CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 giugno 2018, n. 16579
Dipendenti cd. trasfertisti – Articolo 7 quinquies, D.L. n. 193/2016 – Interpretazione autentica in materia di determinazione del reddito di lavoratori in trasferta e trasfertisti – Norma retroattiva – Conformità ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche – Significato non solo compatibile con il suo tenore letterale ma più aderente alla originaria volontà del Legislatore
Fatto
Rilevato che:
con sentenza del 5.10.2011 – 24.10.2011 (nr. 1047 del 2011), la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava la B. srl al pagamento di euro 34.205,69 per contributi sul 50% delle somme erogate ai dipendenti cd. «trasfertisti» a titolo di «indennità di trasferta» e dichiarava inammissibile la domanda formulata dalla predetta società nei confronti dell’INAIL; confermava la decisione di primo grado quanto alla ritenuta non assoggettabilità a contribuzione dei rimborsi chilometrici;
la Corte, per quanto qui rileva, osservava:
– che era insussistente l’interesse ad agire nei confronti dell’INAIL, in difetto di pretese da parte dell’ente assicurativo sulla base dei rilievi dell’INPS;
– che correttamente l’INPS aveva ritenuto applicabile l’art. 3 comma 6 del D. Igs 314 del 1997, in quanto «l’attività aziendale comporta(va) continui spostamenti di tutti i dipendenti … in cantieri di lavoro sempre diversi … che le attività svolte in sede […] costitui(vano) una porzione ridottissima delle attività […] che l’azienda eroga(va) per tali spostamenti, per tutti i giorni lavorati fuori sede, una indennità giornaliera, sotto la voce “indennità trasferta Italia” di importo variabile»;
– che non erano dovuti i contributi in relazione ai «rimborsi chilometrici» erogati ai lavoratori che effettuavano viaggi per motivi di lavoro, al di fuori del comune di M.R., utilizzando la propria autovettura; al riguardo, era provato che «i lavoratori che effettuavano viaggi col mezzo proprio fuori del comune di M.R., dove si trova(va) la sede dell’azienda, dichiaravano […] i chilometri percorsi e venivano rimborsati in base alle tariffe ACI in ragione dei chilometri percorsi»;
– che sarebbe stato a carico dell’INPS «l’onere di provare che i viaggi […] non erano stati effettuati o che i chilometri effettivamente percorsi erano inferiori a quelli rimborsati»;
contro tale pronuncia ha proposto ricorso la società B. srl, affidato a quattro motivi: con il primo motivo, ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 nr. cod.proc.civ.-, la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 5 e 6, e dall’art. 6 del D.lgs. 314 del 1997 per avere la Corte di merito ritenuto dovuti i contributi sull’indennità di trasferta corrisposta ai propri dipendenti nella misura del cinquanta per cento del valore dell’indennità, nonostante i dipendenti venissero assunti presso la sede di M.R., svolgessero attività anche all’interno dell’azienda e ricevessero detta indennità solo per il periodo di lavoro effettivo, in cantieri posti al di fuori del territorio comunale ed in misura diversa a seconda della distanza; con il secondo motivo, ha dedotto -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. Civ – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – motivazione illogica e insufficiente su punti essenziali della controversia, per aver la Corte di appello fondato la decisione su elementi di fatto tratti dal giudizio diverso ed afferente alla situazione della sede di A. e non a quella di Cuneo; con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. nella parte in cui la sentenza ha dichiarato inammissibile per difetto di interesse ad agire la domanda nei confronti dell’INAIL; con il quarto motivo, ha dedotto violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 comma 8 lett. a) e b) della legge nr. 388 del 2000 non ricorrendo, in ogni caso, un’ipotesi di evasione; l’INPS e l’INAIL hanno resistito con controricorso;
l’INPS ha depositato un successivo ricorso, affidato ad un unico ed articolato motivo, con cui ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. – violazione di legge (art. 48, d.lgs. nr. 314 del 1997 [che ha sostituito gli artt. 1 e 2 del d.lgs. nr. 692 del 1945, recepiti negli artt. 27 e 28 d.P.R. n. 797 del 1955 e nell’art. 29 d.P.R. nr. 1124 del 1965, come sostituiti dall’art. 12 legge n. 153/1969, come interpretato, con riferimento ai lavoratori trasfertisti, dall’art. 9 ter D.L. 103/1993] come modificato dal d.lgs. nr. 344 del 2003, art. 2697 cod. civ.), nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si duole della pronuncia della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto infondata la pretesa dell’Istituto con riferimento all’assoggettamento a contribuzione anche dei rimborsi chilometrici erogati dall’azienda ai lavoratori che avevano effettuato trasferte, per motivi di lavoro, al di fuori del Comune di M.R. utilizzando un mezzo proprio e deduce, altresi, che la Corte territoriale avrebbe errato nell’applicazione della regola di riparto degli oneri probatori; ha resistito, con controricorso, la sola B. srl;
tutte le parti costituite hanno depositato memoria;
Diritto
Considerato che:
quanto al ricorso principale, il primo motivo è fondato, assorbiti il secondo ed il quarto;
che, in argomento, è intervenuto il D.L. nr. 193 del 2016, art. 7 quinquies, (conv. con legge nr. 225 del 2016), il quale, nel dettare disposizioni in materia di «Interpretazione autentica in materia di determinazione del reddito di lavoratori in trasferta e trasfertisti», ha disposto, al comma 1, che «l’art. 51, comma 6, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ( recte già art. 48 come sostituito dall’art. 3 del D.lgs. nr. 314 del 1997)», debba interpretarsi «nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni: a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta», precisando poi, al comma 2, che « ai lavoratori ai quali, a seguito della mancata contestuale esistenza delle condizioni di cui al comma 1, non è applicabile la disposizione di cui all’art. 51, comma 6, del testo unico di cui al citato D.P.R. n. 917 del 1986, è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al medesimo art. 51, comma 5»;
