CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 marzo 2019, n. 8020
Professionisti – Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza Ragionieri e Periti commerciali – Liquidazione dei trattamenti pensionistici – Violazione del principio del pro rata
Rilevato che
La Corte d’appello di Torino (sentenza del 2.2.2015) ha accolto l’impugnazione proposta dalla Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza Ragionieri e Periti commerciali avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Mondovì, che aveva ritenuto illegittima la delibera n. 44/12 del 12.1.2012 di liquidazione della pensione in favore di G.D., in quanto adottata in violazione del principio del pro rata di cui all’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, con conseguente condanna della stessa Cassa al pagamento delle differenze sulle mensilità già corrisposte, e per l’effetto ha respinto la domanda proposta col ricorso di primo grado dal pensionato;
ad avviso della Corte territoriale, considerato che nelle more del giudizio era entrata in vigore la legge n. 147 del 2013, art. 1, comma 488 e che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24221 del 13.11.2014, aveva finito per considerare l’impatto di quest’ultima norma sulle pensioni liquidate successivamente all’1.1.2007, doveva confermarsi la legittimità delle delibere del 2002 e del 2003 ed il criterio di liquidazione adottato dalla Cassa, trattandosi di pensione erogata successivamente al 31.12.2006, per cui coloro che erano stati collocati in pensione a partire dall’1.1.2007 non potevano fare affidamento sulla garanzia del “pro rata” nell’originaria più ampia portata, con la conseguenza che era legittima la liquidazione dei trattamenti pensionistici, come quello oggetto di causa, fatta dalla Cassa con decorrenza successiva all’1.1.2007 nel rispetto della normativa regolamentare interna di cui alle delibere del 22.6.2002, del 7.6.2003 e del 20.12.2003;
avverso tale sentenza ricorre per cassazione D. G. sulla base di cinque motivi, cui resiste con controricorso la suddetta Cassa di previdenza; le parti depositano memoria;
Considerato che
col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 12, l. n. 335/1995, come modificato dall’art. 1, comma 763, prima parte, della legge n. 296/2006, contestando che quest’ultima norma abbia reso legittima, secondo la non condivisa interpretazione offertane dalla Corte territoriale, un’applicazione attenuata del principio del “pro rata” che, invece, secondo il presente assunto difensivo, è finalizzato a salvaguardare la quota di pensione già maturata che non può subire alcun affievolimento, pena la disapplicazione del principio stesso; inoltre, sarebbe stato onere della Cassa quello di provare di aver tenuto presente il principio del “pro rata”, sia nelle delibere regolamentari che in quella di liquidazione del trattamento pensionistico in esame, onere, questo, che il ricorrente assume non essere stato assolto nella fattispecie;
col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 3, co. 12, l. n. 335/1995, 1, comma 763, l. n. 296/2006 e 1, comma 488, l. n. 147/2013, il ricorrente contesta l’impugnata sentenza laddove si è ritenuto di poter applicare in maniera affievolita il principio del “pro rata” per i trattamenti pensionistici liquidati successivamente all’1.1.2007, assumendo che una siffatta applicazione può valere solo per i provvedimenti della Cassa successivi all’approvazione della normativa di modifica del 2006 e non già per le deliberazioni regolamentari del 22.6.2002 e del 7.6.2003 sulle quali si fondano le liquidazioni pensionistiche, come la sua, successive all’1.1.2007; ne consegue, secondo il ricorrente, che nel caso di specie la sua pensione avrebbe dovuto essere calcolata in base al generale principio del “pro rata” inteso nel suo più ampio senso originale;
col terzo motivo, formulato per violazione dell’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, il ricorrente sostiene che tale norma, qualificata come di interpretazione autentica di quella di cui all’art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006 nell’ultima parte contenente la clausola di salvezza per la quale gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006 n. 296 si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine, non assegna, in realtà, alla norma interpretata uno dei suoi possibili significati, bensì un significato nuovo e diverso, in quanto integra, con un nuovo precetto, il contenuto della norma antecedente; in ogni caso, aggiunge il ricorrente, un’eventuale interpretazione volta