CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 giugno 2018, n. 16600
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Indagini bancarie – Riscossione
Rilevato che
1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di un maggior reddito ai fini IRPEF per l’anno di imposta 1998, emesso sulla scorta delle risultanze di accertamenti bancari espletati dalla G.d.F. sui conti correnti intestati e comunque riconducibili alla contribuente, i cui importi venivano considerati anche quali ricavi extracontabili conseguiti dalla società a ristretta base societaria”il C. s.r.l”, di cui la R. è socia, l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione, sulla base di un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso e ricorso incidentale affidato a quattro motivi, avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la CTR, escluso preliminarmente il difetto di motivazione dell’atto impositivo, che riproduceva il contenuto essenziale del p.v.c. redatto dalla G.d.F., con conseguente insussistenza dell’onere di allegazione di tale documento, e pur ritenendo legittima la presunzione di attribuzione ai soci di società a ristretta base societaria dei maggiori ricavi accertati in capo a quest’ultima, riduceva l’ammontare dell’importo ripreso a tassazione (pari ad Euro 525.059,00) a quello (pari ad Euro 215.175,00) accertato a carico della società.
2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale ha depositato memoria;
3. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
Considerato che
1. Con il ricorso in esame, deducendo la violazione degli art. 37, comma 3, e 32, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e 41 d.P.R. n. 917 del 1986, l’Agenzia delle entrate lamenta che la CTR aveva erroneamente equiparato gli importi ripresi a tassazione nei confronti della socia R. a quella della società, non avendo considerato che i primi costituivano reddito accertato ai sensi dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, come emerso dall’accertamento bancario, mentre il reddito d’impresa era costituito dalla differenza tra i ricavi accertati ed i costi riconosciuti alla società.
2. Il motivo è fondato e va accolto.
2.1. Al riguardo pare opportuno ricordare il consolidato insegnamento di questa Corte in materia di accertamenti bancari, in base al quale la presunzione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 dettata in materia di imposte sui redditi (secondo cui i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), omologa a quella stabilita dall’art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di IVA, consente di riferire a redditi (e, nel secondo caso, a ricavi) imponibili, conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli “accrediti” (e, per le sole attività imprenditoriali, anche gli “addebiti”) come ricavi; trattasi di presunzione legale “juris tantum” che consente di considerare come ricavo riconducibile all’attività professionale o imprenditoriale del contribuente qualsiasi accredito riscontrato sul conto corrente del medesimo e comportante l’inversione dell’onere della prova, spettando a quest’ultimo di superare detta presunzione offrendo la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti (e gli addebiti) registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che venga indicato e dimostrato dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (arg. da Cass. 26111 del 2015 e n. 21800 del 2017; conf. Cass. n. 5152, n. 5153, n. 19807 e n. 19806 del 2017, n. 18065, n. 18066, n. 18067, n. 16686, n. 16699, n. 16697, n. 11776, n. 6093 del 2016; Sez. 6-5, ord. n. 7453, n. 9078 e n. 19029 del 2016); con specifico riferimento, poi, al contenuto dell’onere probatorio gravante sul contribuente, si è affermato che quest’ultimo ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014) ed il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fomite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. 21800 del 2017).
2.2. Ha, pertanto, errato la CTR là dove ha ritenuto,che una parte considerevole dell’ammontare complessivo delle movimentazioni bancarie oggetto di ripresa a tassazione non fosse da considerare come ricavi, in assenza di prova contraria che avrebbe dovuto fornire la contribuente, peraltro fondata sulla irragionevole affermazione che i redditi del socio dovessero necessariamente essere equiparati ai ricavi della società, non considerando, da un lato, che questi ultimi – come correttamente rilevato dalla ricorrente – risentono dell’incidenza dei costi d’impresa e, dall’altro, che i maggiori ricavi conseguiti dalla società risultano essere stati desunti dai movimenti bancari verificati sui conti correnti della socia.
3. Passando all’esame dei motivi di ricorso incidentale, con il primo la controricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, della legge n. 212 del 2000 nonché dell’art. 24, comma secondo, Cost., sostenendo che aveva errato la OR nel ritenere motivato l’avviso di accertamento nonostante la mancata allegazione al medesimo del p.v.c. redatto dalla G.d.F., peraltro mai in precedenza notificato alla contribuente.
3.1. Il motivo, anche a prescindere dal rilievo di inammissibilità dello stesso per difetto di autosufficienza, non avendo la parte avuto cura di trascrivere il contenuto dell’avviso di accertamento di cui lamenta la carenza di motivazione, così impedendo a questa Corte di effettuare il necessario vaglio di fondatezza della censura (cfr. Cass. n. 16147 del 2017, secondo cui «In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso), è comunque infondato.