al riguardo, le sezioni unite di questa Corte, con la pronuncia nr. 27093 del 15.11.2017, affrontando in modo esaustivo la questione, hanno affermato tra l’altro, il seguente principio di diritto; il <<D.L. 22 ottobre 2016, nr. 193, art. 7 quinquies (convertito dalla legge 1 dicembre 2016, nr. 225) – che ha introdotto una norma retroattiva autoqualificata di «interpretazione autentica» del comma 6 dell’art. 51 del TUIR […] – risulta conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, oltre che all’art. 117 Cost., comma 1, sotto il profilo del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo, consacrati nell’art. 6 della CEDU. Infatti, tale norma retroattiva ha attribuito alla norma interpretata un significato non solo compatibile con il suo tenore letterale ma più aderente alla originaria volontà del legislatore, con la finalità di porre rimedio ad una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, determinata da un persistente contrasto tra la giurisprudenza di legittimità, le Pubbliche Amministrazioni del settore e la variegata giurisprudenza di merito»;
nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto la società ricorrente tenuta a corrispondere i contributi INPS nella misura di cui al comma 6 dell’art. 51 TIUR in ragione del fatto che «l’attività aziendale comporta continui spostamenti di tutti i dipendenti […] in cantieri di lavoro sempre diversi […] che le attività svolte in sede […] costituiscono una porzione ridottissima delle attività […] che l’azienda eroga per tali spostamenti, per tutti i giorni lavorati fuori sede, una indennità giornaliera, sotto la voce «indennità trasferta Italia» di importo variabile»;
i giudici di merito, così argomentando, non hanno correttamente applicato la previsione di legge, difettando, nella fattispecie, i requisiti stabiliti dal comma 6 dell’art. 51, nel testo risultante dall’art. 7 quinquies cit., in ragione dello svolgimento di un’attività lavorativa che, solo in via prevalente e non continuativa, ha richiesto la mobilità del dipendente e dell’assenza di corresponsione in «misura fissa» dell’indennità di trasferta;
il terzo motivo è inammissibile. Oltre a rilevarsi una genericità dei rilevi formulati attraverso il mero richiamo a quanto sul punto affermato dal Tribunale di Cuneo, va rilevato che le doglianze della società, per come desumibili dal passaggio motivazionale della decisione di primo grado trascritto in ricorso, sono basate sulla circostanza che il verbale di accertamento oggetto di causa fosse stato «trasmesso all’I.N.A.I.L. (si veda la parte finale di tale verbale)». Di tale verbale, però, non è riprodotto il contenuto, quantomeno nella parte essenziale a reggere la censura, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso;
quanto al ricorso incidentale, la censura di violazione di legge è fondata nei termini che seguono;
ai sensi dell’art. 51 (ex art. 48) del D.lgs nr. 917 del 198 «in caso di rimborso analitico delle spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di dette trasferte o missioni, fino all’importo massimo giornaliero di lire 30.000, elevate a lire 50.000 per le trasferte all’estero»;
i «rimborsi chilometrici» versati dal datore di lavoro ai dipendenti, in occasioni di trasferte fuori del territorio comunale, in quanto inerenti alle spese di viaggio da questi sostenute, devono essere documentati; in proposito, questa Corte ha già affermato che, ai fini dell’esclusione dall’imponibile contributivo, delle erogazione corrisposte in favore dei lavoratori, a titolo di rimborso chilometrico, l’onere probatorio del datore di lavoro è assolto «documentando i rimborsi chilometrici con riferimento al mese di riferimento, ai chilometri percorsi nel mese, al tipo di automezzo usato dal dipendente, all’importo corrisposto a rimborso del costo chilometrico sulla base della tariffa Aci» (Cass. nr. 2419 del 2012);
a detti principi non si è attenuta la sentenza impugnata giacché ha ritenuto che i viaggi ed i relativi chilometraggi ( e in definitiva, le spese per tali voci ed i relativi rimborsi) non dovessero essere analitici e fossero dimostrabili con ogni mezzo di prova, anche non documentale, stimando sufficienti, le dichiarazioni rese dai lavoratori al datore di lavoro dei viaggi e dei chilometri percorsi;
la sentenza va, pertanto, cassata in relazione alle censure accolte e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame della fattispecie, si atterrà ai seguenti principi di diritto:
«E’ estranea alla disciplina dell’art. 51, comma 6, TUIR, secondo l’interpretazione autentica del D.L. 22 ottobre 2016, nr. 193, art. 7 quinquies (convertito dalla legge 1 dicembre 2016, nr. 225), l’ipotesi dei lavoratori che non svolgono fuori sede “in via continuativa” la loro prestazione ovvero che non ricevono “in misura fissa” un’indennità o maggiorazione di retribuzione, in ragione delle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, a prescindere dall’effettività della trasferta e indipendentemente dal luogo ove essa si è svolta»;
« l’onere probatorio del datore di lavoro che invochi l’esclusione, dall’imponibile contributivo, delle erogazioni in favore dei lavoratori a titolo di rimborsi chilometrici, è assolto con la prova documentale delle stesse e spetta al giudice di merito valutarne la ricorrenza nel caso concreto».
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti il secondo ed il quarto, inammissibile il terzo; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione.
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