CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 novembre 2022, n. 34180
Lavoro – CCNL industria metalmeccanica – Somministrazione a termine – Impugnazione – Decadenza ex art. 32 L. n. 183/2010 – Rigetto
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 819/2016, il Tribunale di Milano respingeva il ricorso con il quale M.N. chiedeva nei confronti della convenuta T. s.r.l. di dichiarare l’illegittimità dei rapporti di somministrazione a termine intercorsi con detta società, di accertare la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 18.5.2010 e di ordinare alla società la sua riammissione in servizio, con condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria.
2. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Milano respingeva l’appello che il M. aveva proposto contro la decisione di prime cure e lo condannava al pagamento delle spese di secondo grado, come ivi liquidate.
3. Avverso tale decisione M.N. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4. Ha resistito l’intimata con controricorso.
5. Entrambe le parti hanno prodotto memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce: “Omessa pronuncia su un motivo d’appello, poiché la dichiarazione di decadenza dall’impugnazione dei contratti a termine non implica la decadenza dall’azione contrattuale, che era stata dichiarata solo infondata nel merito, ma non anche decaduta, dal Tribunale (art. 360, n. 4 c.p.c.)”. Sostiene, infatti, che: «La sentenza impugnata, una volta respinto il motivo d’appello relativo all’intervenuta decadenza dall’impugnativa dei contratti a termine, non poteva dichiarare “assorbita ogni altra questione”, poiché la diversa ed autonoma azione contrattuale era stata respinta nel merito, ma non per intervenuta decadenza, dal Tribunale:».
2. Con il secondo motivo, deduce: “In subordine, qualora si volesse ritenere che la sentenza impugnata abbia esteso la dichiarazione di decadenza anche all’azione contrattuale, ultrapetizione del giudice d’appello, non essendo stato proposto dalla società resistente appello incidentale in ordine al fatto che il giudice di primo grado ha ammesso la proponibilità dell’azione contrattuale, con conseguente giudicato interno in ordine alla relativa ammissibilità (art. 360, n. 4 c.p.c)”.
3. Ritiene il Collegio che entrambe tali censure debbano essere respinte.
4. Giova premettere che, in tema di giudizio di cassazione, l’illogica dichiarazione di assorbimento di un motivo di appello si risolve in una omessa pronuncia e, come tale, può essere censurata in sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (in tal senso Cass. civ., sez. trib., 30.4.2019, n. 11459).
4.1. Per altro verso, questa Corte ha specificato che l’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto. Tale vizio, pertanto, deve essere escluso in relazione a una questione – implicitamente o esplicitamente – assorbita in altre statuizioni della sentenza che è suscettibile di riesame nella successiva fase del giudizio se riprospettata con specifica censura (così Cass. civ., sez. lav., 13.7.2001, n. 9545).
4.2. Ebbene, secondo questo Collegio il vizio di omessa pronuncia nella specie prospettato dal ricorrente con il primo motivo dev’essere escluso.
In tal senso, occorre anzitutto sottolineare che il dispositivo della sentenza qui gravata è senz’altro assolutamente chiaro là dove vi si legge: “Respinge l’appello contro la sentenza 819/16 del giudice del lavoro del Tribunale di Monza”. Si tratta, infatti, di dispositivo che manifesta esplicitamente la reiezione totale dell’impugnazione all’epoca proposta da M.N., che del resto è coerentemente espressa anche nella motivazione dove è detto che: “L’appello non può trovare accoglimento”.
4.3. Nella parte di motivazione volta a spiegare perché l’appello non poteva “trovare accoglimento”, la Corte territoriale ha esposto le ragioni per le quali “correttamente la domanda avanzata era ritenuta inammissibile dal tribunale per intervenuta decadenza”. E nota in prima approssimazione questo Collegio che in tale passo si parla di “domanda avanzata” senza altre specificazioni; il che già inclina a far concludere che il riferimento fosse all’intero petitum del ricorso proposto in primo grado dal lavoratore, e non soltanto “all’impugnazione dei contratti a termine”, come invece opina il ricorrente.
