CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 febbraio 2022, n. 5866
Tributi – Accertamento – Utili extracontabili accertati in capo alla società partecipata – Attribuzione al socio in proporzione alla quota di partecipazione
Rilevato che
1. La vicenda che origina il ricorso all’esame nasce da una verifica fiscale della Guardia di Finanza de L’Aquila effettuata nei confronti della società P.P. s.r.l. con la quale si accertava l’esistenza di un articolato sistema di evasione fiscale posto in essere nel corso di varie annualità d’imposta (dal 2002 al 2007). In particolare, erano stati rinvenuti numerosi documenti di trasporto per oli minerali recanti timbri dell’Ufficio tecnico delle Finanze contraffatti, giacenze di prodotti petroliferi, falsa fatturazione, eccedenza di prodotto commercializzato rispetto a quello a disposizione della società DPP. Ne seguì p.v.c., notificato alla P.P. s.r.l. in data 16/08/2010, riguardante le annualità d’imposta 2002, 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007, dal quale si evinceva che la P.P. s.r.l., oltre che giovarsi di fatturazione inesistenti rispetto a forniture mai effettuate dalla fornitrice società DPP, poste in essere al solo fine di giustificare contabilmente l’uscita di denaro dalle casse societarie, aveva utilizzato autocisterne con dispositivi alterati per effettuare consegne di prodotti petroliferi in quantità inferiori rispetto a quelle pattuite nei confronti dei clienti ufficiali, per lo più enti pubblici, di modo che il prodotto illecitamente sottratto alla fornitura ufficiale, venisse commercializzato “a nero” a clienti compiacenti, evitando l’imposizione fiscale. Gli elementi sui quali i verificatori avevano basato tale meccanismo fraudolento riguardavano non solo la documentazione contabile ed extracontabile ( “quadernetti”, timbri contraffatti) facenti capo alla DPP ed alla P.P. s.r.l., ma anche le risultanze delle intercettazioni telefoniche, effettuate dal nucleo di P.T. di Bari nell’ambito del procedimento penale per truffa, dalle quali risultavano le modalità di pagamento a nero con i clienti compiacenti, nonché le rimostranze avanzate dal personale dipendente degli enti pubblici frodati che lamentavano l’eccessivo consumo di gasolio da riscaldamento e, quindi, la limitata durata delle forniture ricevute dalla P.P. s.r.l.; inoltre, gran parte del materiale indiziario era stato tratto dall’esame delle movimentazioni bancarie dei conti correnti personali di tutti i soggetti coinvolti in maniera diretta o indiretta alle operazioni fraudolente e, quindi, alla società e ai soci, P.G., P.F. e U.A., nonché a P.F. e P.M. quest’ultimi due “non soci”.
2. A tale verifica, seguirono, distinti avvisi di accertamento, nei confronti della società, dei soci di diritto e dei “non soci”. Per i soci, l’imputazione veniva operata depurando il maggiore imponibile societario della quota rappresentata dalle movimentazioni tracciate sui conti dei soggetti formalmente estranei alla compagine societaria ed attribuendo agli stessi il reddito così calcolato in proporzione alla partecipazione al capitale sociale, mentre, per i “non soci”, l’utile societario veniva attribuito in misura pari alle movimentazioni tracciate sui loro conti, utilizzando cioè l’ammontare di quest’ultime quale criterio di quantificazione di imputazione dell’imponibile societario ciascuno riferibile (v. ricorso pag. 4-5).
3. Essendo P.F. socio della società P.P. s.r.l. nella misura del 10%, veniva emesso nei suoi confronti avviso di accertamento, per l’annualità 2004, con il quale si contestava un maggior reddito di capitale (euro 114.413,00), non dichiarato, per la distribuzione di ricavi occulti in proporzione alla sua quota di partecipazione alla società.
4. P.F. proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale de l’Aquila chiedendone l’annullamento. La CTP adita, dopo aver disposto l’integrazione del contraddittorio, la chiamata in causa della società P.P. s.r.l. e c.t.u., riuniva al ricorso del socio i ricorsi avviati dalla società e, con sentenza n. 159/1/13, li respingeva.