a ritenere la retroattività dello ius superveniens porrebbe dubbi di compatibilità costituzionale in quanto verrebbe ad essere leso, in primo luogo, l’affidamento legittimamente insorto in capo ai soggetti interessati per il loro “maturato previdenziale” garantito dall’applicazione del principio del “pro rata temporis”; in secondo luogo, risulterebbe in tal modo violato il principio della ragionevolezza che si riflette nel divieto per il legislatore di introdurre ingiustificate disparità di trattamento tra coloro che hanno già conseguito una rivalutazione in via giudiziale coperta da giudicato e coloro che non potrebbero più conseguirla; in terzo luogo, la norma ritenuta retroattiva di cui alla citata legge n. 147/2013 finirebbe per interferire coi giudizi in corso con conseguente violazione del diritto di difesa, nonché delle prerogative del potere giudiziario di cui agli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione; inoltre, la pretesa sanatoria, nell’imporre al giudice investito della controversia una regola di giudizio già predisposta, violerebbe l’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (legge n. 848/1955) che stabilisce il diritto ad un equo processo quale diritto ad un provvedimento decisorio del merito della lite; ciò implicherebbe, altresì, l’illegittimità dell’ultimo periodo dell’art. 1, comma 763, L. n. 296/2006 per contrasto con l’art. 117 Cost. nella misura in cui legittima, convalidandoli ex lege e vincolandoli al solo fine del perseguimento dell’equilibrio di bilancio di lungo termine, atti regolamentari da tempo riconosciuti illegittimi per violazione del principio del pro rata, con ulteriore violazione della garanzia previdenziale di cui all’art. 38, comma 2, della Costituzione; né andrebbe trascurata, secondo la presente tesi difensiva, la considerazione per la quale il cosiddetto “maturato previdenziale” gode anche della protezione dell’art. 1, Prot. Addiz. C.E.D.U., che sancisce il rispetto dei propri beni;
col quarto motivo, proposto per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 488 della legge n. 147/2013 e dell’art. 2697 cod. civ., il ricorrente contesta quanto ritenuto dalla Corte territoriale circa il fatto che la finalità perseguita dalla Cassa attraverso l’adozione delle delibere antecedenti all’entrata in vigore della legge n. 296/06 fosse quella di assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine, in quanto una tale condizione non poteva essere data semplicemente per scontata senza una verifica della sua reale sussistenza, in difetto della quale nemmeno era possibile applicare lo ius superveniens che presupponeva l’esistenza della stessa;
col quinto motivo si denunzia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento all’omessa verifica della sussistenza della circostanza della finalizzazione delle delibere della Cassa antecedenti alla legge n. 296/06 al raggiungimento dell’equilibrio finanziario di lungo termine dell’ente di previdenza;
i cinque motivi così riassunti, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati;
invero, il ricorrente non prospetta questioni tali da far ritenere opportuno un ripensamento che induca a discostarsi dagli arresti di cui alle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione nn. 17742 e 18136 del 2015 e dalle successive decisioni alle stesse conformi, cui va data continuità, per cui non vi è ragione di accogliere la domanda;
si sostiene che la pronuncia ora richiamata abbia errato nel confermare la dichiarata natura interpretativa dell’art. 1, comma 488, l. n. 147 del 2013, posto che non vi era alcuna incertezza interpretativa sui contenuti della cd. clausola di salvezza di cui all’art. 1, comma 763, l. n. 296 del 2006 e da ciò, ad avviso del ricorrente scaturirebbe l’irretroattività del disposto della legge del 2013 e la necessità di ritenere che la cd. salvezza delle delibere della Cassa non possa operare anche dopo l’intervento dell’art. 1, comma 763, l. n. 296 del 2003 e ciò per contrasto con i principi costituzionali contenuti negli artt. 38, secondo comma, 3 e 47 Cost. nonché con l’art. 1 del Protocollo aggiuntivo alla CEDU e, quindi, con l’art. 117 Cost., inoltre, i motivi evidenziano che anche a voler ritenere non condivisibile tale critica la nuova formulazione dell’art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995 non potrebbe essere applicata alle fattispecie in cui la maturazione del diritto a pensione è avvenuta precedentemente al 1.1.2007, anche se il trattamento pensionistico è stato erogato successivamente e, comunque, tale nuova formulazione non potrebbe legittimare il calcolo della quota “A” del trattamento previsto dal Regolamento entrato in vigore il 1.1.2004 in quanto attraverso tale strumento si intaccherebbe inevitabilmente il diritto al trattamento pensionistico adeguato e proporzionato al maturato contributivo realizzato nel tempo, prima del 2007;
