CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 novembre 2019, n. 30423
Professionisti legali dell’INPS – Attività professionale in sede giurisdizionale – Onorario – Accordo sindacale – Thema decidendum
Rilevato
che con sentenza in data 9 maggio 2013 la Corte d’appello di Catanzaro, ferma restando la revoca del decreto ingiuntivo opposto dall’INPS; in parziale riforma della sentenza n. 1653/2007 del Tribunale di Catanzaro, condanna l’Istituto al pagamento, in favore di A. R., della somma di euro 23.648,17 oltre interessi legali ex legge n. 724 del 1994 dal 9 febbraio 2006 (data di quantificazione del credito operata dall’INPS nell’ammontare oggi accettato dal R.) fino al soddisfo;
che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il Tribunale di Catanzaro, con decreto del 29 ottobre 2003, ha ingiunto all’INPS il pagamento della somma di euro 54.217,32 in favore dell’avv. A.R. a titolo di onorari allo stesso dovuti per l’attività professionale svolta in sede giurisdizionale anche nell’interesse della Società di Cartolarizzazione dei Crediti (SCCI) s.p.a., nel biennio 2000-2001;
b) con la sentenza appellata il medesimo tribunale ha accolto l’opposizione dell’INPS ed ha considerato inammissibile la domanda subordinata del R. volta al riconoscimento del proprio diritto sulla base dell’accordo sindacale 19 dicembre 2005 perché l’ha considerata fondata su una diversa causa petendi e quindi tale da configurare, rispetto alla domanda spiegata nella fase monitoria, come una mutatio libelli e non come una semplice emendatio libelli;
c) nel giudizio di appello il thema decidendum resta circoscritto all’ammissibilità e fondatezza di tale ultima domanda;
d) l’art. 2 del suindicato accordo sindacale (che regolamenta in via definitiva ogni problematica connessa all’attività svolta dai professionisti legali dell’INPS nel periodo compreso tra il 2000 e il primo semestre 2005) prevede l’applicazione della relativa disciplina anche al contenzioso pendente purché ciò non comporti aggravi o duplicazioni di oneri rispetto alla richiesta dei compensi;
e) è anche stabilito che l’applicazione ai singoli avvocati dell’accordo presuppone la loro espressa e libera adesione ad esso, formulata ai sensi e nelle forme degli artt. 65 e 66 del d.lgs. n. 165 del 2001 e degli artt. 410 e 411 cod. proc. civ. entro sessanta giorni dalla definitiva stipula dell’accordo stesso con conseguente rinuncia all’azione giudiziale e impegno alla cessazione dell’eventuale giudizio in corso e con compensazione delle spese;
f) all’udienza del 28 aprile 2006 l’INPS ha manifestato la volontà di transigere facendo applicazione dell’indicato accordo ed offrendo al R. la somma di euro 23.648,17;
g) in quella sede l’interessato non ha contestato l’applicabilità dell’accordo ma la quantificazione del credito, perché effettuata unilateralmente dall’INPS;
h) nel corso del giudizio il R. ha poi riconosciuto l’esattezza dei calcoli operati dall’Istituto;
i) la questione dell’applicabilità dell’accordo sindacale peraltro risulta tempestivamente discussa sicché essa non avrebbe potuto essere considerata nuova e, come tale, inammissibile;
I) la suddetta tale applicabilità non appare impedita per altre ragioni, visto che le contestazioni del R. sul punto hanno sempre e solo riguardato i conteggi né ricorre il paventato rischio di duplicazione di oneri a carico dell’Istituto visto che il R. in giudizio ha certamente riconosciuto l’efficacia dell’accordo nei propri confronti e comunque non potrà sicuramente agire per alcun compenso aggiuntivo per il periodo successivo a quello cui si riferisce l’accordo, visto che è stato collocato in quiescenza in data 31 agosto 2004;
m) di qui la condanna dell’INPS a corrispondere al R. la somma suindicata che è quella che l’Istituto ha offerto all’interessato all’udienza del 28 aprile 2006 quando ha manifestato la volontà di transigere facendo applicazione dell’indicato accordo sindacale; che avverso tale sentenza l’INPS propone ricorso affidato a due motivi, al quale oppone difese l’avv. A. R., con controricorso.
