CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 marzo 2019, n. 8029
Rapporto di lavoro – Trasferimento nei ruoli del Ministero – Riconoscimento a fini economici dell’anzianità di servizio maturata
Rilevato
1. M. M. A. aveva convenuto in giudizio il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca per chiedere il riconoscimento a fini economici dell’anzianità di servizio maturata alle dipendenze dell’ente locale prima del trasferimento nei ruoli del Ministero, disposto ai sensi della legge 3 maggio 1999 n. 124;
2. la sentenza della Corte di Appello di Salerno, che in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda, è stata cassata da questa Corte con la sentenza n. 884 del 2013;
3. con la richiamata sentenza questa Corte, ricostruiti i termini della vicenda relativa al trasferimento nei ruoli dello Stato del personale ATA degli enti locali, ha richiamato la pronuncia della Corte di Giustizia del 6 settembre 2011 in causa C – 108/10, e, in accoglimento del ricorso, ha cassato la sentenza gravata, rinviando alla stessa Corte territoriale in diversa composizione per un nuovo esame, finalizzato a verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento;
4. la sentenza rescindente, in consonanza con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, ha indicato i criteri in base ai quali siffatto accertamento avrebbe dovuto essere effettuato ed ha precisato che: a. quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito e non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario; b. quanto alle modalità, si deve trattare di “peggioramento retributivo sostanziale” e la comparazione deve essere “globale” e, quindi, non limitata allo specifico istituto; c. quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto “all’atto del trasferimento”;
5. il giudizio di rinvio è stato definito dalla Corte di Appello di Salerno con la sentenza qui impugnata, che ha ritenuto infondata l’originaria domanda proposta dal ricorrente.
6. per la cassazione di questa sentenza M. M. A. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, illustrato da successiva memoria, ai quale ha opposto difese il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con tempestivo controricorso;
Considerato
7. con unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5cod.proc.civ., “violazione e falsa applicazione di legge (art. 8 c. 2 L. 124/1999, 1, 3, 4, 6, 7 e 12disp. prel. al cod civ., artt 2 c. 2 e 3, e 45 T.U. 165/2001, Direttiva CEE 77/187/CE, artt. 1362 e 2112 c.c.) – Violazione e falsa applicazione dell’art. 40 CCNL Scuola 26.5.99 e art. 5 CCNL 15.3.2001 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 DM 23.7.99 e del D.M. 5.4.2001 – Difetto di presupposti e motivazione – Violazione del principio di gerarchia delle Fonti – Violazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36 e 97 Cost. – Violazione del divieto di “reformatio in peius” del trattamento economico – Manifesta ingiustizia – Omessa contraddittoria ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia – Violazione dei principi elaborati in materia dalla Corte di Giustizia e dalla Cassazione, che rinviando alla Corte di Appello l’ha invitata ad attenersi a questi principi”;
8. la ricorrente deduce di avere subito un sostanziale peggioramento per essere stata “inquadrata in fascia nettamente inferiore a quella in cui aveva diritto ad essere inquadrato ossia nella fascia stipendiale da 21 a 27 anni prevista dal CCNL Scuola in base alla Tabella B del CCNL normativo 1998-2001 economico 1998-1999 …” e imputa alla Corte territoriale di non avere tenuto conto di tale peggioramento “evidenziato anche nella CTU giurata allegata”;
9. in via preliminare, deve osservarsi che non si ravvisano profili di incompatibilità nei confronti del componente del collegio che ha esaminato il precedente ricorso per Cassazione nell’ambito del medesimo giudizio (si tratta della già richiamata decisioneCass.n. 884/2013);
10. al riguardo va ribadito, perché condiviso dal Collegio, il principio ripetutamente affermato da questa Corte (Cass. SSUU n. 24148/2013; Cass.nn. 21445/2018, 3880/2016), secondo il quale il giudizio di legittimità non si riferisce direttamente alla domanda proposta dall’attore, bensì alla decisione già assunta su tale domanda al fine di verificarne, appunto, la correttezza; pertanto, qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il collegio può essere composto anche con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, ciò non determinando alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice, in quanto non sussiste la concreta possibilità che il giudice che abbia partecipato al precedente giudizio di legittimità sia meno libero di decidere o sia condizionato dalla volontà di “difendere” la precedente decisione di legittimità;
11. il ricorso è inammissibile:
12. la sentenza rescindente ha accolto l’impugnazione della M. perché la violazione del complesso normativo, costituito dalla legge n. 124 del 1999, art. 8, e dalla legge n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, deve essere verificata in concreto sulla base dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia Europea ed ha demandato al giudice del rinvio di decidere la controversia nel merito verificando la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento;
13. il giudice del rinvio ha evidenziato che l’attuale ricorrente non aveva mai dedotto di avere subito, per effetto del trasferimento nei ruoli del Ministero, un decremento della retribuzione, e ha aggiunto che neppure con il ricorso in riassunzione erano stati forniti elementi di comparazione idonei a dimostrare che il trattamento attribuito dal Ministero fosse globalmente peggiorativo e in termini apprezzabilmente rilevanti rispetto al trattamento goduto presso l’Ente locale prima del trasferimento;
