CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 giugno 2018, n. 16553
Tributi – Riscossione – Cartella di pagamento – Rateizzazione – Non sono dovuti gli interessi di mora sulle somme richieste a titolo di sanzioni
Fatto
1. La società I. s.p.a. impugnava il provvedimento con il quale l’agente per la riscossione aveva accolto l’istanza di rateizzazione ex art. 19 del DPR 602/73, relativa alla pretesa tributaria portata da 14 cartelle, eccependone l’illegittimità per errata determinazione degli interessi e di dilazione in violazione del DM 28.07.2000, sostituito poi dal provvedimento direttoriale del 4.08.2009 e denunciando la violazione dell’art. 2 comma 3 D.lgs 472/1997 per illegittima applicazione degli interessi di mora e di dilazione anche sulle sanzioni.
La C.T.P. di Napoli dichiarava l’inammissibilità del ricorso ritenendo che il provvedimento di rateazione non rientrasse tra gli atti impugnabili ex art. 19 D.lgs 546/92.
Avverso la sentenza dei primi giudici, interponeva gravame l’ente contribuente, riproponendo le medesime difese svolte in primo grado.
La C.T.R. di Napoli riformava la sentenza di primo grado.
In particolare, i giudici di appello affermavano l’ammissibilità del ricorso, interpretando estensivamente il citato art. 19 e riconoscendo la giurisdizione del giudice tributario anche in materia di interessi relativi al tributo; accertavano, inoltre, l’illegittima applicazione del D.M. 28.07.2000 al periodo successivo all’anno di riferimento (anno 2000), statuendo l’inapplicabilità degli interessi di dilazione sulle sanzioni.
Avverso la sentenza indicata in epigrafe la concessionaria ricorre per cassazione affidandosi a due motivi illustrati nella memoria.
L’amministrazione finanziaria ha depositato memoria per la partecipazione alla udienza; la contribuente resiste con controricorso, eccependo l’esistenza del giudicato con riferimento al calcolo degli interessi di mora.
Considerato che
2. Con il primo motivo del ricorso, la concessionaria denuncia violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 19, 21 e 30 DPR 602/72, censurando la pronuncia di appello per aver ritenuto inapplicabili gli interessi di mora, sebbene l’art. 30 del DPR citato preveda espressamente l’applicazione degli interessi a partire dalla data di notifica della cartella e fino alla data di pagamento al tasso annualmente determinato con decreto del Ministero delle Finanze; tasso determinato dal D.M. 28.07.2000 in vigore sino al 30.09.2009.
3. Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 comma 3 del d.lgs 472/97 con riferimento all’art. 21 DPR 602/73, censurando la sentenza impugnata per aver erroneamente interpretato il citato art. 21 che prevede, al contrario di quanto sostenuto dai giudici di appello, l’applicazione degli interessi di dilazione sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato e dunque anche sulle sanzioni.
4 Occorre esaminare preliminarmente l’eccezione di giudicato sollevata dalla società I., la quale, in altro giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria di Napoli, aveva contestato la debenza degli interessi di mora liquidati con gli avvisi di intimazione notificati il 4.12.2008 (ricorso RG 2175/09), recanti il debito tributario successivamente rateizzato (comprensivo degli importi dovuti a titolo di tributi e a titolo di interessi di mora).
Ebbene, la C.T.R. di Napoli, con sentenza n. 232/07/12 (corredata dal certificato di passaggio in giudicato) allegata al ricorso e già prodotta nel giudizio di merito, ha dichiarato la non debenza degli interessi di mora sul carico iscritto a ruolo. Con memoria del 7.12.2012, la contribuente eccepì nel giudizio di appello la sussistenza del giudicato in ordine alla non debenza degli interessi di mora inclusi nel provvedimento di dilazione, ma i giudici di seconde cure accolsero il gravame senza esaminare la dedotta eccezione.
A fronte di un’eccezione di giudicato esterno, ancorché meramente assertiva, è compito del giudice di legittimità verificare l’effettiva esistenza di una pronuncia avente tale valenza poiché il giudicato esterno è assimilabile agli elementi normativi ed il suo accertamento, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, è effettuabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, in quanto corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione ( cfr. ex plurimis, Cass. S.U. 13916/06, Cass. S.U. 24664/07, Cass. 26041/10, 1883/11).
Nella specie, occorre premettere che l’eccezione di giudicato è stata sollevata dalla parte compiutamente con l’allegazione di specifiche ed autosufficienti deduzioni, che consentono di accertare che la materia del contendere oggetto del processo in corso è coperta, in tutto o in parte, dal giudicato formatosi in altro, precedente, giudizio (Cass. 9946/01; 14710/06; Cass. 2013 n. 28247; 2016/21170; Cass. 8607/2017; n. 25432/2017).
5 Ciò premesso, come è stato più volte affermato dalla Suprema Corte e va qui ribadito “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo.” (cfr. Cass. 2014/155; Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 8614 del 15/04/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 18041 del 19/10/2012; Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 226 del 25/05/2001; id. Sez. 2, Sentenza n. 1153 del 27/01/2003; id. Sez. U, Sentenza n. 24664 del 28/11/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 21200 del 05/10/2009).
Il primo motivo del ricorso deve essere pertanto rigettato, atteso che sulla questione proposta è intervenuto il giudicato, escludendo l’applicabilità degli interessi di mora.
6 II secondo motivo del ricorso è del pari infondato.
Ai sensi dell’art. 19 DPR 602/73, l’agente della riscossione, su richiesta del contribuente che dichiara di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, concede la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo, con esclusione dei diritti di notifica, fino ad un massimo di settantadue rate mensili. Nel caso in cui le somme iscritte a ruolo sono di importo superiore a 60.000 euro, la dilazione può essere concessa se il contribuente documenta la temporanea situazione di obiettiva difficoltà.
Secondo l’art. 21 del citato DPR, sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o sospeso ai sensi dell’articolo 19, comma 1, si applicano gli interessi al tasso del sei per cento annuo.
Sennonché, l’art. 2 comma 3 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 – che stabilisce testualmente: “La somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi” – trova applicazione anche nell’ipotesi di dilazione del pagamento, dove i cd. interessi di dilazione perseguono le medesime finalità proprie degli interessi comuni.
L’art. 2 comma 3 del d. Igs 472/1997 deve considerarsi, difatti, norma “eccezionale” che prevale sulla regola generale in base al famoso brocardo latino “lex specialis derogat generali”; ne consegue che, in caso di rateizzazione, sulle sanzioni non sono dovuti gli interessi di mora.
Il ricorso deve essere pertanto respinto.
Stante la novità della questione al momento della proposizione del ricorso, le spese del giudizio di legittimità debbono essere compensate.
5 Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Condanna la concessionaria al pagamento di un importo pari al c.u. già versato ex art. 13 cit..
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