CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 febbraio 2019, n. 5372
Rapporto di lavoro – Dirigente – Licenziamento – Sussistenza della giusta causa – Impugnazione – Termine di prescrizione quinquennale
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 7.11.2016, in accoglimento dell’appello principale proposto da S.G.R. avverso la decisione del Tribunale di Piacenza – che, in adesione all’eccezione di prescrizione ai sensi dell’art. 1442 c.c., sollevata dalla società S.G. p.a., aveva riconosciuto, in favore del predetto, gli importi dovuti a titolo solo di retribuzioni, anche differite, senza riconoscere anche la indennità sostitutiva del preavviso e la indennità supplementare – condannava la datrice di lavoro a corrispondere al R. ulteriori euro 89.857,71, oltre accessori di legge, per tali due indennità; respingeva, invece, il gravame incidentale della società;
2. la Corte osservava che l’onere di impugnazione del recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale era sottratto alla previsione di cui all’art. 6 della I. 604/66, trattandosi di rapporto recedibile ad nutum e quindi estraneo alla legislazione vincolistica, con la conseguenza che poteva essere esercitata entro il normale termine di prescrizione l’azione giudiziaria proposta da dirigente di azienda industriale licenziato al fine di ottenere l’accertamento relativo alla mancanza di giustificatezza del licenziamento e la condanna del datore di lavoro al pagamento dell’indennità supplementare delle spettanze contrattuali di fine lavoro, prevista dall’art. 19 c.c.n.I. di categoria 13.4.1981;
3. aggiungeva che la contestazione degli addebiti era stata affatto generica e che comunque, al di là dell’esito assolutorio del giudizio penale, i capitoli di prova articolati dalla datrice di lavoro erano affatto generici e privi di rilevanza ai fini di causa; quanto all’appello incidentale della società, osservava che l’esistenza e la durata della malattia del dirigente non avevano rilbvo alcuno, atteso che nulla era stato sul punto eccepito in prime cure e che non sussisteva una giusta causa di recesso, che avrebbe reso ininfluente il periodo di malattia;
4. di tale decisione ha domandato la cassazione la società, affidando l’impugnazione a quattro motivi di ricorso – illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c., cui ha resistito, con controricorso, il R.;
5. il P.G. ha fato pervenire le sue conclusioni scritte.
Considerato che
1. con il primo motivo d’impugnazione, la società denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 22 c.c.n.I. e 1441 e 1442 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere l’impugnata sentenza escluso che la domanda relativa al licenziamento del dipendente dirigente fosse estinta per prescrizione, affermando che, ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità sostitutiva del preavviso e all’indennità supplementare, non sia necessaria la specifica domanda di annullamento del licenziamento; a sostegno di tale assunto la ricorrente richiama la sentenza n. 18732/2003 della S.C., secondo cui l’azione di impugnazione del licenziamento è soggetta al termine di prescrizione quinquennale, nella specie decorso;
2. con il secondo motivo, la società lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 7 I. 300/70, osservando che la Corte territoriale ha ricavato il proprio convincimento in ordine alla genericità della contestazione disciplinare dalla circostanza che il dipendente avesse proposto il giudizio solo all’esito del procedimento penale, mentre tale circostanza era da intendersi espressiva soltanto di una scelta strategica del lavoratore e non era idonea a dimostrare di per sé la genericità della contestazione;
3. con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c., censurando l’omesso esame di fatto decisivo rappresentato dalla circostanza che l’esistenza e la durata della malattia non sono state contestate dalla società, a ciò conseguendo, secondo la società, I’ erroneità della sentenza laddove ha ritenuto rilevante la malattia da cui era risultato affetto il R. dal 14.2. al 30.6.2006, nonostante che sia ben possibile licenziare per giusta causa anche in costanza di malattia;
4. con il quarto motivo, deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., denunziando l’omessa pronuncia in ordine all’eccezione relativa alla mancata produzione integrale, da parte del R., del c.c.n.I. per i Dirigenti Industria;
5. il primo motivo è infondato: come si evince dalla sentenza e dal controricorso, il R. non ha proposto domanda di nullità del recesso, ma di condanna del datore di lavoro al pagamento di emolumenti retributivi, nonché dell’indennità sostitutiva del preavviso e di quella supplementare, dovuta ai sensi dell’ art. 19 c.c.n.I. per i dirigenti del settore, per i casi di licenziamento non giustificato, nella misura massima di 22 mensilità, stanti le circostanze del recesso;
