CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 maggio 2020, n. 9342
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Applicazione dello studio di settore evoluto – Legittimità
Rilevato che
M. Srl ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, contro l’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, indicata in epigrafe, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento che recuperava a tassazione IRES, IRAP, IVA, per il periodo d’imposta 2004, maggiori redditi accertati tramite lo scostamento tra i ricavi dichiarati (euro 1.339.482,00) e quelli risultanti dall’applicazione dell’apposito studio di settore (euro 1.463.924,00) – in accoglimento dell’appello dell’ufficio, ha riformato la sentenza di primo grado, favorevole alla contribuente;
il giudice d’appello ha fondato il proprio convincimento sulle seguenti considerazioni: (a) l’ufficio aveva utilizzato come parametro di riferimento lo studio di settore TD20U, la cui applicazione era stata invocata dalla stessa contribuente, nel contraddittorio svoltosi in fase amministrativa; (b) la contribuente, nel giudizio di primo grado, con una memoria difensiva depositata 20 giorni prima dell’udienza, alla quale l’ufficio non aveva potuto replicare, aveva fatto valere un motivo aggiunto, in violazione degli artt. 24, 32, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – puntualmente censurato dall’Amministrazione finanziaria – chiedendo l’applicazione dello studio di settore evoluto UD20U (definitivamente approvato nel 2009 e applicabile a partire dall’anno d’imposta 2008); (c) tale ultima versione dello studio di settore, però, non poteva giovare alla contribuente sia perché era stata elaborata successivamente all’annualità accertata (2004), sia perché gli uffici finanziari hanno l’onere di adeguarsi allo studio di settore più evoluto (ove più favorevole al contribuente) soltanto nel contraddittorio endoprocedimentale e non anche nel corso del giudizio; (d) in conseguenza di ciò, la società era comunque tenuta a fornire la prova dei ricavi esposti, a prescindere dall’indicazione dello studio di settore più recente;
Considerato che
1. con il primo motivo del ricorso [1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 62 sexies della legge n. 427/93 e 10 della legge n. 146/98 con riferimento alle relative circolari nn. 23/06 e 38/07 (e altre) Ministero delle Finanze], la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere escluso contra legem l’applicazione dello studio di settore successivo e più affinato UD20U, che avrebbe condotto a risultati più favorevoli alla contribuente, visto che il volume di ricavi dichiarato, nell’annualità 2004, nella misura di euro 1.339.482,00, si collocava all’interno del range (euro 1.337.480,00 – euro 1.352.072,00) indicato dal detto studio di settore, il che rendeva certamente illegittimo l’avviso di accertamento dell’ufficio;
2. con il secondo motivo [2) Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio], la ricorrente addebita alla CTR di non avere spiegato la ragione per la quale detto studio di settore successivo e più evoluto non sarebbe applicabile in sede giudiziale;
2. i due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro matrice giuridica unitaria, sono fondati;
2.1. è utile richiamare alcuni enunciati della giurisprudenza di questa Sezione tributaria, in punto di studi di settore, ai quali il Collegio intende aderire:
(a) la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è «ex lege» determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli «standards» in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento». (Cass. 30/10/2018, n. 27617);
(b) da tali principi si evince che l’indefettibile esigenza di adeguare il semplice scostamento del reddito dichiarato rispetto agli «standards» alla realtà reddituale del singolo contribuente si attua attraverso l’essenziale ed imprescindibile contraddittorio procedimentale e si traduce nella necessità per l’ufficio di fornire una motivazione rafforzata: non basta, in altri termini, il mero rilievo dello scostamento dai parametri, ma occorre, anche sotto il profilo probatorio, che l’ufficio indichi le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, potendo solo così emergere i caratteri di gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri, idonei a commisurare la presunzione stessa alla concreta realtà economica dell’impresa. (Cass. 18/12/2017, n. 30370; 07/06/2017, n. 14091);
(c) con specifico riferimento ai motivi di ricorso in esame, l’accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, per cui si giustifica l’applicazione retroattiva dello strumento più recente, che prevale rispetto a quello precedente, in quanto più raffinato e più affidabile (Cass. 07/08/2019, n. 21064; conf.: 18/11/2015, n. 23554; sez. un. 18/12/2009, n. 26635);
2.2. svolta questa premessa in punto di diritto, tornando all’esame dei motivi, la CTR non si è uniformata a tali canoni giuridici e, contemporaneamente, è incorsa nel denunciato vizio di motivazione, laddove, con espressioni assertive e anapodittiche, discostandosi dalla statuizione della Commissione provinciale, ha negato che la contribuente potesse chiedere, nel giudizio di merito, l’applicazione retroattiva del recente studio UD20U (un’evoluzione della versione dello studio TD20U che, nel 2007, era stato già oggetto di una prima revisione), il quale – secondo la prospettazione della società – avrebbe fatto venire meno lo scostamento tra l’ammontare dei ricavi dichiarati e quelli presunti dall’Amministrazione finanziaria in applicazione della precedente versione dello studio di settore;
3. ne consegue che, accolti entrambi i motivi, la sentenza è cassata, con rinvio alla CTR della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza, rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.