3.2. Invero, la CTR, con accertamento in fatto non censurato, ha ritenuto insussistente il lamentato difetto motivazionale affermando che non vi era stata alcuna violazione delle norme dettate in materia in quanto l’atto impositivo «riporta[va] il contenuto essenziale del p.v.c. redatto in data 28/07/2001 nei confronti della società» e tale statuizione è conforme ai principi giurisprudenziali in materia di motivazione degli atti impositivi, secondo cui «Nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento» (Cass. n. 9032 del 2013; conf. Cass. n. 9323 del 2017, n. 4396 del 2018).
4. Con il secondo motivo la controricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ., sostenendo che, essendosi formato il giudicato esterno sulla natura delle movimentazioni bancarie oggetto di verifica, quali ricavi della società, a seguito della pronuncia emessa dalla Commissione tributaria provinciale nella controversia avente ad oggetto l’avviso di accertamento emesso a carico della società per il medesimo anno di imposta, l’ammontare dei ricavi definitivamente accertati nei confronti della predetta società non poteva essere imputato a reddito della socia.
5. Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost. e 112 cod. proc. civ., sostenendo che l’imputazione delle somme emerse dalle verifiche bancarie sia come ricavi della società (operata dalla CTP con la sentenza passata in giudicato emessa nei confronti della società) che come reddito della socia (operata dalla CTR nella sentenza impugnata) integra violazione del divieto di doppia imposizione.
6. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto attinenti alla medesima questione, sono infondati e vanno rigettati in quanto si pongono in contrasto con il principio giurisprudenziale in base al quale «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’operatività del divieto di doppia imposizione, previsto dall’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto. Tale condizione non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, quale quella che si realizza, in caso di partecipazione al capitale di una società commerciale, con la tassazione del reddito sia ai fini dell’IRPEG, quale utile della società, sia ai fini dell’IRPEF, quale provento dei soci, attesa la diversità non solo dei soggetti passivi, ma anche dei requisiti posti a base delle due diverse imposizioni» (Cass. n. 19687 del 2011; conf. a Cass. n. 8351 del 2002).
7. Con il quarto motivo la controricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 47, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986 che, in materia di tassazione degli utili distribuiti dalla società ai soci, stabilisce che questi concorrono alla formazione del reddito imponibile del socio limitatamente al 40 per cento del loro ammontare (ora 49,72 per cento, ex art. 1 d.m. 2/04/2008, con effetto dall’esercizio successivo al 31/12/2007).
8. Il motivo è inammissibile in quanto prospetta una questione nuova, che non risulta precedentemente dedotta né scrutinata dalla Commissione di appello, essendo il controricorso sul punto del tutto carente di autosufficienza. Il motivo è comunque infondato in quanto nella specie non si verte in ipotesi di distribuzione di utili di bilancio ma di ripresa a tassazione di ricavi extrabilancio.
9. Conclusivamente, il ricorso principale va accolto mentre va rigettato il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere, con rigetto dell’originario ricorso della contribuente, che va condannata, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, mentre sussistono validi motivi per compensare quelle di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente che condanna al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito, compensando le spese dei giudizi di merito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 settembre 2021, n. 24152 - In tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell'IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi dell'art.32,…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 24352 depositata il 10 agosto 2023 - In tema di onere della prova e di verifica giudiziale in materia di accertamenti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 agosto 2021, n. 23484 - In ordine al requisito dimensionale di esonero dalla fallibilità l'individuazione dei "ricavi lordi", che vanno considerati ricavi in senso tecnico, occorre fare riferimento alle voci n. 1…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 marzo 2022, n. 7489 - La presunzione di cui all'art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600/73 e dall'art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 prevede che i prelevamenti e gli importi riscossi nell'ambito di rapporti bancari,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 agosto 2020, n. 17326 - Accertamento nei confronti di un professionista fondato su movimenti bancari. In tema di accertamento tributario, rientra nel potere dell'Amministrazione finanziaria, nell'ambito della…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 luglio 2021, n. 19441 - Avverso l'accertamento con metodo sintetico il contribuente può produrre la prova documentale richiesta dalla norma in grado di superare la presunzione di maggiore reddito ben può essere…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- E’ onere del notificante la verifica della c
E’ onere del notificante la verifica della correttezza dell’indirizzo del destin…
- E’ escluso l’applicazione dell’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9759 deposi…
- Alla parte autodifesasi in quanto avvocato vanno l
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7356 depositata il 19…
- Processo Tributario: il principio di equità sostit
Il processo tributario, costantemente affermato dal Supremo consesso, non è anno…
- Processo Tributario: la prova testimoniale
L’art. 7 comma 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 (codice di procedura tributar…