4.4. Vero è che subito dopo il passo dedicato al profilo della decadenza è scritto in motivazione: “assorbita ogni altra questione”.
Ma il senso e la portata di tale affermazione vanno ora delucidati anzitutto in base ad una completa considerazione del testo della sentenza qui impugnata.
4.5. In particolare, nella parte narrativa della sua sentenza, dopo aver premesso che il primo giudice “respingeva il ricorso” proposto dal lavoratore, la Corte distrettuale scriveva anzitutto che: “Il giudice rilevava l’intervenuta decadenza ex art. 32 L. 183/2010 avendo il lavoratore, a fronte della scadenza dell’ultimo contratto di somministrazione alla data dell’8.3.14, provveduto ad impugnare soltanto il 3.8.15 e quindi ben oltre i termini di legge”.
Ergo, detta Corte così dava conto di una decadenza già ritenuta dal giudice di primo grado che, in assenza d’indicate limitazioni o specificazioni, operava in relazione a tutto quanto richiesto dall’attore.
In proposito, allora, è opportuno ricordare che, secondo questa Corte, la decadenza di cui all’art. 32 della L. n. 183 del 2010 è rilevabile solo su eccezione di parte trattandosi di diritto disponibile (cfr. Cass. civ., sez. lav., 4.5.2020, n. 8443).
Sul piano processuale, quindi, anche l’eccezione di decadenza ex art. 32 L. n. 183/2010, al pari delle altre eccezioni di decadenza (sostanziale) o di prescrizione, quale eccezione in senso proprio, può dar luogo a una questione di merito avente carattere preliminare e assorbente, perché la decisione di essa può definire il giudizio (cfr. art. 187, comma secondo, e 279, comma secondo, n. 2), c.p.c.; e circa il poter indurre l’eccezione di decadenza sostanziale una questione preliminare di merito cfr. Cass. civ., sez. lav., 18.9.2001, n. 11741; id., sez. lav., 27.4.2000, n. 5390).
4.6. La Corte milanese riferiva, ancora, che il Tribunale “riteneva comunque infondata nel merito la domanda non risultando superato il periodo massimo di lavoro somministrato previsto dall’art. 4 CCNL industria metalmeccanica”.
Indi, dava conto dei motivi d’appello formulati dal M., scrivendo che egli “impugna la sentenza osservando che il termine di decadenza di cui all’art. 32 L. 183/2010, in assenza di una disciplina transitoria, si applica solo ai contratti stipulati successivamente alla sua entrata in vigore. Nel merito rileva l’errato calcolo fatto dal giudice in quanto il totale dei giorni di lavoro prestato a favore di T. dalla norma del CCNL indicata era pari a 1359, superiore pertanto a quello previsto dalla norma del CCNL indicata in gg. 1320”.
Pertanto, il suo motivo d’appello, che il ricorrente ora assume pretermesso dalla Corte territoriale, senz’altro era stato da quest’ultima anzitutto riferito nella sua sentenza.
4.7. Osserva allora il Collegio che dal testo della decisione del giudice di secondo grado nella sua interezza, compreso il suo dispositivo, si trae chiaramente che esso giudice ha ritenuto “assorbita ogni altra questione”, una volta confermata la correttezza della sentenza appellata circa la ritenuta decadenza, perché ha reputato superfluo esprimersi sulla questione riproposta con il secondo motivo d’appello circa il computo dei giorni di lavoro somministrato rispetto a quanto previsto dall’art. 4 CCNL industria metalmeccanica.
La Corte territoriale, in base a quanto sopra riferito, infatti, aveva sì messo a fuoco un’ulteriore motivazione di rigetto delle pretese attoree, per così dire, nel merito in senso stretto, afferente, cioè, la questione appunto del computo dei giorni di lavoro somministrato, prestato dall’istante; ma all’evidenza ha ritenuto tale parte motivazionale non espressiva di un’autonoma ratio deciderteli della sentenza, bensì contenente argomentazioni svolte solo ad abundantiam (cfr. Cass.8/6/2022, n. 18429).