6. secondo questa Corte “il rapporto di lavoro dei dirigenti, anche dopo l’entrata in vigore della l. 108/90, non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui agli artt. 1 e 3 I. 604/66, non avendo la suddetta legge n. 108 inciso sull’art. 10 della legge n. 604 del 1966 (…), tuttavia in caso di recesso – come nella specie – non affetto da nullità, ma soltanto ingiustificato, l’atto di recesso è inidoneo a realizzare la risoluzione del rapporto soltanto nell’ambito dell’area di operatività della stabilità reale” (Cass. 14461 del 22.6.2006). Il principio, cui consegue che di regola (salve diverse previsioni del c.c.n.I.) la prescrizione dei crediti retributivi dei dirigenti decorre dalla data di cessazione del rapporto, si salda con quello secondo cui “in tema di licenziamento ingiustificato (del dirigente) non sussiste un interesse all’affermazione dell’esistenza di una forma di illiceità piuttosto che di un’altra, sotto il profilo della non giustificatezza, ove la distinzione non produca effetti in ordine alle conseguenze dell’illegittimità del recesso” sicché, fermo che l’ingiustificatezza del licenziamento del dirigente – che, com’è noto, è licenziabile ad nutum – può non coincidere con l’assenza di giusta causa o di giustificato motivo, “al fine di accertare la configurabilità del diritto del dirigente all’indennità supplementare e di preavviso, l’ingiustificatezza del recesso datoriale può evincersi da una incompleta o inveritiera comunicazione dei motivi del licenziamento, ovvero da un’infondata contestazione degli addebiti, potendo tali condotte rendere quanto meno disagevole la verifica che il recesso sia eziologicamente riconducibile a condotte discriminatorie ovvero prive di adeguatezza sociale” (Cass. 24246/2007);
7. nel caso di specie, essendo la domanda giudiziale del R. finalizzata ad ottenere il pagamento delle spettanze retributive e di natura indennitaria connesse all’ingiustificatezza del licenziamento – spettanze per le quali pacificamente il termine prescrizionale era stato utilmente interrotto e non era decorso -, appare corretta la decisione della Corte territoriale, che ha escluso l’applicazione alla fattispecie dell’istituto della prescrizione della domanda di annullamento del recesso ex art. 1441 e 1442 c.c. sul presupposto che essa non era stata proposta: invero, stante l’inesistenza di un interesse all’annullamento del licenziamento, ma solo all’ottenimento delle spettanze economiche, l’ingiustificatezza del licenziamento ha costituito effettivamente un accertamento incidentale, funzionale alla pronuncia avente ad oggetto le conseguenti indennità;
8. la censura formulata nel secondo motivo non si confronta con la decisione impugnata, la quale ha, invece, analizzato il contenuto della contestazione disciplinare ritenendo la stessa priva “di una specifica connotazione circa l’oggetto delle irregolarità, nonché una loro precisa collocazione spazio-temporale”, aggiungendo, ma solo a ragione di ulteriore conferma, che “infatti il ricorso di primo grado è stato depositato all’esito del giudicato penale di assoluzione”: trattasi di argomentazione ad abundantiam, che non inficia la già compiuta verifica in ordine alla specificità della contestazione;
9. il terzo motivo, oltre a non essere autosufficiente e prospettato in dispregio degli oneri redazionali previsti per tale tipologia di censura, è inammissibile per mancanza di decisività: dalla sentenza si ricava che la società aveva chiesto, proponendo l’appello incidentale, che non fosse riconosciuta valenza sospensiva alla malattia del lavoratore, alla luce della sussistenza della giusta causa; la Corte ha però ritenuto ingiustificato il recesso – sia per la genericità della contestazione, sia per mancanza di giustificazione alla luce dell’assoluzione in sede penale del lavoratore, sia infine, per difetto di prova (essendo generici ed irrilevanti i capitoli di prova articolati dalla datrice di lavoro) – : non si comprende pertanto a quali conseguenze, utili per la società, potrebbe condurre l’accertamento dell’eventuale errore compiuto dalla Corte territoriale in ordine al mancato rilievo della non contestazione del periodo della malattia;
10. la censura di cui al quarto motivo è inammissibile per la decisiva ragione che non è ravvisabile un difetto di pronuncia che non si rapporti ad un capo della domanda: il vizio di omessa pronuncia ricorre, invero, ove manchi qualsivoglia statuizione su un capo della domanda o su una eccezione di parte, così dando luogo alla inesistenza di una decisione sul punto della controversia, per la mancanza di un provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, non potendo dipendere dall’omesso esame di un elemento di prova (Cass. 7472/2017).
11. in conclusione, non essendo la decisione scalfita dalle censure di cui al ricorso, quest’ultimo va rigettato;
12. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;
13. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R.
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