CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 ottobre 2021, n. 29475
Tributi – Accertamenti bancari – Redditi da lavoro autonomo professionale – Presunzione di maggiori compensi in relazione a prelievi ingiustificati da conti correnti – Illegittimità
Rilevato che
– R. A.A. detta I., C. L. e C.G.M. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 9 settembre 2013, di reiezione dell’appello dai medesimi proposti, quali eredi di C. A., avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso del loro dante causa per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui erano state rettificate le dichiarazioni rese dal de cuius per gli anni 2004 e 2005 ed erano state recuperate le maggiori imposte non versate;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo l’Ufficio aveva contestato l’omessa contabilizzazione di compensi derivanti dall’esercizio di attività libero-professionale, desunti da indagini su conti correnti bancari;
– il ricorso è affidato a cinque motivi;
– l’Agenzia delle Entrate non si costituisce tempestivamente, limitandosi a depositare atto con cui chiede di poter partecipare all’eventuale udienza di discussione;
– i ricorrenti depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.;
Considerato che
– con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 102 c.p.c., in relazione alla mancata partecipazione ai gradi del giudizio di merito della sig. A. A. detta I. R., odierna ricorrente, in quanto cointestataria del conto corrente le cui movimentazioni erano state poste a fondamento della presunzione di maggiori compensi accertati nei confronti del dott. C.;
– il motivo è infondato;
– va premesso che nel processo tributario la nozione di litisconsorzio necessario, quale emergente dalla norma dell’art. 14, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si configura come fattispecie autonoma rispetto a quella del litisconsorzio necessario, di cui all’art. 102 c.p.c. poiché non detta come quest’ultima, una norma in bianco, ma positivamente indica i presupposti nella inscindibilità della causa determinata dall’oggetto del ricorso, per cui ricorre un’ipotesi di litisconsorzio tributario ogni volta che, per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria, l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, ed il ricorso, pur proposto da uno o più degli obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione (cfr. Cass., Sez. Un., 18 gennaio 2007, n. 1052);
– orbene, nel caso in esame, non ricorrono tali presupposti, avuto riguardo all’unitarietà dell’atto impositivo, in quanto scaturente dal contestato inadempimento di obbligazioni tributarie gravanti solo un unico soggetto;
– non rilevante, pertanto, è la circostanza che elementi di prova a sostegno dell’atto impositivo siano tratti dallo svolgimento di rapporti contrattuali da parte del contribuente insieme ad altri soggetti, la cui posizione rimane, sotto il profilo delle obbligazioni tributarie conseguenti, distinta rispetto a quello dedotta nell’accertamento fiscale in contestazione;
– con il secondo motivo i contribuenti deducono, con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 2697 e 2702 c.c., e 345, secondo e terzo commi, c.p.c., nonché l’omessa e/o contraddittoria e insufficiente motivazione, per aver il giudice di appello ritenuto che le movimentazioni rilevate sul conto corrente intestato al dott. C. e al coniuge, sig. R., costituissero elementi presuntivi di maggiori compensi conseguiti dal primo, senza considerare che, in ragione della contitolarità del conto medesimo, tali movimentazioni potevano conseguire anche ad operazioni aventi altro titolo, estraneo alla professione esercitata dal professionista;
– il motivo è infondato;
– la possibilità riconosciuta all’Amministrazione finanziaria dagli artt. 51, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 32, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 51, di procedere alla rettifica della dichiarazione su basi presuntive utilizzando i dati relativi ai movimenti su tutti i conti correnti bancari intrattenuti del contribuente, opera anche nel caso in cui tali conti siano intestati ad un terzo estraneo all’impresa, in presenza di elementi sintomatici della riferibilità della riferibilità delle relative movimentazione all’attività di impresa (cfr. Cass., ord., 21 gennaio 2021, n. 1174; Cass. 15 gennaio 2020, n. 549);
– pertanto, non è sufficiente ad escludere l’operatività della presunzione legale stabilita dalle richiamate disposizioni il mero riferimento alla contitolarità del conto con il coniuge ed alla commistione tra consumi familiari ed attività imprenditoriale, essendo necessaria la prova analitica – di cui la sentenza impugnata non offre evidenza – dell’estraneità ai fatti imponibili degli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria (cfr. Cass. 16 ottobre 2015, n. 20981);
– con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 3 e 53 Cost., per aver la Commissione regionale applicato la presunzione di maggiori compensi (anche) ai prelevamenti operati sul conto corrente (co)intestato al dott. C., senza considerare la sua qualità di lavoratore autonomo;
– il motivo è fondato;
– con sentenza del 24 settembre 2014, n. 228, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui estende la presunzione anche ai compensi dei lavoratori autonomi, in quanto «lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito»;
– è, dunque, venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività, non essendo più proponibile l’equiparazione logica tra attività d’impresa e attività professionale (cfr. Cass. 9 agosto 2016, n. 16697; Cass. 11 novembre 2015, n. 23041);
– grava, dunque, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti dal conto corrente bancario siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi;
– la sentenza di appello non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi nella parte in cui ha accertamento i maggiori compensi asseritamente conseguiti dal dott. C. desumendoli presuntivamente (anche) dai prelievi dal medesimo operati dal suo conto corrente;
– con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 32, d.P.R. n. 600 del 1973, per aver la sentenza impugnata ritenuto che la documentazione prodotta non fosse idonea a superare la presunzione di maggiori compensi ivi sancita;
– critica, altresì, il giudice di appello per non aver fatto ricorso ai suoi poteri istruttori officiosi;
– il motivo è, quanto al primo profilo, inammissibile, in quanto si risolve in una critica della valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Commissione regionale che non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);
– quanto alla prospettata omessa attivazione dei poteri istruttori officiosi, la doglianza è infondata, atteso che il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova non può essere utilizzato per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio, ma solo in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti, e sempre che la parte su cui ricade l’onus probandi non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita (cfr. Cass., ord., 31 luglio 2020, n. 16476; Cass., ord., 24 febbraio 2020, n. 4762);
– nel caso in esame, una siffatta situazione non emerge dagli atti e, comunque, parte ricorrente omette di allegare in modo specifico circostanze rivelatrici della sua impossibilità di produrre in giudizio elementi istruttori idonei a dimostrare la non riconducibilità dei singoli versamenti all’attività professionale esercitata dal dott. C.;
– con l’ultimo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 58, d.lgs. n. 546 del 1992, per aver la Commissione regionale ha ritenuto inammissibile la produzione di nuovi documenti nel giudizio di appello;
– il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi;
– la sentenza impugnata, lungi dall’affermare che l’appellante è privo della facoltà di produrre in appello nuovi documenti – facoltà che, invece, ha espressamente riconosciuto -, ha osservato che la produzione documentale effettuata era inammissibile in quanto non rilevante, in relazione al fatto che era effettuata a sostegno di motivi di censura della legittimità dell’atto impositivo non formulati con il ricorso originario e, in quanto tali, non prospettabili in sede di appello;
– la sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il quinto e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
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