5. P.F. e la società P.P. s.r.l. proponevano appello innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio (CTR) che, con la sentenza in epigrafe, accoglieva parzialmente l’appello di P.F. ritenendo che andasse applicata nei suoi confronti la tassazione agevolativa del 12,5%. («[…] Nei confronti delle persone fisiche la commissione ritiene che possa trovare applicazione il disposto di cui all’articolo 32 d.P.R. n. 600/1973, per quanto concerne prelevamenti e pertanto la presunzione in questione può operare solo limitatamente ai versamenti. In ordine a questi ultimi la commissione ritiene legittimo l’assoggettamento ad imposizione fiscale e la quantificazione degli stessi quali redditi diversi […] Ne consegue il parziale accoglimento del motivo di appello del contribuente per la determinazione del reddito imponibile nei confronti del signor P.F. socio si fa riferimento alla somma indicata nella perizia e tenuto conto che gli ha una partecipazione del 10% deve essere assoggettato ad imposizione con aliquota del 12,5%»). Rigettava, poi, l’appello nei confronti della società ritenendo che «la stessa non ha impugnato l’avviso di accertamento non può ritenersi che l’appello del socio anche in ipotesi di litisconsorzio necessario potrebbe dar luogo alla remissione in termini, pertanto il suo appello viene rigettato».
6. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso in Cassazione avverso tale sentenza, affidato a cinque motivi.
7. P.F. ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso – così rubricato: «Nullità della sentenza ex artt. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’ art. 360 n. 4 c.p.c.» – l’Amministrazione finanziaria denuncia l’error in procedendo in cui sono incorsi i secondi giudici con riguardo alla statuizione di parziale accoglimento dell’appello di F.P., laddove le motivazioni rese si riferiscono ad altra situazione avente come parte in causa un “non socio”, mentre F.P. risulta, incontestatamente, socio della P.P. s.r.l. con quota del 10%. Deduce la ricorrente che tale vizio non è emendabile con la semplice correzione materiale effettuata dai secondi giudici con provvedimento del 09/07/2015 («il termine P.F. va corretto con la seguente dicitura: P.F. [..]»), non trattandosi di semplice errore materiale in quanto il maggior reddito imponibile traeva origine dalla presunzione di distribuzione di utili extracontabili accertati in capo alla società partecipata nonché dalla indebita deduzione di costi.
1.1. La motivazione della sentenza impugnata non incorre in alcuna delle ipotesi di anomalia motivazionale – che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico,” nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr., ex plurimis, Cass., 09/07/2020, n.14633, in motivazione) – essendo chiaramente individuale la ratio decidendi della statuizione resa nei confronti di F.P., come espressa alle pagine 4 e 5 della sentenza, ed in particolare, al secondo capoverso di pagina 5, ove la CTR dopo aver riconosciuto la partecipazione societaria di P.F. al 10%, qualifica il suo reddito come reddito diverso soggetto all’aliquota del 12,5% di cui all’art. 87 t.u.i.r. («Ne consegue il parziale accoglimento del motivo di appello del contribuente per la determinazione del reddito imponibile nei confronti del signor P.F. socio si fa riferimento alla somma indicata nella perizia e tenuto conto che gli ha una partecipazione del 10% deve essere assoggettato ad imposizione con aliquota del 12,5%»).
2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale l’Agenzia delle entrate deduce la violazione di legge e, segnatamente, dell’art. 38, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui la sentenza impugnata ha negato la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti del socio, F.P., fondato sulla presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati dalla società di capitali a ristretta base partecipativa, è fondato.
