CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 dicembre 2020, n. 29302
Licenziamento – Grave pregiudizio alla salute – Risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente al demansionamento sofferto nel periodo antecedente il licenziamento
Rilevato che
1. A.T. convenne in giudizio la R.F.I. s.p.a. ed espose che a decorrere dal mese di marzo del 2001 era stato esautorato da ogni mansione e poi licenziato il 19 luglio successivo. Dedusse che il licenziamento, impugnato, era stato annullato e che era stato reintegrato nel giugno del 2006 e che, tuttavia, non gli fu affidato alcun incarico specifico. Espose di aver risentito, per effetto della condotta datoriale tenuta sin dal marzo 2001, di un grave pregiudizio alla salute (un disturbo da disadattamento cronico moderato grave con ansia ed umore depresso misti). Chiese la condanna della datrice di lavoro al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente al demansionamento sofferto.
2. Il Tribunale in parziale accoglimento della domanda condannò la società a corrispondere al T. la somma di € 136.804,64 oltre accessori di legge, a titolo risarcitorio in relazione al licenziamento dichiarato illegittimo, oltre che € 61.305,00, oltre interessi legali, quale risarcimento del danno biologico sofferto in conseguenza del demansionamento subito nel periodo antecedente il licenziamento.
3. La Corte di appello di Napoli decidendo sul gravame della società, ha ridotto la condanna per risarcimento del danno biologico alla somma di € 6.328,33 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.
3.1. Il giudice di secondo grado ha verificato la tempestività del gravame che, in mancanza di prova dell’avvenuta notifica della sentenza di primo grado, era stato proposto nel termine annuale dalla pubblicazione della sentenza di primo grado. Ha poi accertato che il danno biologico derivante al ricorrente per effetto del demansionamento doveva essere circoscritto al periodo marzo – luglio 2001 quando il T. venne trasferito presso la stazione di Torre Annunziata e gli furono assegnati compiti non adeguati rispetto alla sua professionalità. In tale contesto la Corte di merito ha disposto una consulenza medico legale che lo ha quantificato nella misura del 6% e la Corte, poi, lo ha monetizzato utilizzando quale parametro le Tabelle del Tribunale di Milano.
4. Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.T. affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso la R.F.I. s.p.a. che propone anche ricorso incidentale articolando due motivi.
La R.F.I. s.p.a. ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis 1. cod. proc.civ.
Considerato che
5. Né il ricorso principale né quello incidentale possono essere accolti.
6. Quanto alle censure con le quali è denunciata l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia va rilevato, in via generale, che le stesse non si confrontano con il testo dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc.civ. come novellato dall’art. 54 comma 1 lett. b) del d.l. n. 83 del 2012 conv. con modificazioni nella legge n. 134 del 2012.
6.1. Va qui ribadito che a seguito delle citate modifiche il sindacato di legittimità sulla motivazione è stato ridotto al “minimo costituzionale” ed è denunciarle in cassazione solo quell’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Per altro verso, poi, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciarle per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Conseguentemente, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo allorché il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053).
7. Nello specifico, poi, si osserva che il primo motivo del ricorso principale – con il quale è dedotta l’illogicità e contraddittorietà della consulenza tecnica disposta dal giudice di appello, e fatta propria dalla Corte territoriale, che non conterrebbe alcun riferimento alla data di inizio del comportamento lesivo (il 2001), non riporterebbe la certificazione del 10.12.2015 con la quale era stata accertata una depressione endoreattiva di grado medio severo, non terrebbe conto del trattamento farmacologico continuo ultradecennale – è infondato.
7.1. Il ricorrente deduce che non si comprenderebbe il ragionamento che ha portato il consulente, e quindi la Corte, a ritenere il disturbo dell’adattamento con umore depresso di grado lieve moderato ed a valutarlo nella misura del 6%.
E sostiene che erroneamente il ctu avrebbe fatto sottoporre il T. ad una visita psichiatrica, per una valutazione psichica attuale, quando ciò che aveva rilievo era la situazione nel periodo marzo luglio 2001 con riguardo al quale la relazione dello psichiatra non contiene alcun riferimento. Sostiene infatti che, sulla base della documentazione presente in atti, valutata dalla più attendibile consulenza di primo grado, l’incidenza concausale del demansionamento andava quantificata nella misura del 25%.