la soluzione della specifica questione poggia sulla preliminare determinazione della linea di demarcazione dell’esercizio dei poteri regolamentari della Cassa, posto che, più in generale, il rispetto del principio di autonomia riconosciuto agli enti previdenziali privati e la natura obbligatoria del regime assicurativo che gli stessi gestiscono comporta necessariamente una relazione con la fonte legislativa nei cui confronti esiste un obbligo di conformazione;
la realizzazione del fine pubblico imposto dall’art. 38 Cost. è mediata dalla legge ed è, dunque, la legge che di volta in volta fissa i corretti parametri di riferimento dei poteri regolamentari e che impone ai medesimi la cifra della garanzia da riconoscere agli assicurati. In questo solco, dunque, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (tra le tante Cass. n. 24202 del 2009; n. 13602 del 2012; n. 24534 del 2013; SS.UU. n. 18136 del 2015 e n. 17442 del 2015), è solida nell’affermare che:
a) la L. 23 agosto 1988, n. 400, art.17, comma 2, indica i regolamenti di delegificazione come quelli “destinati a sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali, in conformità a nuove norme generali regolatrici della materia stabilite con legge, e con effetto di abrogazione differita delle disposizioni legislative sostituite” (Corte cost. n. 376 del 2002) e tale disposizione, pur priva di rango costituzionale, disegna un modello di carattere generale, cosicché la deviazione da esso, ad opera della legge ordinaria, è di stretta interpretazione; pertanto, laddove il legislatore “delegante” ha inteso assegnare alla fonte sub-primaria delegata anche il potere normativo di derogare a specifiche disposizioni collocate al superiore livello primario lo ha previsto espressamente;
b) il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, ha posto alle Casse “privatizzate” l’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle rispettive gestioni mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale. Per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di “sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti” (cfr, Cass. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto “anche in deroga a disposizioni di legge precedenti”, ma in realtà le suddette disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit., non hanno affatto attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla citata L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, sicché ad essi – e, quindi, anche all’emanando Regolamento della Cassa di previdenza ragionieri – non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse “privatizzate”, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art.3, comma 12, che costituisce il riferimento normativo centrale per l’esito di questa controversia e che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate;
c) ciò del resto è dimostrato anche dal fatto che, quando è emersa l’opportunità di modificare tale disposizione, vi ha provveduto la legge (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763) e non il Regolamento della Cassa;
la giurisprudenza di questa Corte, nel ricostruire il succedersi degli interventi legislativi inerenti all’art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995 ha, in sintesi, consolidato i seguenti principi:
– la garanzia costituita dal principio c.d. del pro rata – il cui rispetto è prescritto ex art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995 per le casse privatizzate ex D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti – ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare delle Casse” (ex pluribus: Cass. sez. lav., 18 aprile 2011, n. 8846; Cass. sez. lav., 2 maggio 2011, n. 9621; Cass. sez. 6-L, 7 marzo 2012, n. 3613; Cass. sez. lav., 30 luglio 2012, n. 13607, Cass. sez. 6-L, 14 febbraio 2014, n. 3520; Cass. SS.UU. 17742 del 2015);
