CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 dicembre 2021, n. 41314
Tributi – Contenzioso tributario – Ricorso in cassazione – Censura generica – Motivo ampio e incerto – Inammissibilità del ricorso
Rilevato che
1. P.S.D. propone ricorso, con un motivo, contro l’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Campania che, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento, per il 2006, fondato su metodo induttivo, che recuperava a tassazione, ai fini Irpef, Irap, Iva, ricavi non dichiarati inerenti all’attività di carrozziere esercitata dal contribuente, ha confermato la sentenza di primo grado, la quale aveva rigettato il ricorso introduttivo;
2. la C.T.R. ha fondato la propria decisione sulle seguenti considerazioni: (i) l’accertamento con metodo induttivo era scaturito dalla mancata risposta del contribuente al questionario inviatogli dall’Amministrazione finanziaria (“A.F.”); (ii) il contribuente non aveva provato di non avere adempiuto alla richiesta dell’ufficio per una causa al medesimo non imputabile; (iii) egli svolgeva attività di carrozziere e soltanto in fase di accertamento con adesione era emerso che aveva anche un’attività di “commercio di veicoli usati”;
tuttavia, nemmeno in quella fase procedimentale, l’interessato aveva esibito documentazione relative all’attività di carrozziere; (iv) la ricostruzione induttiva del reddito poggiava su una presunzione, grave e precisa, ossia sul fatto che il contribuente aveva dichiarato rimanenze finali di merce per euro 66.194,00, per un importo maggiore rispetto ai ricavi dichiarati, nella misura di euro 63.412,00; (v) in giudizio, l’appellante ha esclusivamente tentato di dimostrare la scusabilità della mancata risposta all’invito dell’ufficio di esibire documentazione, ma non ha offerto (cfr. pag. 4 della sentenza) «alcun elemento per dimostrare l’erroneità della ricostruzione dell’Agenzia, che ha maggiorato i ricavi dichiarati dell’ammontare delle rimanenze finali che sono state ritenute cedute con un ricarico medio in linea con lo studio di settore per l’attività di carrozziere (pari al 41,55%)»;
3. in seguito all’istanza, datata 15/05/2019, con cui il contribuente ha chiesto la sospensione del giudizio in vista dell’adesione alla definizione agevolata della controversia, questa Corte (in diversa composizione), nell’adunanza camerale del 15/05/2019, ha sospeso il giudizio, ai sensi del d.l. n. 119 del 2018, e ha rinviato la causa a nuovo ruolo.
La procedura di definizione agevolata della controversia non si è successivamente perfezionata e il processo è proseguito;
Considerato che
1. con l’unico motivo di ricorso [«I) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 del dpr 29/09/1973 n. 600, nonché dell’art. 115 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omesso esame circa un punto decisivo della controversia»], si ascrive al giudice di merito la violazione del diritto di difesa per non avere preso in considerazione la documentazione fiscale acquisita nel corso del giudizio di primo grado. A tale proposito, il ricorrente evidenzia che, in sede di accertamento con adesione, aveva fornito tutta la documentazione riguardante la sua seconda attività, ovverosia quella di commercio di veicoli usati, al fine di provare gli errati importi rilevati dall’ufficio per l’attività di autocarrozzeria (specialmente l’ammontare delle rimanenze finali nella misura di euro 66.194,00).
Addebita, pertanto, al “giudice di prime cure” (così alle pagine 10 e 11 del ricorso) di non avere valutato la documentazione posta a base del ricorso introduttivo e ai “giudici di gravame” (cfr. pag. 11 del ricorso) di non avere fatto un uso legittimo del potere discrezionale in materia di prove; conclude che l’Agenzia ha erroneamente maggiorato i ricavi dichiarati (relativi all’attività di carrozzeria) con l’ammontare delle rimanenze finali dell’attività di commercio di veicoli usati, attribuendoli entrambi all’attività di carrozzeria;
2. il motivo è inammissibile;
il giudizio di cassazione è a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità e esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360, cod. proc. civ. Nella specie, il complesso motivo di impugnazione, sussunto, contemporaneamente, entro i diversi paradigmi della violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quale norma non esplicitamente indicata nella rubrica del “mezzo”) e dell’omesso esame circa un “punto” decisivo della controversia (ibidem n. 5), contiene, in sostanza, una critica del tutto generica, inammissibilmente ampia e incerta, che sollecita la Corte di legittimità a sostituirsi al ricorrente al fine di individuare, dall’insieme indistinto delle doglianze congiuntamente proposte, autonomi profili di censura (ex multis Cass. 18/04/2018, n. 9486);
3. le spese del giudizio sono regolate in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 3.500,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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