7.2. Rileva tuttavia il Collegio che la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene semmai alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove, come si è ricordato, trovi applicazione l’art. 360 primo comma n. 5 novellato (cfr. Cass. 15/05/2018 n. 11863). La censura si risolve in una complessiva rivisitazione dei fatti e non indica nello specifico quale circostanza decisiva sia stata trascurata ma propone piuttosto una lettura alternativa e contrappositiva degli elementi acquisiti al giudizio accordando preferenza alla consulenza più favorevole di primo grado. Tuttavia le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice di secondo grado non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dal consulente d’ufficio di primo grado, poiché tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di appello, bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali (cfr. tra le tante Cass. 02/02/2015 n. 1806, 12/01/2011 n. 569, 13/08/2004 n. 15796). Il vizio, denunciarle in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione (cfr. Cass. 03/02/2012 n. 1652).
8. Analoghe considerazioni devono essere svolte con riguardo al secondo motivo del ricorso principale con il quale è denunciata una omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per avere, erroneamente, la sentenza ritenuto che in primo grado il Tribunale avesse esteso l’indagine anche al danno biologico sofferto per effetto del licenziamento intimato al T. e, per conseguenza, rinnovato l’accertamento peritale. Sostiene il ricorrente che invece l’indagine era rimasta contenuta alle conseguenze del demansionamento e dunque non vi era ragione di rinnovare l’accertamento peritale.
8.1. Anche con riguardo a tale censura va rilevato che essa si sostanzia in una ricostruzione dei fatti, ivi compresa la consulenza di primo grado, tutti esaminati dalla Corte che ha motivatamente ritenuto che l’indagine peritale avesse travalicato i limiti delle conseguenze del demansionamento per prendere in esame anche l’incidenza del licenziamento sul danno biologico.
9. Il terzo motivo di ricorso, con il quale è denunciata, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4 cod. proc.civ., la nullità della sentenza in relazione alla violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa di cui all’art. 101 e 195 cod. proc.civ. ed all’art. 24 Cost., è infondato.
9.1. Sostiene il ricorrente che il consulente depositando direttamente in cancelleria l’elaborato peritale senza comunicarlo preventivamente alle parti ed attendere le eventuali osservazioni sarebbe incorso nella denunciata violazione con le conseguenze evidenziate. Tuttavia, la nullità eventualmente verificatasi avrebbe dovuto essere dedotta ex art. 157, secondo comma cod.proc.civ. nella prima udienza successiva (cfr. Cass. 26/05/2020 n.9857).
10. Quanto al ricorso incidentale ritiene il Collegio che il primo motivo, con il quale la società denuncia la falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ., sul rilievo che con la sentenza sarebbero state male interpretate le dichiarazioni rese in giudizio deducendosene il peggioramento delle condizioni lavorative che, al contrario, era rimasto indimostrato, è infondato.
10.1. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, ed è questo i tenore della censura, a seguito di una valutazione delle acquisizioni istruttorie ritenuta incongrua, si sia ritenuto che la parte onerata avesse assolto tale onere. In tal caso, infatti, si potrebbe semmai ravvisare un erroneo apprezzamento dell’esito della prova che tuttavia può essere sindacato in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod.proc.civ. (cfr. in tema Cass. 19/08/2020 n. 17313) e nei limiti indicati al punto 6.
10.2. Nel caso in esame ciò di cui ci si duole è che nessuna lamentela era stata avanzata da altri lavoratori addetti al medesimo magazzino e che il teste valorizzato dalla sentenza non sarebbe attendibile poiché lavorava in una stanza diversa e, pertanto, solo saltuariamente poteva verificare l’attività in concreto svolta dal T. e la sua denunciata coatta inoperosità. Si tratta di rilievi che, all’evidenza, investono la valutazione della prova riservata al giudice di merito.
11. Anche il secondo motivo del ricorso incidentale – con il quale si denuncia in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod.proc.civ., una carenza allegatoria sul danno da demansionamento e, sotto altro profilo, si lamenta la mancata verifica dell’esistenza di un nesso causale tra il demansionamento e il danno accertato – incorre nei ricordati limiti di denuncia del vizio di motivazione della sentenza e si risolve nella pretesa di procedere ad una nuova e diversa valutazione delle emergenze istruttorie preclusa a questa Corte di legittimità.
12. In conclusione la sentenza deve essere confermata. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso principale ed incidentale a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso principale ed incidentale a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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