– l’art. 1, comma 763, ha sostituito il concetto del pro rata di cui all’originario art. 3, comma 12, con un concetto meno rigido, introducendo una disposizione innovativa, secondo cui le Casse privatizzate nell’esercizio del loro potere regolamentare sono tenute non più al “rispetto del principio del pro rata” (vecchia formulazione), ma a tenere “presente il principio dei pro rata” nonché “i criteri di gradualità e di equità fra generazioni” (nuova formulazione), a partire dal 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge n. 296 “; con ciò il criterio del pro rata è stato reso flessibile e posto in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni consentendo alla Cassa, solo dalla data di entrata in vigore della norma, di adottare Delibere in cui il principio del pro rata venga temperato rispetto ai criteri originali di cui alla L. n. 335 del 1995, (tra le tante, v. Cass. 18.04.11 n. 8847, 7.03.12 n. 3613 e 30.07.12 n. 13607, nn. 3514 e 3520 del 14.02.14 richiamate da Cass. SS.UU. n. 17742 del 2015 e n. 18136 del 2015 );
– l’ultimo periodo del comma 763, per il quale “Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ovvero degli enti di cui al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, ed approvati dai Ministeri vigilanti prima data di entrata in vigore della presente legge”, non costituisce una validazione successiva delle disposizioni regolamentari delle Casse interessate nella parte in cui non ottemperavano alla prescrizione del “rispetto del principio del pro rata”, ma riguarda le delibere future, successive al 1 gennaio 2007 e non può operare retroattivamente al fine di rendere legittime delibere anteriori che dovevano invece conformarsi alla normativa vigente al momento in cui erano state emanate ed ai fini della liquidazione della pensione. La legittimità delle delibera va valutata a seconda del periodo in cui il diritto sia maturato (prima o dopo quella data) e del concetto di pro rata accolto dalla legislazione al momento vigente;
– la norma della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, non si pone in contrasto con i principi enunciati dalla Corte EDU, assumendo una ben determinata fisionomia interpretativa nella vicenda della riforma della previdenza gestita dagli enti privatizzati, in quanto lo stesso comma 488 interviene solo sul secondo parametro applicativo relativo alla applicazione attenuata dello stesso principio, ai sensi della formulazione del comma 12 introdotta dalla L. n. 296, art. 1, comma 768 e non sul primo parametro di validità della regolamentazione della Cassa (rispetto assoluto dei pro rata, in forza della originaria formulazione della L. n. 335, art. 3, comma 12) così confermando l’interpretazione sposata da Cass. n. 24221 del 2014 ed in difformità da Cass. n. 17892 del 2014 che, negandone la reale natura interpretativa e la conformità ai precetti costituzionali e della CEDU, aveva riferito l’ambito della norma interpretativa anche alle pensioni maturate prima del 1.1.2007;
ciò premesso, è evidente che la natura realmente interpretativa dell’art 1, comma 488, l. n. 147 del 2013 è stata in maniera convincente correlata alla oggettiva ambiguità del testo dell’art. 1, comma 768, l. n. 296 del 2006 in punto di limiti dell’effetto sanante delle precedenti delibere, testimoniata dalla giurisprudenza non uniforme della Corte di cassazione; dunque, alla luce della interpretazione complessiva sopra ricordata, non può essere messo in dubbio che nel caso di specie – ove la liquidazione del trattamento pensionistico è stata eseguita con delibera del 12.1.2012 che contemplava la decorrenza dall’1.9.2011 – vada applicata la formulazione dell’art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995 modificata nel 2006;
inoltre, specificato nei termini di cui sopra il rapporto esistente tra potere regolamentare della Cassa e legge, il discorso non può mutare sospettando di illegittimità costituzionale le disposizioni introdotte a modifica dell’originaria formulazione dell’art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995, posto che nessuno di tali vizi ricorre nelle disposizioni che hanno delimitato nel tempo il potere regolamentare delle Casse professionali alla luce degli obblighi di stabilità di bilancio incombenti sulla gestione della Cassa e del penetrante controllo pubblico amministrativo cui la stessa è soggetta;
quanto, poi, ai profili di pregiudizio al principio di adeguatezza e proporzionalità del trattamento pensionistico che deriverebbero da misure di contenimento della spesa pensionistica, va ricordato che la stessa Corte Costituzionale, da ultimo, con la sentenza n. 104 del 2018, ha avuto modo di precisare, proprio in materia di legittimità di meccanismi disincentivanti i trattamenti pensionistici anticipati, che < […] nei rapporti di durata il trattamento differenziato, riservato a una determinata categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo, non contrasta con il principio di eguaglianza.
