CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 novembre 2022, n. 34255
Crediti previdenziali – Cartella esattoriale – Notifica – Riscossione – Prescrizione
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Reggio Calabria, pronunciando sull’appello di E.S. S.p.A., ha dichiarato nullo il giudizio di primo grado rimettendo la causa innanzi al Tribunale di Locri, con termine di tre mesi per la riassunzione del giudizio;
2. la Corte territoriale dava atto che, con il ricorso introduttivo del giudizio, la parte ricorrente aveva dedotto «che la cartella (esattoriale) non (le) era mai stata notificata e che pertanto […] i crediti, aventi natura previdenziale, erano estinti per prescrizione»;
3. pertanto – previo rilievo dell’ammissibilità dell’appello che, pur non strutturato secondo il modello suggerito dal legislatore con il DL nr. 83 del 2012, era chiaro nell’individuazione dei capi da riformare e delle relative ragioni – osservava come la prescrizione fosse un vizio attinente al merito della pretesa e non alla regolarità della procedura. La legittimazione passiva (rectius, la titolarità sotto il profilo passivo del rapporto) era dunque dell’ente creditore, mentre la notifica al concessionario aveva valore di mera litis denuntiatio. Inoltre, nel caso in cui fossero state «sollevate anche questioni formali concernenti la cartella o la sua notifica» il contraddittorio andava esteso all’esattore, ricorrendo, in tal caso, una situazione di litisconsorzio necessario. Nel caso di specie, la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario non era stata rilevata dal giudice di primo grado. Ciò comportava la nullità del procedimento con regressione al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 cod.proc.civ.;
4. avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la parte in epigrafe, sulla base di due motivi. L’Agenzia delle entrate- Riscossione ha depositato atto di costituzione al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Considerato che
5. con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 434 cod.proc.civ., per avere la Corte di appello disatteso le prescrizioni di cui all’indicata norma processuale. Per la parte ricorrente, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, l’atto di appello proposto da E. non solo si discostava dal modello suggerito dal Legislatore ma, cosa più importante, non individuava i capi della sentenza di riformare e neppure argomentava le ragioni del proprio dissenso rispetto alla decisione;
6. il motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità;
7. le censure sono, infatti, formulate senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 nr. 6 cod.proc.civ., e dall’art. 369 nr. 4 cod.proc.civ.;
8. la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del «fatto processuale», l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (v. Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 10 aprile 2014, n. 8450; Cass. 4 luglio 2014, n. 15367; Cass. 28 novembre 2014, n. 25308; Cass. 5 agosto 2019, n. 20904);
9. dal principio di diritto discende che quando, come nella fattispecie, il ricorrente (ai fini della decisività della proposta eccezione) assuma che l’appello doveva essere dichiarato inammissibile per difetto della necessaria specificità dei motivi di impugnazione, la censura potrà essere scrutinata a condizione che vengano riportati nel ricorso, nelle parti essenziali, la motivazione della sentenza di primo grado e l’atto di appello (v. Cass. 20 luglio 2012, n. 12664; Cass. 10 gennaio 2012, n. 86);
10. con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 cod.proc.civ. nonché dell’art. 39 del D.Lgs. nr. 112 del 1999, per avere la sentenza impugnata affermato la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario e non ritenuto la legittimazione esclusiva dell’agente della riscossione;
11. l motivo è infondato;
12. il tema controverso è stato di recente affrontato dalle sezioni unite, con la sentenza nr. 7514 del 2022, e la fattispecie concreta è sovrapponibile a quella scrutinata con l’indicata pronuncia;
13. in sintesi, il ragionamento delle Sezioni Unite è il seguente:
a) va confermato l’indirizzo espresso dalla Sezione Lavoro di questa Corte (Cass. 19 giugno 2019 n. 16425; Cass. 12 novembre 2019 n. 29294; Cass. 8 novembre 2018 n. 28583; Cass. 25 maggio 2007 n. 12239) secondo il quale nel caso in cui il debitore intenda reagire alla riscossione del credito contributivo per ottenere l’accertamento negativo del credito iscritto a ruolo, tanto per infondatezza della pretesa, quanto per intervenuta prescrizione, opponendosi all’iscrizione a ruolo tardivamente rispetto al termine previsto dall’art. 24, comma 5, d.lgs. n. 46 del 1999, sul rilievo della mancata notifica della cartella esattoriale o dell’avviso di addebito, senza tuttavia far valere vizi dell’azione esecutiva, l’azione partecipa della natura dell’opposizione all’esecuzione, trattandosi di un tipo di azione di accertamento negativo del credito, tendente a recuperare l’azione, altrimenti tardiva, finalizzata a far valere la prescrizione dei contributi previdenziali, (Cass. 10 dicembre 2004 n. 23116), che ha efficacia estintiva e non meramente preclusiva, ed è sottratta alla disponibilità delle parti; la mancata notifica di cartelle di pagamento di credito previdenziale ha una valenza neutra, in quanto può dipendere dall’inerzia del concessionario o dalla mancata o tardata trasmissione degli atti all’esattore, ancor più in mancanza della prospettazione di specifiche responsabilità del concessionario le quali, in ogni caso non assumono rilevanza nei rapporti tra destinatario della pretesa contributiva ed ente titolare del credito, in ragione della estraneità dell’obbligato al rapporto (di responsabilità) tra esattore e ente impositore; tale fattispecie, lungi dal dar luogo ai meccanismi di cui all’art. 107 o 102 c.p.c., determina il rigetto del ricorso per carenza di legittimazione in capo al concessionario medesimo;
