CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 marzo 2018, n. 7034

Tributi – Disciplina delle società “non operative” – Istanza di disapplicazione della normativa antielusiva – Rigetto per carenza di allegazione e di prova – Legittimità – Onere di prova della sussistenza o meno di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore) che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito

Rilevato che

1. l’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi contro l’A. s.r.l. per la cassazione della sentenza n. 20/8/2012 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sez. 8, del 25/11/2011, depositata il 28/2/2012 e non notificata, concernente l’impugnativa da parte del contribuente del provvedimento prot. n. 917-25236/2009 del 2 luglio 2009, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva dichiarato improcedibile, per carenze di allegazione e di prova, l’istanza di disapplicazione della normativa antielusiva, presentata dalla società in data 17/4/2009 ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, D.P.R. n. 600/73 e dell’art. 30, comma 4 bis, L. n. 124/1994;

2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Puglia, confermando la sentenza della C.T.P. di Bari, ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate, sul presupposto della impugnabilità del provvedimento dell’Amministrazione e dell’infondatezza nel merito del diniego della disapplicazione della normativa antielusiva;

3. a seguito del ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della C.T.R. della Puglia, la società contribuente si costituisce e resiste con controricorso notificato il 25/10/2012;

4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 30 gennaio 2018, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197;

Considerato che

1.1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.;

ed invero, con il provvedimento di improcedibilità, impugnato dalla contribuente, il Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, riscontrati il difetto di produzione documentale e la rappresentazione generica dei fatti, ha dichiarato “improcedibile l’istanza per l’anno 2008, in quanto inidonea ad ottenere una determinazione in ordine all’eventuale disapplicazione delle disposizioni contenute nell’art. 30 della legge del 23/12/1994, n. 724”;

secondo l’Agenzia delle Entrate, il provvedimento, che dichiara l’improcedibilità dell’istanza, non contiene una decisione di rigetto nel merito dell’istanza medesima, ma ha natura meramente interlocutoria, rilevando una carenza nella descrizione della fattispecie e nella documentazione allegata, che ne preclude la valutazione;

sostiene, quindi, che, conformemente a quanto affermato dalla recente sentenza della Cassazione n. 5843/2012, la natura interlocutoria del provvedimento precluda la sua assimilazione agli atti impugnabili indicati nell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, con la conseguenza che esso non possa essere impugnato dal contribuente innanzi alle Commissioni Tributarie di primo e secondo grado (ben potendo il contribuente, proporre un’ulteriore istanza nei termini previsti per la presentazione della dichiarazione dei redditi);

1.2. il motivo è infondato e deve essere rigettato;

1.3. invero, nel caso in esame la dichiarazione di improcedibilità si fonda su di una valutazione di merito dell’istanza ed, in particolare, sul rilievo dell’inadeguatezza della documentazione presentata dalla società contribuente;

l’impugnazione da parte della società ha ad oggetto proprio la risposta negativa dell’Amministrazione alla istanza di disapplicazione della normativa antielusiva, sul presupposto dell’erroneità delle conclusioni cui è giunta l’Amministrazione nel ritenere insufficiente la documentazione prodotta dalla contribuente;

“la risposta all’interpello, positiva o negativa, costituisce il primo atto con il quale l’amministrazione, a seguito di una fase istruttoria e di una valutazione tecnica, e con particolari garanzie procedimentali, porta a conoscenza del contribuente, in via preventiva, il proprio convincimento in ordine ad una specifica richiesta, relativa ad un determinato rapporto tributario, con l’immediato effetto di incidere, comunque, sulla condotta del soggetto istante in ordine alla dichiarazione dei redditi in relazione alla quale l’istanza è stata inoltrata” (Cass. sent. n. 17010/2012)”;

non può, pertanto, negarsi che il contribuente, destinatario della risposta negativa, sia essa di inammissibilità, improcedibilità o diniego, abbia l’interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell’atto in esame, in particolare quando esso involge la valutazione della documentazione prodotta a sostegno dell’istanza;