Spetta difatti alla discrezionalità del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme e, da questa angolazione, il fluire del tempo può rappresentare un apprezzabile criterio distintivo nella disciplina delle situazioni giuridiche > (sentenze n. 273 del 2011, punto 4.2. del “Considerato in diritto”, e n. 94 del 2009, punto 7.2. del “Considerato in diritto […]”; nel caso di specie, alla luce della portata generale delle modifiche al sistema pensionistico sottostanti alle nuove regole, non possono ritenersi superati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità che presiedono alla «attuazione graduale» dei princìpi sanciti dagli artt. 36 e 38 Cost., anche alla luce delle esigenze connesse alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa» (sentenza n. 119 del 1991, punto 3. del “Considerato in diritto”, da ultimo ripresa dalla sentenza n. 259 del 2017, punto 3.1. del “Considerato in diritto” ( Corte Cost. n. 104 del 2018);
va, inoltre, disatteso il profilo secondo cui il nuovo regime del pro rata andrebbe applicato solo alle pensioni erogate su contribuzione successiva all’1.1.2007 o, comunque, non andrebbe applicata a chi aveva già maturato l’anzianità contributiva minima per ottenere la prestazione alla stessa data, e ciò in continuità con quanto già affermato da questa Corte con la sentenza n. 19544 del 2016, ove si è messo in evidenza che già la legge 30.12.1991 n. 414, avente ad oggetto la riforma della Cassa di Previdenza ora in causa, all’art. 1, dopo aver individuato le prestazioni assicurative poste a carico dell’Ente in favore dei suoi iscritti (c. 1 – 2), prevede che: “3. Tutte le pensioni sono corrisposte su domanda degli aventi diritto. 4. I trattamenti di pensione decorrono dal primo giorno del mese successivo a quello in cui è avvenuta la presentazione della domanda per le pensioni indicate al comma 1, lett. b) e c) [pensioni di anzianità, inabilità ed invalidità], e dal primo giorno del mese successivo al verificarsi dell’evento da cui nasce il diritto, per le pensioni indicate al comma 1, lett. a) e d) [vecchiaia e superstiti]. 5.- omissis. 6. Il diritto ai trattamenti di pensione matura al verificarsi delle condizioni previste dalla presente legge…”. Per cui, dalla lettura di queste disposizioni, ed in particolare da quelle del c. 6, emerge chiaramente che la maturazione del diritto a pensione avviene al verificarsi delle condizioni ivi previste compresa la ineliminabile domanda;
quanto, poi, alla legittimità della introduzione del coefficiente di neutralizzazione, oltre alle considerazioni sopra svolte deve aggiungersi che, più in generale e con riferimento a tutti i trattamenti pensionistici di anzianità anche precedenti al 2007, questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 23597 del 28 settembre 2018) che l’applicazione di tale coefficiente di neutralizzazione sull’anzianità maturata dopo la delibera della Cassa del 7 giugno 2003 non viola il principio del “pro rata” garantito dall’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995, in quanto non comporta prelievi forzosi, massimali o eliminazioni di diritti quesiti del pensionato, costituendo, invece, una misura di graduazione della prestazione con scopo dissuasivo e con finalità di garantire il mantenimento di equilibri finanziari, la cui applicazione è rimessa alla scelta dell’assicurato di optare per la pensione di anzianità, giovandosi, peraltro, della possibilità di mantenere l’iscrizione nell’albo e di proseguire l’attività professionale;
il ricorso va, quindi, rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo;
l’esito del ricorso determina l’obbligo del pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 3700,00, di cui € 3500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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