CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 giugno 2018, n. 16558
Tributi – Irpef – Accertamento fiscale – Cessione di azienda – Ricevitoria del lotto
Ritenuto in fatto
Con ricorso proposto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale S. M. A. impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per omessa dichiarazione di plusvalenza tassabile ai fini Irpef derivante da cessione di azienda avente ad oggetto una ricevitoria del lotto; in particolare, l’Ufficio aveva rettificato il corrispettivo indicato nell’atto di cessione, applicando alla media dei ricavi degli ultimi tre anni una percentuale di redditività del 30% (rapporto utili/ricavi) e moltiplicando il risultato per tre, secondo il metodo previsto in materia di accertamento con adesione dall’art. 2, comma 4, del d.P.R. n. 460/96 per il calcolo dell’avviamento.
La contribuente deduceva che era stata arbitrariamente inclusa nell’oggetto dell’azienda compravenduta la ricevitoria del lotto che, sebbene ubicata nel medesimo locale, non faceva parte dell’azienda ceduta e che l’attività di raccolta del gioco del lotto non aveva natura commerciale; contestava anche i criteri di determinazione presuntiva utilizzati dall’Ufficio, basati sul maggior valore della cessione di azienda, definito ai fini dell’imposta di registro in sede di accertamento con adesione concluso dall’acquirente dell’azienda (Branchetti Silvana) con l’Ufficio di Varese, non opponibile alla ricorrente che era rimasta estranea a tale accertamento.
La Commissione Tributaria provinciale accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo che l’acquirente dell’azienda era divenuta concessionaria della ricevitoria Lotto solo a seguito del versamento all’Amministrazione dei Monopoli di Stato della somma di lire 141.731.000, per cui tale importo doveva essere dedotto dal prezzo di cessione accertato dall’Ufficio; conseguentemente, rideterminava il valore da plusvalenza in lire 338.269.000.
La decisione, in esito all’appello proposto dalla contribuente, veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale, la quale motivava che la questione concernente la dedotta arbitraria inclusione della ricevitoria del lotto nell’oggetto dell’azienda e la natura non commerciale dell’attività di ricevitoria del lotto risultava assorbita dalla statuizione del giudice di primo grado che aveva dedotto dal prezzo di cessione rideterminato dall’Ufficio l’importo corrisposto all’Amministrazione dei Monopoli per ottenere la relativa concessione; riteneva, altresì, legittimo il criterio di rettifica della plusvalenza da sottoporre a tassazione effettuato sulla base dell’accertamento di valore eseguito ai fini dell’imposta di registro, sottolineando che erano utilizzabili le risultanze dell’accertamento per adesione, dato che queste costituivano meri indizi convalidati da ulteriori elementi oggettivi indicati nella motivazione dell’atto, in ordine ai quali la contribuente si era limitata a muovere censure generiche.
La contribuente propone ricorso per cassazione, con due motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate mediante controricorso.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo la contribuente – deducendo contraddittorietà della motivazione con riferimento alle conseguenze dell’accertata arbitraria inclusione della ricevitoria del lotto nell’oggetto dell’azienda compravenduta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. – censura la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di secondo grado, pur riconoscendo, con accertamento di fatto, che <<la compravendita non ha riguardato la ricevitoria del lotto>>, non ha tratto la conseguenza che la determinazione della plusvalenza non può tenere conto della redditività specificamente legata alla ricevitoria del lotto ed ha conseguentemente affermato che è del tutto legittimo il calcolo operato dall’Ufficio ai fini della determinazione del valore di avviamento dell’azienda ceduta, includendovi il reddito prodotto dall’esercizio dell’attività di ricevitoria del lotto.
1.1. La censura è infondata.
Risulta accertato dal giudice di merito che l’atto di cessione dell’azienda non comprendeva la concessione relativa al lotto, tanto che l’acquirente dell’azienda, al fine di poterla ottenere, ha dovuto versare in favore dell’Amministrazione dei Monopoli di Stato la somma di lire 141.731.000,00 importo che i giudici di primo grado hanno dedotto dal valore dell’avviamento accertato dall’Ufficio.
