CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 novembre 2019, n. 30342
Iva all’importazione non assolta in dogana – Avviso di rettifica – Sanzioni
Rilevato che
La K. s.p.a. impugnava con vari motivi l’avviso di rettifica n. 9246 ed il relativo atto di contestazione delle sanzioni n. 9060 notificatile dall’ Agenzia delle dogane e dei monopoli di Napoli il 1 aprile 2011 per l’importo di euro 286.173,28 a titolo di Iva all’importazione non assolta in dogana, e di euro 85.857,20 a titolo di sanzione amministrativa, per operazioni effettuate in regime di sospensione di imposta previsto dall’art. 50 bis del d.l. 30 agosto 1993 n. 331 per merce invece non introdotta materialmente nel deposito fiscale.
La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli rigettava il ricorso con sentenza n. 81/28/12 del 26 gennaio 2012 (depositata il 14 febbraio 2012). Avverso tale decisione la società proponeva appello, che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania con sentenza n. 4679/39/2014 dell’11 dicembre 2013 (depositata il 15 maggio 2014) non notificata.
La K. s.p.a., in persona dell’ amministratore delegato, ricorre in questa sede per dieci motivi e chiede la cassazione della sentenza impugnata con vittoria di spese. L’ Agenzia delle dogane e dei monopoli si costituisce tardivamente, al dichiarato scopo di partecipare all’eventuale discussione della causa.
Considerato che
I motivi del ricorso.
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 11 d.lgs. 374/1990 e 221 Regolamento CEE n. 2913/1992 – codice doganale comunitario (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.); la sentenza impugnata non avrebbe applicato correttamente le norme in questione, che fissano un termine di decadenza di anni tre per la “comunicazione al debitore…dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale” (art. 221 c.d.c.) e per la revisione d’ufficio dalla data in cui l’accertamento è diventato definitivo (art. 11 d.lgs. 374/1990) ritenendo che il termine non fosse scaduto causa la pendenza di procedimento penale; mentre invece l’ Amministrazione Finanziaria non avrebbe fornito alcuna prova della tempestiva trasmissione della notizia criminis all’A.G., presupposto imprescindibile per il superamento del termine.
2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.; la sentenza impugnata sarebbe errata per avere invertito l’applicazione delle norme sull’onere della prova, in quanto grava sull’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare la mancata introduzione della merce nel deposito fiscale, e non sul contribuente l’onere di provare il contrario, come ritenuto dai giudici di merito.
3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 50 bis, comma 4, del d.l. 30 agosto 1993 n. 331, e 16, comma 5 bis, del d.l. 19 novembre 2008 n. 185, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.; la sentenza impugnata sarebbe incorsa in error in judicando nell’applicazione delle norme indicate avendo deciso che, in caso di omessa introduzione materiale delle merci importate nel deposito fiscale, la contribuente fosse tenuta al pagamento dell’ Iva all’importazione. Al contrario la CGUE con sentenza 17 luglio 2014, C-272/13 (Equoland) ha deciso che nel caso in cui l’Iva sia già stata assolta con il sistema del reverse charge (come nel caso in esame), non può essere recuperata anche l’Iva all’importazione. Inoltre il requisito della materiale introduzione delle merci nel deposito fiscale non è più richiesto dalla legge nazionale in virtù delle sopraggiunte norme di interpretazione autentica (art. 16, comma 5 bis, d.l. 19 novembre 2008 n. 185).
4. Con il quarto motivo di ricorso la s.p.a. K. lamenta la violazione del principio comunitario e nazionale del divieto di doppia imposizione in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. poiché erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che l’Iva all’importazione e l’Iva interna costituiscano tributi differenti, mentre invece, come chiariscono sia la sentenza CGUE di cui sopra al punto 3 che questa Corte di Cassazione (Cass.Pen. Sez. III 4 maggio 2010 n. 16860) l’Iva all’importazione costituisce un tributo interno e non un diritto di confine, per cui ove sia stata già versata mediante reverse charge non può più essere applicata.
5. Il quinto motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 10 L. 212/2000 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. perchè erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto corretta l’applicazione della sanzione prevista dall’art.13 del d.lgs. 471/97 per omesso pagamento dell’Iva alla importazione, mentre invece si tratterebbe di una violazione meramente formale, in quanto l’Iva è stata diversamente assolta mediante inversione contabile.
6. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. perché la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunziare sulle eccezioni di carenza di legittimazione attiva della Dogana, di sussistenza delle esimenti di cui agli artt. 220 e 239 codice doganale comunitario, di insussistenza del presupposto soggettivo di applicazione delle sanzioni e di inapplicabilità delle stesse per obiettiva incertezza sulla portata e l’ambito applicativo della norma.
7. Il settimo motivo denunzia violazione degli artt. 67 e 70 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. perché la sentenza impugnata avrebbe omesso di rilevare la mancanza di legittimazione attiva dell’Agenzia delle Dogane, regolarmente eccepita dalla ricorrente perché le merci, una volta pagati i dazi all’importazione, erano state immesse in libera pratica.
8. L’ottavo motivo rileva la violazione degli artt. 220 e 239 codice doganale comunitario, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la Commissione tributaria regionale ritenuto applicabile l’esimente di cui all’art. 220 codice doganale comunitario o, in subordine, lo sgravio previsto dall’art. 239 c.d.c., l’una e l’altro richiesti dalla ricorrente.
9. Con il nono motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 5 d.lgs. 472/1997 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. perché la sentenza impugnata non ha ritenuto l’assenza dell’elemento soggettivo della violazione, come richiesto dalla ricorrente;
10. Il decimo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 6 d.lgs. 472/1997 e 10 I. 212 del 2000 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. perché la C.T.R. ha omesso di rilevare l’inapplicabilità delle sanzioni per obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della norma.
I motivi della decisione
11. Osserva preliminarmente la Corte che, in applicazione del principio della «ragione più liquida» desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. (Cass. Sez. U. 8 maggio 2014 n. 9936; Cass. 18 novembre 2016 n. 23531; Cass. 17 marzo 2015 n. 5264) ed in armonia con la ratio del rito camerale, è opportuno privilegiare le questioni di più agevole soluzione, idonee a definire il giudizio.
12. Tali sono nel caso in esame i motivi di ricorso terzo, quarto e quinto che sono fondati nei limiti di seguito illustrati. Questa Corte ha già affermato il principio per cui «l’amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all’art. 50 bis, comma 4, lett. b), d.l. n. 331 cit., qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione i tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo «virtuale» della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, Equoland, in causa C-272/13, a tenore della quale detta violazione può essere punita, in relazione allo scarto temporale tra la dichiarazione e l’autofatturazione, con una specifica sanzione per il ritardo – non fissa e che può consistere anche nel computo degli interessi di mora, purché sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata determinazione, implicando un accertamento di fatto, compete al giudice di merito» (Cass. sez. V n. 12231 del 17 maggio 2017). Si tratta di un principio affermato senza contrasti anche nella giurisprudenza più recente (Cass. Sez. V, 1 febbraio 2019 n. 3102; Cass. Sez. V, 1 febbraio 2019 n. 3080), e cui occorre pertanto, dare continuità anche in questa sede.
11.1- Nel caso in esame è pacifico che la ricorrente K. s.p.a. ha regolarizzato l’operazione secondo il modulo dell'”inversione contabile” (autofattura e relative registrazioni), per cui l’imposta deve considerarsi assolta e quindi il pagamento avvenuto, configurandosene soltanto la tardività. Onde l’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso.
11.2- Tuttavia, l’assolvimento dell’ Iva mediante inversione contabile invece che all’importazione ha determinato un ritardo nel pagamento, che appare sanzionabile pertanto ai sensi dell’art 13 co. 2 del D.Lgs. 471/1997. La sanzione però, come ritenuto dalla ricordata sentenza della DGUE, deve essere proporzionata alla violazione; ma trattandosi di accertamento in fatto, la relativa determinazione va rimessa al giudice del merito, in accoglimento del quinto motivo di ricorso.
12. I rimanenti motivi di ricorso sono inammissibili, perché in realtà sotto l’apparenza della violazione di legge, lamentano vizi di motivazione (motivo n. 6), oppure mirano ad una rivalutazione in senso favorevole alla ricorrente del materiale probatorio acquisito agli atti processuali, già compiutamente valutato dal giudice di merito (motivi nn. 1, 2, 7, 8, 9 e 10).
13. Il ricorso pertanto deve essere accolto, nei limiti di cui in motivazione, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria della Campania, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine al regime delle spese processuali.
P.Q.M.
accoglie il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione; dichiara inammissibili i rimanenti motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che deciderà anche sul regolamento delle spese processuali.
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