14. esso ha aggiunto che il decremento doveva ritenersi non sussistente sia perché non attestato dalla documentazione prodotta, sia perché impedito dal mantenimento del livello retributivo anteriore al trasferimento, garantito attraverso l’assegno “adpersonam”, di cui non era stato domandato l’adeguamento mediante il computo di voci retributive godute presso l’ente di provenienza, sulla natura e sulle caratteristiche delle quali nulla era stato allegato;
15. il giudice del rinvio, inoltre, ha correttamente evidenziato l’irrilevanza dell’eventuale incidenza negativa sui futuri sviluppi della carriera e sul trattamento di fine servizio;
16. a fronte di detto accertamento di merito, effettuato nel rispetto dei principi affermati nella sentenza rescindente, la ricorrente, come già evidenziato, si limita a dedurre di avere subito un peggioramento retributivo, richiama le tabelle allegate al CCNL per il personale del comparto della Scuola, imputa alla Corte territoriale di non averle esaminate e di avere trascurato la “CTU giurata allegata”;
17. siffatta censura è inammissibile in quanto nel giudizio di legittimità, a seguito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod.proc. civ. ad opera dell’art. 54 del d.1.22 giugno 2012, n. 83,conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla fattispecie “ratione temporis” (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 25 giugno 2014), rileva solo l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. S.U. n. 8053/2014);
18. le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che nel rigoroso rispetto delle previsioni degliartt. 366, primo comma, n. 6, e369, secondo comma, n. 4, cod. proc.civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato, comunque, preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053/2014);
19. il motivo non è formulato nel rispetto degli oneri sopra indicati e finisce per denunciare non l’omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie, che si assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale, e l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su punti o fatti decisivi della controversia;
20. è inammissibile anche la censura formulata ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc. civ.;
21. il ricorso, che in difformità rispetto agli oneri imposti dall’art. 366, n. 4,cod.proc.civ.non contiene alcuna indicazione delle norme di legge e dei principi di diritto che assume violati né, tampoco, delle ragioni per le quali la sentenza impugnata sarebbe erronea (Cass. 24298/2016, 87/2016, 3010/2012, 5353/2007; Ord. 187/2014, 16308/2013), sollecita in realtà la revisione del principio di diritto affermato nella sentenza rescindente;
22. quest’ultima, pronunciata dopo l’intervento della Corte di Giustizia e della Corte E.D.U. (la sentenza rescindente è stata pubblicata il 16 gennaio 2013, successivamente alla pubblicazione della sentenzaAgratied altri contro Italia del 7 giugno 2011, della quale si dà conto nella motivazione), ha ribadito l’efficacia retroattiva dell’art. 1 della legge n. 266/2005; ha richiamato i quattro interventi del Giudice delle leggi, che hanno escluso profili di illegittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica; ha ritenuto che il complesso normativo fosse, appunto, costituito dalle leggi n. 124/1999 e 266/2005 e che, sulla base del diritto eurounitario, come interpretato dalla Corte di Lussemburgo, la domanda potesse trovare accoglimento solo nell’ipotesi di accertato peggioramento retributivo sostanziale;
23. a norma dell’art. 384, secondo comma, cod.proc. civ., l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto di quella decisione, e di tener conto di eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sindacare l’esattezza del principio affermato dal giudice di legittimità (Cass.nn. 4087/2019, 4086/2019, 30916/2018, 1995/2015, 17353/2010, 23169/2006, 16518/2004, 11290/1999);
24. dall’irretrattabilità del principio di diritto discende che la Corte di Cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare muovendo dalla “regulaiuris” in precedenza enunciata, perché l’efficacia vincolante, che si estende anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata oggetto di giudicato implicito interno (Cass.nn. 17353/2010, 20981/2015), viene meno solo qualora la norma, in epoca successiva alla pubblicazione della pronuncia rescindente, sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima ovvero sia divenuta inapplicabile per effetto di “ius superveniens” (Cass. nn. 20128/2013, 13873/2012, 17442/2006);
25. tali ultime condizioni non ricorrono nel caso di specie, perché il quadro normativo è rimasto immutato rispetto a quello apprezzato dalla sentenza rescindente, che, come già evidenziato, ha indicato con chiarezza i limiti del giudizio di rinvio, subordinando l’accoglimento dell’originaria domanda all’esito dell’accertamento di fatto, effettuato dalla Corte territoriale, in termini negativi per l’originaria ricorrente;
26. in via conclusiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
27. le spese del giudizio di legittimità vanno regolate secondo il principio della soccombenza e poste a carico della ricorrente nella misura indicata in dispositivo;
28. sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
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