Tuttavia deve considerarsi che la concessione amministrativa, pur essendo condizione indispensabile per lo svolgimento dell’attività di ricevitoria del lotto, non costituiva l’unico elemento attraverso il quale detta attività veniva espletata, non potendo dubitarsi che a tal fine fosse necessario il locale nel quale esercitare l’attività di raccolta del gioco del lotto e l’utilizzo di beni mobili e di apparecchiature facenti parte del complesso dei beni costituenti l’azienda oggetto di cessione.
Correttamente, pertanto, al fine di valutare l’azienda si è tenuto conto anche dei ricavi riconducibili alla attività di ricevitoria del lotto.
Poiché, tuttavia, non ha costituito oggetto della cessione d’azienda la concessione amministrativa, dal valore dell’avviamento dell’azienda è stato sottratto il costo sostenuto dall’acquirente dell’azienda per ottenere una nuova concessione.
Non è, quindi, ravvisabile alcuna contraddizione nella motivazione ed anzi il percorso logico seguito dal giudice di appello appare il più idoneo ad individuare il valore di mercato dell’azienda ceduta.
2. Con il secondo motivo la contribuente – deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 16, primo comma, e 54, comma 5, del d.P.R. n. 917/86 e dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/73, censura la decisione impugnata sia nella parte in cui è stato affermato che <<la concorrente natura pubblicistica>> dell’accertamento con adesione lo rende opponibile ai terzi, nonostante la natura transattiva dell’istituto, sia nella parte in cui si assume che l’Ufficio, a fondamento della ricostruzione presuntiva del maggior avviamento accertato, ha posto non solo la ubicazione dell’esercizio in zona centrale e l’elevato transito pedonale, o la tipogia dell’attività, ma anche i dati contabili dichiarati dalla stessa contribuente.
2.1. Il motivo è infondato.
Occorre, invero, rilevare che, nelle more del giudizio è sopravvenuto l’art. 5, comma 3, d.lgs. n. 147/2015, che ha sancito che le disposizioni in tema di imposizione diretta sulle plusvalenze da cessioni di immobili e di aziende ovvero da costituzione ed il trasferimento di diritti reali sugli stessi si interpretano nel senso che, in proposito, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al d.P.R. 131/1996 ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al d.lgs. n. 347/1990.
Va, pure, considerato, che questa Corte ha già ripetutamente affermato l’applicabilità della norma anche a situazioni oggetto di giudizi in corso all’atto della sua entrata in vigore (Cass. n. 11543 del 6/6/2016; n. 7488 del 15/4/2016; n. 6135 del 30/3/2016), in base al rilievo che l’esplicita attribuzione alla norma di portata interpretativa di disposizione previgente – se non rende la norma, per ciò stesso, effettivamente interpretativa – le conferisce, di certo, carattere retroattivo, giacché attesta l’intento del legislatore di attribuire alla norma medesima quell’efficacia retroattiva che, delle leggi interpretative, costituisce elemento connaturale (Corte Cost. n. 246 del 1992).
Sebbene l’art. 5, comma 3, d.lgs. n. 147/2015 costituisca norma sopravvenuta alla decisione, non può ritenersi che la sentenza impugnata si ponga in contrasto con tale disposizione normativa, considerato che il giudice di appello, nel respingere le doglianze della contribuente, ha posto in rilievo che l’Ufficio ai fini della rettifica non ha tenuto conto solo della ricostruzione presuntiva del prezzo di compravendita operata sulla base del maggior valore dell’azienda determinato ai fini dell’imposta di registro, a seguito di accertamento con adesione definito con l’acquirente dell’azienda, ma ha pure preso in considerazione l’ubicazione dell’esercizio posto in zona centrale, la presenza di altre attività commerciali e servizi, l’elevato transito pedonale, nonché <<…i dati contabili dichiarati dalla stessa contribuente>>, evidenziando che dalla lettura dei mastrini dell’anno 2000 i soli aggi derivanti dalle giocate lotto, lotteria, totip ammontavano a lire 263.224.900,00 ed utilizzando la media dei ricavi degli ultimi tre anni di esercizio, precedenti la compravendita, per il calcolo del valore dell’avviamento eseguito con il metodo previsto dal d.P.R. n. 460 del 1996.
La esistenza di un maggior corrispettivo non è stato dunque presuntivamente ricostruito esclusivamente sulla base del maggior valore dell’azienda determinato ai fini dell’imposta di registro, ma anche alla luce di altri elementi ritenuti dal giudice di secondo grado idonei a confermare la legittimità del calcolo operato dall’Amministrazione.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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