CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 ottobre 2020, n. 22997
Appalto – Cessazione – Reinserimento nel posto di lavoro – Solidarietà passiva fra committente ed appaltatore
Rilevato che
D.S., socia lavoratrice della Società Cooperativa P.L. a r.l. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la Cooperativa nonché la committente R.C. s.r.l. chiedendo: a) accertarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la società cooperativa dal 1/8/2007 e lo svolgimento della attività di commessa presso il negozio R.C. della committente; b) condannarsi in solido le società al pagamento delle retribuzioni spettanti a far tempo dal 24/10/2008, data in cui era stata allontanata dal negozio presso cui svolgeva le proprie mansioni; c) condannarsi entrambe le società in solido fra loro, alla reintegra nel posto di lavoro e/o al risarcimento del danno.
Ritualmente istaurato il contraddittorio, il giudice adito rigettava le domande.
Detta pronuncia veniva riformata dalla Corte distrettuale che, con sentenza resa pubblica il 28/11/2016, dichiarava che fra la ricorrente e la società Cooperativa era intercorso un rapporto di lavoro subordinato e a tempo indeterminato dal 1/7/2008, ordinava il reinserimento della lavoratrice nel posto di lavoro occupato fino al 24/10/2008 presso il punto vendita R.C. di Fiumicino e condannava la cooperativa al pagamento della somma di euro 32.487,15 per differenze retributive spettanti dal novembre 2008 al luglio 2010.
Per quanto qui rileva, i giudici del gravame pervenivano a tali conclusioni sul rilievo che la solidarietà passiva fra committente ed appaltatore prospettata da parte appellante, nello specifico era da escludere perché, ai sensi dell’art.29 d.lgs. n.276/2003, detta solidarietà era valevole entro un anno dalla data di cessazione dell’appalto e detto limite nella specie era stato superato, posto che la S. aveva depositato il ricorso giudiziale in data 3/9/2010, oltre un anno dalla cessazione dell’appalto risalente al 24/10/2008.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la lavoratrice con unico motivo.
Resiste con controricorso la s.r.l. R.C.. La Società Cooperativa P.L. a r.l. non ha svolto attività difensiva.
Considerato che
1. Con unico motivo è denunciata violazione dell’art.29 d. lgs. n.276 del 2003 e successive modifiche, in relazione all’art.360 comma primo n.3 c.p.c.
Ci si duole che la Corte di merito abbia tralasciato di considerare che, ai sensi della citata disposizione, come novellata dall’art. 1 comma 911 della legge 27/12/2006 n.296 e successivamente, dall’art.21 comma 1 d.l. 9/2/2012 n.5, sia stata contemplata l’esperibilità della azione di responsabilità per il pagamento dei trattamenti retributivi ed i contributi previdenziali spettanti al lavoratore nei confronti di committente ed appaltatore, in regime di solidarietà, entro il termine di due anni dalla cessazione dell’appalto.
2. Il motivo è fondato.
Il disposto di cui all’art. 29, co. 2, del d. lgs. n. 276 del 2003, pro tempore vigente (nel testo risultante dalla modifica introdotta dall’art. 1 comma 911 della legge n.296/2006, ed in base al quale in caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti), prevede la responsabilità solidale di committente ed appaltatore entro il limite di due anni dalla cessazione del rapporto, così garantendo il lavoratore circa il pagamento dei trattamenti retributivi dovuti in relazione all’appalto cui ha personalmente dedicato le proprie energie lavorative.
Con tale disposizione l’ordinamento ha inteso perseguire l’evidente obiettivo di operare in funzione di una ricomposizione normativa della catena degli appalti, assicurando ai lavoratori delle piccole e micro-imprese subappaltatrici, possibilità di tutela in precedenza non riconosciute, evitando il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale; tutela che successivamente è stata in parte attenuata, mediante l’introduzione del principio del beneficium excussionis in favore del committente e la possibilità (già introdotta nel 2004 e cancellata ex lege 27/12/2006 n.296) “di diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, comparativamente più rappresentative del settore, che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti” (art.4 c.31 legge n.92/2012, soppresso dal D.L. 17 marzo 2017, n.25, convertito senza modificazioni in L. 20 aprile 2017 n.49).
Il testo della norma in discorso e la ratio che la sottende, impongono di ritenere che l’ordinamento abbia inteso garantire il lavoratore circa il pagamento dei trattamenti retributivi dovuti in relazione all’appalto avendo, limitatamente ad esso, come debitore non solo il datore di lavoro ma anche l’impresa appaltante e gli eventuali subappaltatori, in relazione al periodo del rapporto lavorativo coinvolto dall’appalto.
Si tratta di un compendio normativo che si inserisce nel più ampio disegno volto ad assicurare ai lavoratori margini di tutela più ampi anche in ipotesi di trasferimento d’azienda o di un suo ramo, o nei sempre più frequenti processi di esternalizzazione del lavoro, caratterizzati da un efficace apparato garantistico, analogamente a quanto previsto nel caso di subingresso di un appaltatore ad un altro, secondo lo speciale sistema di tutela approntato dall’art.2112 c.c.; ovvero, analogamente a quanto disposto dall’art.1676 c.c. che prescrive uno speciale sistema di tutela delineante la possibilità di esercitare la cd. azione diretta di rivalsa, in forza del quale i dipendenti dell’appaltatore possono chiamare in giudizio il committente per conseguire quanto è a loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda (vedi in motivazione, Cass. n.834/2019).
Con riferimento alla fattispecie qui delibata, va, quindi, rimarcato che il regime della solidarietà sancito dalla disposizione richiamata, presuppone solo l’accertamento dell’inadempimento dell’obbligazione a carico dei coobbligati solidali, la ripartizione interna dei debiti attenendo solo al rapporto intercorrente fra gli stessi.
La enunciata logica solidaristica che informa il rapporto fra l’appaltatore ed il committente, nei termini sanciti dall’art.29 comma 2, del d.lgs. n.276 del 2003, induce, pertanto, a ritenere non condivisibili gli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale.
Ed infatti, nella versione di testo prò tempore vigente, l’art. 29 c.2 d. lgs. n.276/2003, sancisce la responsabilità solidale di committente ed appaltatore entro il limite di due anni dalla cessazione del rapporto.
Nello specifico il ricorso della lavoratrice, proposto in data 3/9/2010, non risulta depositato oltre il termine di due anni dalla cessazione del contratto di appalto (24/10/2008).
In tal senso la pronuncia impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte distrettuale indicata in dispositivo la quale provvederà a scrutinare la fattispecie alla luce del principio enunciato, provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.
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