Considerato
che il ricorso è articolato in due motivi;
che con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. (divieto di nova in appello), rilevandosi che nel corso del giudizio di primo grado non è intervenuta alcuna proposta transattiva, diversamente da quanto, secondo l’Istituto ricorrente, avrebbe ritenuto la Corte d’appello;
che con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., in relazione alle clausole contrattuali di cui agli artt. 1 e 2 del CCNI del 19 dicembre 2005 (allegato alle note autorizzate depositate dall’INPS in primo grado, in data 8 settembre 2006);
che si aggiunge che – anche a voler ritenere che la condanna alle minori somme previste dall’accordo 4 giugno 2003 non configuri una mutatio libelli – comunque tale accordo sarebbe nullo e, quindi, inefficace;
che si sostiene che la domanda relativa al riconoscimento di quanto risultante dal CCNI 19 dicembre 2005, che la Corte d’appello ha accolto, era inammissibile perché nuova e comunque era infondata, non avendo il R. aderito al suddetto accordo, come dimostrerebbe la proposta transattiva dell’1 dicembre 2012;
che comunque alla data dell’udienza del 28 aprile 2006 (citata nella sentenza qui impugnata) “già da tempo era trascorso il termine decadenziale per l’accettazione”;
che il ricorso va dichiarato inammissibile, per plurime, concorrenti ragioni;
che, in primo luogo, a tale conclusione si perviene perché con riguardo al CCNI del 19 dicembre 2005, all’accordo 4 giugno 2003, alla proposta transattiva dell’i dicembre 2012 e agli altri atti menzionati nel ricorso (e dei quali si contesta l’interpretazione offerta dalla Corte d’appello) non risulta essere stato rispettato il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente, qualora proponga delle censure che comportano l’esame o la valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali (da ultimo: Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553);
che il suddetto principio di applica anche ai contratti collettivi integrativi perché come chiarito da questa Corte, con un consolidato e condiviso indirizzo, l’esenzione dall’onere di depositare, unitamente con il ricorso per cassazione, il contratto collettivo del settore pubblico su cui il ricorso si fonda deve intendersi limitata ai contratti nazionali, con esclusione di quelli integrativi, atteso che questi ultimi, attivati dalle Amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al Comparto pure nell’ipotesi in cui siano parametrati al territorio nazionale in ragione dell’Amministrazione interessata e per essi non è previsto, a differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, ottavo comma, del d.lgs. n. 165 del 2001 (vedi, per tutte: Cass. 11 aprile 2011, n. 8231; Cass. 12 ottobre 2016, n. 20554; Cass. 9 giugno 2017, n. 14449);
che a questo si aggiunge che non risulta contestata in modo utile la ratio decidendi principale della sentenza impugnata;
che, infatti, la Corte territoriale non ha affermato che nel corso del giudizio di primo grado è intervenuta una proposta transattiva (come si sostiene nel primo motivo), ma ha precisato che la questione dell’applicabilità dell’accordo sindacale, risultando tempestivamente discussa, non avrebbe potuto essere considerata nuova e, come tale, inammissibile;
che su questo punto, nell’ultima pagina del ricorso dell’INPS sono contenute argomentazioni poco comprensibili e poco congruenti rispetto al contenuto della sentenza impugnata, supportate dalla citazione di una proposta transattiva dell’1 dicembre 2012 (per la quale si rinvia alle allegazioni del giudizio di appello, inammissibilmente per quanto si è detto sopra);
che, inoltre, il ricorrente fa riferimento, al riguardo, ad un termine decadenziale per l’accettazione della proposta dell’udienza del 28 aprile 2006, elemento che non è conferente, visto che la Corte d’appello non solo ha rilevato che quella proposta non è stata accettata dal R., ma emesso la propria decisione su altre basi;
che, in particolare, la Corte territoriale, muovendo dalla premessa dell’applicabilità dell’accordo sindacale de quo, ‘ha sottolineato che a tale accordo aveva fatto espresso riferimento l’INPS quando aveva manifestato al R. la volontà di transigere nei corso del giudizio, quantificando il proprio debito nella somma che, con la sentenza impugnata, è stato condannato a pagare (euro 23.648,17);
che la suddetta ratio decidendi idonea da sola a sorreggere la sentenza sul punto, non viene attinta dalle censure formulate le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nella sentenza di appello impugnata;
che tale omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, le censure, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);
che, per le suesposte ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;
che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile il ricorso e condanna l’Istituto ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4500,00 (quattromilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
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