2.1. La questione è agevolmente risolvibile in base ai principi pacifici di questa Corte secondo cui, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale (o a base familiare), è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che vanno imputati al socio nell’anno in cui sono conseguiti, e sempre che il socio non dimostri che gli utili extracontabili non sono stati distribuiti perché accantonati e reinvestiti nella società. E’ stato chiarito che tale presunzione «non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria» (così, Sez. 6-5, 24/01/2019, n. 1947; ex pluribus, sull’operatività della presunzione cfr. Sez. 5, 22/11/2017, n. 27778; Sez. 5, 20/12/2018, n.32959); è stato, altresì, soggiunto che «è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, che, attesa la mancanza di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio trattandosi di utili occulti, deve ritenersi avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli stessi sono stati conseguiti.» (così, Sez. 5, 18/12/2015, n. 25468).
3. Col terzo motivo la ricorrente Amministrazione denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 del d.lgs. 31/12/1992 n. 546, in relazione all’articolo 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., laddove la CTR ha recepito le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio nonostante l’accertamento nei confronti della società fosse divenuto definitivo. Il mezzo è inammissibile, non avendo né l’Agenzia delle entrate, né i soci mai fatto questione di decadenza per l’impugnazione dell’avviso di accertamento di cui all’art. 21 d.lgs. cit.
4. Il quarto mezzo – con il quale si denuncia la violazione dell’articolo 14 del d.lgs. n. 546 del 1992, laddove la CTR ha ritenuto sussistere l’ipotesi delle cause inscindibili e del litisconsorzio necessario, disponendo l’integrazione del contraddittorio, nonostante si trattasse di società di capitali – è fondato nei limiti di cui appresso.
4.1. E’ principio pacifico di questa Corte che l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, riferito ad utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù del vincolo di partecipazione a ristretta base nonché dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano, con la conseguenza che sebbene non ricorra, com’è per le società di persone, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi, il giudice dell’accertamento relativo al maggior reddito accertato in capo al socio sospende il giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., o, laddove ne ricorrano i presupposti (accertamento della società divenuto definitivo) ex art. 337, secondo comma, cod. proc. civ. (Sez. 5, 31/01/2011, n. 2214; Sez. 6-5, 07/03/2016, n. 4485; Sez. 6-5, 29/08/2017, n. 20507).
5. Il quinto mezzo – con il quale si denuncia la violazione di legge e segnatamente dell’articolo 75 t.u.i.r. e dell’articolo 19 del d.P.R.n. 633 del 1979 per aver la CTR ritenuto illegittimo il recupero dei costi e dell’Iva detratta, invece, indeducibili – è fondato.
5.1. Giova ribadire che i fatti che hanno originato la ripresa a tassazione riguardavano un sistema di evasione fiscale e truffa, messe in essere dalla società P.P. s.r.l., attraverso il quale veniva sottratto carburante ai clienti (in genere soggetti pubblici) con autocisterne alterate che erogavano meno carburanti di quanto era contabilizzato dagli erogatori. Dal punto di vista fiscale tale frode faceva venir meno la simmetria tra costi palesi e ricavi palesi e, siccome, in base alla verifica fiscale, i carburanti sottratti circolavano in nero, si realizzavano col profitto del reato componenti positivi occulti. E’ dunque rispetto a tali componenti che è scattata la ripresa a tassazione per l’indeducibilità dei relativi costi.
5.2. Tale essendo la fonte della contestazione, non pare possa esservi dubbio che la realizzazione di tali componenti positivi occulti sia di diretta riferibilità al comportamento truffaldino posto in essere dai contribuenti, sicché l’indeducibilità non poteva che essere riferita ai costi di tutti i fattori produttivi dell’impresa in quanto in rapporto diretto con il reato (v. circolare Agenzia delle entrate n. 32/E del 3 agosto 2012). Inoltre, poiché attraverso l’illecito penale i carburanti sottratti circolavano in nero, intaccando la simmetria tra costi palesi e ricavi palesi, è venuto meno il requisito dell’inerenza all’attività imprenditoriale (art. 109 t.u.i.r.) essendo i costi (e ricavi) espressivi di finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’impresa.
6. In conclusione, il ricorso va accolto per quanto in motivazione, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR dell’Abruzzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per quanto in motivazione, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR dell’Abruzzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.