CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 novembre 2018, n. 30067
Tributi – IRAP – Professionisti – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Autonoma organizzazione
Rilevato che
V.Z.B.M. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 27/01/11, depositata dalla Commissione Tributaria di 2° grado di Bolzano il 25.03.2011;
ha riferito che nell’esercizio della attività libero-professionale di avvocato riceveva la notifica della cartella di pagamento n. 02120080009468287, con cui gli era chiesto il versamento dell’importo complessivo di € 7.152,94, comprensivo di sanzioni ed interessi, a titolo di IRAP relativa all’anno 2005.
Contestando i presupposti di assoggettamento all’imposta, aveva adito la Commissione Tributaria Provinciale di Bolzano, che con sentenza n. 208/01/09 accoglieva il ricorso. L’Agenzia ricorreva dinanzi alla Commissione Regionale che con la pronuncia ora impugnata accoglieva l’appello.
Il contribuente censura con due motivi la sentenza:
con il primo per violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., nonché per motivazione erronea e contraddittoria circa la presunta adesione del ricorrente ad una associazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.;
con il secondo per violazione dell’art. 115 c.p.c. e nullità della sentenza in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c., nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., e ancora per motivazione erronea e insufficiente circa la presunta presenza di altri colleghi nello studio di B., in relazione all’art. 360 co. 1, n. 5 c.p.c.;
ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza, con o senza rinvio.
Si è costituita l’Agenzia, contestando i motivi di ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.
Il contribuente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.
Considerato che
I motivi di ricorso, critici nei confronti della sentenza sotto i molteplici aspetti del vizio di legge, sostanziale e processuale, e del vizio motivazionale, e che possono essere trattati unitariamente perché tutti afferenti alle regole di assoggettamento del professionista all’imposta sulle attività produttive, nonché agli elementi fattuali esaminati e valutati dal giudice dell’appello, sono fondati.
Presupposto per l’assoggettamento all’imposta è <<l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla …. prestazione di servizi” (art. 2 del d.lgs. n. 446/1997), applicabile anche alle “persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, comma 3, del predetto testo unico (ndr. d.P.R. n. 917/1986) esercenti arti e professioni, di cui all’art. 49 comma 1, del medesimo testo unico>> (art. 3, lett. c, del d.lgs. n. 446/1997).
Quanto al significato di “autonoma organizzazione” già la Corte Costituzionale, con sent. n. 156 del 2001, aveva puntualizzato che l’imposta incide su un fatto economico diverso dal reddito, cioè su quel quid pluris aggiunto dalla struttura organizzativa alla attività professionale, tale da costituire un indice di capacità contributiva idonea a giustificare l’assoggettamento al tributo, il che non implica alcun limite quantitativo, di prevalenza o meno rispetto al lavoro autonomo esercitato, bensì semplicemente un giudizio di valore sulla idoneità di quella organizzazione a potenziare le possibilità produttive del professionista. La Corte di legittimità ha esplicitato la nozione di autonoma organizzazione nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, riconoscendola ai fini IRAP quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’ “id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (in tal senso già cfr. Cass., sent. 3676 del 2007; Cass., sent. n. 25311 del 2014). Nel perimetrare ulteriormente l’assoggettamento ad Irap del lavoratore autonomo le Sez. U, da ultimo intervenute, hanno affermato che il requisito dell’autonoma organizzazione, previsto quale presupposto dell’imposta dall’art. 2 cit., non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive (Sez. U, sent. n. 9451/2016).
Peraltro, per quello che interessa e con riguardo all’attività di avvocato, la Corte ha affermato che per la soggezione ad IRAP dei proventi del professionista autonomo è necessario che la struttura organizzata di cui questi si avvalga faccia capo allo stesso non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo organizzativo, in conseguenza non riconoscendo la soggettività passiva all’imposta dell’avvocato che, collaborando presso importanti studi legali, ne aveva utilizzato la struttura organizzativa, traendone utilità (Cass., ord. n. 4080/2017). E sempre con riguardo alla libera professione di avvocato si è affermato che il professionista che svolga l’attività all’interno di una struttura altrui, così difettando di autonomia organizzativa, non è assoggettato all’Irap (Cass., sent. n. 21150/2014).
L’accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.
Questi gli approdi ermeneutici della giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie il giudice tributario d’appello ha riconosciuto la sussistenza dei presupposti dell’imposta nei confronti del V.Z., esercente attività di avvocato, affermando che <<il libero professionista che si associa, anche solo di fatto, ad altro, usufruendo della “struttura amministrativa di quest’ultimo, ossia di un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico siano suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know how del professionista medesimo, è soggetto all’imposta de qua; corollario di detto principio è la necessità di dimostrare -onere da assolversi dal contribuente – che il professionista stesso, aderente ad una associazione professionale, non fruisca, giusto l’id quod plerumque accidit, dei benefici organizzativi notoriamente conseguibili per effetto dell’esercizio della professione in forma collettiva che possono giustificare il quid pluris di capacità contributiva oggetto del prelievo IRAP>>. E ancora, proseguendo, sostiene che <<… a tale del tutto condivisibile indirizzo giurisprudenziale deve aggiungersi la situazione di fatto che vede l’Avv. V. Z. titolare in B. di un proprio studio con la notoria presenza di altri colleghi e, dunque, di nuovo con una struttura organizzativa non certo trascurabile>>.
La motivazione del giudice regionale si fonda dunque sulla appartenenza del ricorrente ad uno studio associato, nonché sulla disponibilità di altro studio con “notoria presenza di altri colleghi”. Sennonché i due elementi cui fa riferimento la pronuncia sono contestati dalla difesa del V.Z., perché non rilevati da alcuno degli elementi allegati al giudizio. Peraltro la stessa Agenzia da indirettamente conferma della assenza di un rapporto associativo professionale del contribuente, tanto da precisare nel proprio controricorso, nel tentativo evidente di offrire una interpretazione coerente della motivazione del giudice regionale, che questi abbia voluto intendere l’assoggettamento del professionista ad irap qualora <<associandosi anche solo di fatto ad altro, usufruisca della struttura amministrativa di quest’ultimo>> (così nel controricorso). Sennonché questo tentativo di interpretazione della sentenza contrasta con il tenore della motivazione stessa, senza poi considerare il diverso orientamento sostenuto dalla citata più recente giurisprudenza (cfr. 21150/2014 cit., e più in generale i principi enucleabili dalle Sezioni Unite).
Priva di valore è anche l’affermazione che il ricorrente avrebbe la disponibilità di altro studio con “notoria” presenza di altri professionisti. Non è infatti comprensibile quale sia il fondamento di tale notorietà, né assume di per sé rilevanza la disponibilità di un secondo studio, quando tali strutture siano semplicemente strumentali ad un migliore e più comodo esercizio dell’attività professionale (cfr. Cass., ord. n. 26651/2016).
In conclusione la sentenza non fa corretta applicazione delle norme che regolano l’assoggettamento all’irap del professionista, alla luce della interpretazione resa dalla giurisprudenza, così come non è corretta in ordine al governo del materiale probatorio allegato dalla parti.
Ritenuto che
La sentenza va dunque cassata e il giudizio rinviato dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di 2° grado di Bolzano, in diversa composizione, per un nuovo esame sulla base dei principi enunciati e degli elementi probatori disponibili, oltre che per la decisione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria di 2° grado di Bolzano, in diversa composizione, che deciderà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
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