimento ad una porzione immobiliare uso albergo sita in Roma via del Viminale con riferimento alle valutazioni del 2° semestre 2006 in cui il valore normale è di euro 5.600,00 al mq ed a porzione immobiliare uso albergo sito in Roma via Principe Amedeo il cui valore corrisponde ad euro 5.000,00 al mq”;
che, in tal modo, non può dirsi che il giudice di appello abbia fatto un riferimento solo generico ai criteri di comparazione esterni ai valori OMI;
che, al contrario, la CTR ha ritenuto corretto l’accertamento operato dall’Ufficio, applicando i principi poc’anzi ricordati e consentendo oggettivamente al contribuente, con una semplice visura catastale, di prendere corretta conoscenza della consistenza degli immobili comparati; che il secondo motivo è inammissibile;
che, infatti, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (Sez. 3, n. 23940 del 12/10/2017); che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo; che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore dell’Agenzia delle Entrate, in euro 10.000, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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