b) diversa è la fattispecie in cui con unico atto di opposizione sono fatte valere sia ragioni di merito che di regolarità formale della cartella e della procedura di riscossione, con la conseguente legittimazione passiva dell’Ente impositore o dell’agente per la riscossione in relazione a ciascuna di tali azioni;
c) quindi, tenuta in considerazione la peculiarità del sistema della riscossione previdenziale, e cioè che l’art. 24, comma 5, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 – nel testo oggi vigente, e vigente ratione temporis- dispone che nel giudizio contro l’iscrizione a ruolo la legittimazione spetta all’ente impositore e poiché la disposizione del comma 5 dell’art. 24 del d.lgs. n.46 del 1999 non è stata modificata nella parte concernente la legittimazione dell’ente impositore, anche quando il legislatore ha modificato la norma espungendo l’obbligo di notifica del ricorso al concessionario, si deve escludere che questa disposizione sia stata implicitamente superata dall’art. 39 d.lgs. 13 aprile 1999 n. 112, emanato successivamente all’art. 24 citato;
d) ne consegue che, limitatamente al processo attinente alle opposizioni a iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali e alle opposizioni, concernenti l’accertamento negativo del debito per fatti successivi all’iscrizione a ruolo, entrambe accomunate dall’attinenza al merito della pretesa contributiva, la legittimazione passiva resta regolata dal citato art. 24, senza che possa trovare applicazione l’art. 39 d.lgs. n.112 del 1999 e le conseguenze che da esso ha tratto la giurisprudenza in materia tributaria, atteso che «dalla complessiva lettura del d.lgs. n. 112 del 1999 […] si trae conferma del fatto che si tratta di decreto principalmente rivolto alla riscossione dei tributi» (Cass. S.U.25 ottobre 2016 n.23397);
e) sussiste la legittimazione a contraddire esclusivamente in capo all’ente impositore poiché l’azione ha ad oggetto il merito della pretesa contributiva (vale a dire, la sussistenza del debito contributivo iscritto a ruolo) rispetto al quale- in conformità all’art.24 d.lgs.49 del 1999 – l’agente della riscossione resta estraneo. Parimenti non può ritenersi ricorrere un’ipotesi di litisconsorzio necessario considerato che nel giudizio non si fa questione della legittimità degli atti esecutivi imputabili al concessionario; pertanto la sentenza deve ritenersi utiliter data anche senza la partecipazione di quest’ultimo al processo, mentre l’eventuale annullamento della cartella e del ruolo per vizi sostanziali produce comunque effetti nei confronti del medesimo, mero destinatario del pagamento o, più precisamente, avuto riguardo allo schema dell’art. 1188 cod. civ., comma 1, soggetto (incaricato dal creditore e) autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento, vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa (Cass. 25 luglio 2007 n. 16412);
f) la parte che introduce il giudizio, infatti, al fine di ottenere una pronuncia nel merito in astratto satisfattiva delle sue ragioni, deve radicarlo correttamente nei confronti del soggetto legittimato a contraddirvi, quale titolare della situazione sostanziale dedotta in giudizio e poiché l’unico soggetto convenuto in giudizio, nel caso in disamina, è l’agente della riscossione e costui non è titolare del diritto di credito, quanto, piuttosto, mero destinatario del pagamento (Cass. 24 giugno 2004 n. 11746) o, più precisamente, soggetto autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento ex 1188, I c.c. (cfr. Cass. 26 settembre 2006 n. 21222, Cass. 15 luglio 2007 n. 16412), sussiste il difetto di legittimazione passiva in capo all’agente per la riscossione ed il difettoso radicamento del contraddittorio da parte di chi ha agito in giudizio nei confronti esclusivamente del medesimo; il che determina il rigetto del ricorso per carenza di legittimazione in capo al concessionario medesimo e tale difetto è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità, essendo la Corte di Cassazione dotata di poteri officiosi in tutte le ipotesi in cui il processo non poteva essere iniziato o proseguito (in tal senso Cass. S.U. 9 febbraio 2012 n. 1912);
14. in coerente applicazione dei principi esposti ed in ragione della carenza di legittimazione a contraddire dell’Agente della Riscossione convenuto in giudizio, la sentenza va cassata senza rinvio perché la causa non poteva essere proposta, ai sensi e per gli effetti dell’art. 382, ultimo comma, cod.proc.civ. (v. anche sul punto, Cass., sez. un., nr. 7514 cit., par. 14, 14.1 e 15);
15. il recente componimento del contrasto giurisprudenziale sulla questione sottoposta all’attenzione del Collegio giustifica la compensazione delle spese dell’intero processo;
16. non sussistono, dato l’esito della lite, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai senti del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. (Cass., sez. un., nr. 7514 cit., par, 17);
P.Q.M.
Decidendo sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata perché la causa non poteva essere proposta. Compensa le spese di lite dell’intero processo.
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