A riguardo giova chiarire definitivamente che, in base a quanto sopra già osservato, anche la decadenza ex art. 32 L. n. 183/2010 è decadenza di natura sostanziale, di talché il suo rilievo rientra sempre nel merito della controversia e, come tale, ove ritenuta tempestivamente e rettamente eccepita, può dar luogo ad una questione preliminare appunto di merito di natura assorbente, in quanto in grado di portare di per sé alla definizione del giudizio.
Dunque, quando la Corte distrettuale, a proposito delle considerazioni ulteriori svolte dal primo giudice per ritenere infondata la domanda e quindi del secondo motivo d’appello proposto a riguardo dall’attuale ricorrente per cassazione, ha parlato di aspetti di “merito”, ha inteso dare conto di profili subvalenti sul piano giuridico a fronte del dato dirimente che già il Tribunale aveva creduto ricorrere gli estremi di una decadenza, che la stessa Corte ha motivatamente ritenuto di confermare.
4.8. Ciò chiarito, l’assorbimento ritenuto dalla Corte territoriale, benché espresso solo in motivazione, è da qualificare come assorbimento in senso improprio, che, secondo i precedenti di legittimità, si configura quando la decisione di una questione esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre.
Ebbene, questa Corte ha stabilito che, in tema di provvedimenti del giudice, l’assorbimento in senso improprio – configurabile quando la decisione di una questione esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre – impedisce di ritenere sussistente il vizio di omessa pronuncia, il quale è ravvisabile solo quando una questione non sia stata, espressamente o implicitamente, ritenuta assorbita da altre statuizioni della sentenza (così Cass. civ., sez. VI, 3.2.2020, n. 2334).
Né tale declaratoria di assorbimento del secondo motivo di appello dell’attuale ricorrente, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, può credersi illogica.
Invero, l’art. 32, comma 4, L. 4.11.2010, n. 183, richiamato dalla Corte territoriale a proposito del rigetto del primo motivo d’appello, recita che: “Le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1, del presente articolo, si applicano anche”, per quanto qui interessa, ai contratti di lavoro a termine specificati alle lett. a) e b) dello stesso alinea.
Pertanto, il dato, riferito dal ricorrente, che egli avesse fondato le sue pretese anche sulla base di apposita norma del CCNL di settore era perfettamente ininfluente ai fini dell’operatività della decadenza eccepita dalla sua controparte e poi ritenuta dal Tribunale, sulla base di tale specifica previsione legale che rende applicabili le disposizioni in tema di decadenza anche ai contratti a termine che avevano interessato il lavoratore. Invero, ciò che il ricorrente chiama “azione contrattuale”, ossia, fondata sull’apposita norma di un CCNL, non integrava una distinta domanda esentata da tale decadenza.
5. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, appare all’evidenza infondato anche il secondo motivo di ricorso.
Invero, tale censura, non solo è proposta in via esplicitamente subordinata, ma si fonda su un’ipotesi, e cioè: “qualora si volesse ritenere che la sentenza impugnata abbia esteso la dichiarazione di decadenza anche all’azione contrattuale”.
Per quanto già ritenuto, tuttavia, tale ipotesi interpretativa del decisum d’appello è senz’altro da scartare.
La Corte territoriale, piuttosto, ha ritenuto che già il Tribunale avesse riscontrato l’efficacia di una decadenza tale da giustificare da sola il rigetto delle pretese portate dal ricorso introduttivo.
La stessa Corte, inoltre, neppure ha enucleato la c.d. “azione contrattuale” cui ora si riferisce l’impugnante, ed una tale “azione” in ogni caso, come già notato, non era assolutamente riscontrabile quale autonoma domanda sottratta al regime decadenziale.
Secondo quello che già si è detto, infine, la Corte territoriale ha perciò condivisibilmente reputato assorbita la questione circa il corretto computo dei giorni di lavoro prestato, riproposta con il secondo motivo d’appello.
5.1. Per conseguenza, i vizi di ultrapetizione e/o di violazione del giudicato interno, profilati dal ricorrente, devono essere senz’altro esclusi.
6. Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controncorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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