CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 febbraio 2019, n. 5281
Imposte indirette – IVA – Crediti – Compensazioni – Avviso di recupero – Sanzioni
Fatti di causa
La D. s.r.l., in liquidazione, impugnò l’avviso di recupero notificato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale venivano irrogate sanzioni per compensazioni con i crediti IVA, superiori alla soglia consentita nell’anno di imposta 2003.
Accolta l’impugnazione in primo grado e proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con sentenza depositata il 21 luglio 2011, lo accolse.
Avverso la detta sentenza, il fallimento – apertosi in pendenza del giudizio – della D. s.r.l., in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi;
l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo deduce il fallimento ricorrente la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto il giudice di merito ha omesso di pronunciare sull’eccezione sollevata dall’originaria ricorrente circa il rispetto del limite previsto per la compensazione dei crediti IVA.
1.2. Il motivo non può essere accolto, per le ragioni di cui si dirà.
1.3. Va premesso che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la S.C. può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello, determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito, sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 19/04/2018, n. 9693; Cass. 28/06/2017, n. 16171; Cass. 27/12/2013 n. 28663; Cass. 01/02/2010, n. 2313).
Ora, questa Corte ha già affermato che in tema di IVA, l’art. 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, nel testo applicabile ratione temporis, sancendo che, a decorrere dall’ 1 gennaio 2001, il limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi compensabili ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, per i soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo (euro 516.546,90) per ciascun anno solare, ha inteso introdurre, per ogni periodo d’imposta, al fine di non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale, un limite invalicabile alla possibilità del contribuente di porre in compensazione con i debiti fiscali i crediti IVA, che non può essere superato anche in sede di liquidazioni periodiche IVA, come confermato anche dalla Corte di Giustizia, nella sentenza del 16 marzo 2017, in C-211/2016, secondo cui la disciplina comunitaria non osta a tali limitazioni, purché sia assicurato al soggetto passivo l’integrale recupero del credito d’imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole (Cass. 26/09/2018, n. 22962; Cass. 29/03/2017, n. 8101).
Dunque, infondata si mostra la pretesa avanzata dalla società poi fallita di superare la detta soglia annuale, applicando una compensazione tra crediti e debiti tributari infrannuale, agganciata semplicemente alle liquidazione trimestrali dell’IVA. Ne discende che, decidendo nel merito il motivo di appello pure non esaminato dal giudice di merito, lo stesso dovrebbe essere comunque respinto; resta escluso allora, per le ragioni anzidette, che si possa addivenire alla cassazione della sentenza impugnata per il motivo in esame.
2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., avendo la commissione tributaria regionale in maniera insufficiente spiegato le ragioni che impedivano di accordare alla contribuente, l’esimente derivante dalle condizioni di obbiettiva incertezza sulla portata delle norme applicabili.
2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto attraverso la censura motivazionale, senza individuare il fatto storico oggetto di omesso od insufficiente esame, la ricorrente intende sollecitare alla Corte una valutazione in ordine alle condizioni di obbiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme applicate, che il giudice di merito ha risolto, correttamente, in diritto, in modo conforme alla giurisprudenza (18405/18).
3. Con il terzo motivo assume ancora la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., poiché la commissione tributaria ha omesso di pronunciare sull’eccezione, sollevata dall’originaria ricorrente, in ordine all’impossibilità di comminare a suo carico sanzioni amministrative, avendo aderito per l’anno 2003 alla sanatoria prevista dagli artt. 9 e 9-bis della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
3.1. Il motivo è fondato.
È noto che ai sensi dell’art. 9-bis della legge n. 289 del 2002, le sanzioni previste dall’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, non si applicano ai contribuenti e ai sostituti d’imposta che alla data del 16 aprile 2003, abbiano provveduto ai pagamenti delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 ottobre 2002, per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data.
Nonostante la ricorrente avesse riformulato un preciso motivo di doglianza (già ritualmente proposto in primo grado), assumendo in sostanza che non potevano essere irrogate le sanzioni oggetto dell’atto impugnato, in forza del c.d. “condono tombale del 2002” cui la medesima contribuente aveva aderito, la commissione tributaria regionale ha del tutto omesso di pronunciare sul punto; dunque, la sentenza oggetto dell’odierno ricorso per cassazione merita di essere cassata per omessa pronuncia.
4. In definitiva, respinti i primi due motivi ed accolto il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, per un nuovo esame in relazione al solo motivo accolto e per statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Respinge il primo e il secondo motivo; accoglie il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese di legittimità.
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