2.1. con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate si duole dell’insufficiente ed illogica motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.5, c.p.c., su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

in particolare, con l’istanza di disapplicazione delle norme antielusive, la società contribuente aveva dedotto il mancato completamento dell’opificio industriale e la non agibilità dell’immobile acquistato il 17/11/2008, sito in Acquaviva della Fonti alla via S., per il quale stava preparando un progetto di riqualificazione dell’intera area;

secondo l’Agenzia delle Entrate, la sentenza impugnata non motiva in alcun modo sull’idoneità probatoria della documentazione prodotta dalla contribuente in ordine alle ragioni di obiettiva difficoltà, che avrebbero impedito l’ultimazione della costruzione dell’opificio, dal 2002, anno di acquisto del terreno, al 2008;

né la sentenza avrebbe motivato in maniera logica e coerente sulla impossibilità per la contribuente di disporre dell’immobile sito in Acquaviva delle Fonti, alla via S., acquistato in data 17/11/2008, ma già indicato nello stato patrimoniale della società acquirente nel bilancio dell’anno 2007, nel corso del quale era stato stipulato il contratto preliminare di vendita;

la ricorrente sostiene che non sarebbe dirimente il riferimento dei giudici di appello alla circostanza che il contratto di acquisto di tale ultimo immobile prevedeva il ritiro delle attrezzature del venditore e la liberazione del bene entro il 31 gennaio 2009, perché la fissazione di un termine ultimo non costituiva prova sufficiente in ordine al momento dell’effettivo ritiro delle suddette attrezzature, che poteva essere avvenuto anche in data precedente;

2.2. il motivo è fondato e deve essere accolto;

2.3. nel provvedimento di improcedibilità, l’Amministrazione aveva evidenziato che la documentazione allegata all’istanza di disapplicazione (l’atto del 2002 di acquisto del terreno su cui costruire l’opificio, nonché l’atto del 17/11/2008 di acquisto dell’immobile di via S.) “non era da sola sufficiente a giustificare il mancato avvio dell’attività sociale nell’anno in corso”, rilevando che la società avrebbe dovuto allegare la documentazione “attestante la qualità e quantità degli interventi da realizzare e le ragioni della mancata realizzazione”;

la C.T.P. di Bari non ha motivato in ordine alla sussistenza di “documentate” ed “oggettive” ragioni di impedimento all’avvio dell’attività, ma ha escluso che gli immobili acquistati dalla società potessero aver prodotto un reddito per l’anno 2008, stante la collocazione del terreno acquistato nel 2002 in zona PIP e l’inagibilità dell’immobile acquistato il 17/11/2008;

rigettando l’appello dell’Amministrazione, la C.T.R. ha richiamato la motivazione della C.T.P. ed ha concluso nel senso che era evidente il mancato avvio dell’attività imprenditoriale e l’impossibilità oggettiva per la società di conseguire nell’anno di imposta ricavi, proventi e rimanenze nella misura minima richiesta dalla disciplina delle società non operative;

anche la motivazione della C.T.R. della Puglia, quindi, rimane carente sotto il profilo dell’iter logico – argomentativo che ha consentito ai giudici di ritenere provate le ragioni di obiettiva difficoltà che avrebbero impedito la costruzione dell’opificio sul terreno acquistato alcuni anni prima e l’avvio dell’attività imprenditoriale;

ed invero, l’art. 30, comma 1 della legge n. 724/1994 ha introdotto una presunzione legale relativa in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati in conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società (cosiddetto test di operatività dei ricavi);

siccome l’art. 30 della Legge n. 724/1994 individua la società “non operativa” esclusivamente sulla base del criterio quantitativo del test, indipendentemente dalle intenzioni e dal comportamento dei soci, il comma 4 bis dell’art. 30 della Legge n. 724/1994 ha previsto la possibilità di presentare istanza di interpello (chiedendo la disapplicazione delle “relative disposizioni antielusive”) in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore) che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al comma 1 dell’art. 30;

il giudice di appello ha evidentemente omesso di motivare sul punto, limitandosi ad evidenziare le caratteristiche di scarsa (o nulla) redditività dei beni (in particolare del secondo immobile acquistato solo a novembre 2008, con l’impegno del venditore di liberarlo delle attrezzatture entro il 31 gennaio 2009), senza in alcun modo argomentare in ordine alla causa della mancata costruzione dell’opificio, sul suolo acquistato a tal fine alcuni anni prima dalla società, e più in generale in ordine alle circostanze che hanno comportato il mancato avvio dell’attività imprenditoriale;

4.1. in conclusione, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, con conseguente rinvio alla C.T.R. della Puglia, in diversa composizione, affinché decida nel merito, anche sulle spese del giudizio di legittimità, motivando adeguatamente in ordine alla sussistenza o meno della prova di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore) che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al comma 1 dell’art. 30 citato;

P.Q.M.

Rigettato il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo di ricorso e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.