CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 novembre 2018, n. 30090
Tributi – IVA – Credito d’imposta – Rimborso o restituzione – Istanza – Compilazione del quadro “RX4” – Applicabilità del termine di prescrizione ex art. 2946 c.c.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 1/12/2010, la Commissione tributaria regionale della Lombardia confermava la pronuncia n. 276/44/2009 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, così rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della L. s.n.c. di L.R.M. e C.A.; a giudizio del Collegio, la richiesta di rimborso IVA proposta dalla società – fondata nel merito, in assenza di contestazione sul punto da parte dell’Ufficio – doveva ritenersi soggetta al termine prescrizionale ordinario decennale, non a quello di decadenza biennale di cui all’art. 21, d. lgs. n. 546 del 1992, sì che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe dovuto negare il rimborso medesimo.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi. Hanno proposto controricorso M.L.R. ed A.C., in proprio e nella qualità, chiedendo il rigetto del ricorso; gli stessi controricorrenti hanno depositato una memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Si chiede, pertanto, la cassazione della pronuncia.
Considerato in diritto
3. Il ricorso deduce, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 38-bis, d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Contrariamente all’assunto di cui alla sentenza impugnata, si afferma che la richiesta di rimborso IVA dovrebbe esser proposta mediante apposito modello VR – nella vicenda in esame pacificamente non presentato – nel quale il contribuente dovrebbe barrare la casella corrispondente alla causale del rimborso; presentazione che, dunque, costituirebbe un adempimento indispensabile, anche nel caso di cessazione di attività, e non una mera irregolarità formale (surrogabile con una mera indicazione del credito in dichiarazione), come da giurisprudenza di questa Corte.
La doglianza è infondata.
Ritiene opportuno il Collegio, innanzitutto, richiamare i parametri normativi della materia, invero emersi come del tutto pacifici in ragione dell’originaria domanda proposta dalla contribuente; il riferimento, dunque, è all’art. 30, d.P.R. n. 633 del 1972 (Versamento di conguaglio e rimborso dell’eccedenza), nonché all’art. 38-bis, stesso decreto (Esecuzione dei rimborsi), dai quali si ricavano i caratteri, le forme ed i contenuti della dichiarazione proponenda.
4. In particolare, l’art. 38-bis citato stabilisce che i rimborsi previsti nell’articolo 30 – ossia quelli dovuti per versamento di imposta in eccedenza – sono eseguiti, su richiesta fatta in sede di dichiarazione annuale, entro tre mesi dalla presentazione della dichiarazione e che sulle somme rimborsate si applicano gli interessi in ragione del 2 per cento annuo, con decorrenza dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, non computando il periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando superi quindici giorni. Tanto richiamato, questa Sezione ha ripetutamente sostenuto che per la domanda di rimborso dell’eccedenza d’imposta è sufficiente la manifestazione di una volontà diretta all’ottenimento del rimborso mediante la compilazione nella dichiarazione annuale del quadro «RX4», anche se non accompagnata dalla presentazione del modello ministeriale «VR» (cfr. Cass. 9 ottobre 2015, n. 20255; Cass. 15 maggio 2015, n. 9941).
5. Siffatta impostazione è coerente con la giurisprudenza formatasi con riferimento alle imposte sui redditi, in base alla quale qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta non occorre, da parte sua, al fine di ottenerne il rimborso, alcun altro adempimento, ma egli deve solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte, prevista dall’art. 36 bis, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione (cfr. Cass. 30 settembre 2011, n. 20039).
6. Dalle considerazioni che precedono segue che l’esposizione di un credito d’imposta in dichiarazione fa si che non occorra, da parte del contribuente, al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento, atteggiandosi quale formale esercizio del diritto e idoneo a far decorrere l’ordinario termine prescrizionale.
7. L’Agenzia ricorrente muove dalla qualificazione della presentazione del modello «VR» quale presupposto di esigibilità del credito – ricorrente nella giurisprudenza di legittimità – per affermare che la sua mancata presentazione, rendendo il credito inesigibile, non consentirebbe la decorrenza degli interessi che, secondo il principio generale, richiede che il credito sia (anche) esigibile.
8. L’argomentazione non appare persuasiva: infatti, come rilevato in precedenza, l’orientamento è univoco nel ritenere che l’esposizione del credito sia idonea a far decorrere il termine prescrizionale e, pertanto, poiché tale termine presuppone che il diritto possa essere fatto valere, deve ritenersi che questo sia esigibile (cfr., sul punto, da ultimo, Cass. 23 marzo 2017, n. 7471).
Il riferimento giurisprudenziale alla presentazione del modello «VR» quale «presupposto di esigibilità» deve intendersi nel senso che la stessa rappresenta un elemento fattuale, rimesso nella disponibilità del contribuente interessato, avente funzione sollecitatoria dell’attività di verifica dell’Amministrazione e idonea a dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso (Sez. 5, n. 17151 del 28/6/2018, Rv. 649400-01).
Il primo motivo di ricorso, pertanto, risulta infondato.
9. Alle medesime conclusioni, poi, perviene la Corte quanto al secondo, con il quale si contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 21, comma 2, d. lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. A giudizio della ricorrente, il mancato rispetto del modello legale, nei termini appena richiamati, comporterebbe l’attrazione della fattispecie nella norma di carattere residuale, quale l’art. 21, comma 2, cit.; con la conseguenza che – non realizzandosi, da parte del contribuente, alcuna “normale” istanza di rimborso – troverebbe applicazione la norma da ultimo citata e, dunque, il termine di decadenza biennale ivi previsto per la presentazione dell’istanza.
Orbene, come già sopra accennato, questa Sezione ha sostenuto – con indirizzo condiviso e qui da ribadire – che, in tema di IVA, la domanda di rimborso relativa all’eccedenza di imposta risultata alla cessazione dell’attività di impresa è regolata dall’art. 30, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con la conseguenza che è esaustiva la manifestazione di una volontà diretta all’ottenimento del rimborso, ancorché non accompagnata dalla presentazione del modello ministeriale “VR”, ed è soggetta al termine ordinario di prescrizione decennale, e non a quello di decadenza biennale, ex art. 21, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, applicabile solo in via sussidiaria e residuale (tra le altre, Sez. 5, n. 9941 del 15/5/2015, Rv. 635471).
10. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato; le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00, per compensi, oltre 15% per spese forfettarie, IVA ed accessori di legge.
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