CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 giugno 2020, n. 12171
Fallimento – Ammissione in prededuzione al passivo – Revoca – Consulente che ha curato l’elaborazione del piano di ristrutturazione – Compensi per l’incarico di redazione della relazione di attestazione ex art. 161, co. 3 legge fallimentare – Vizio del requisito di indipendenza – Nullità dell’incarico
Fatti di causa
Con decreto depositato il 19 febbraio 2015 il Tribunale di Como ha accolto l’impugnazione di terzo proposta ex art. 98 legge fall, da M.C. avverso il provvedimento del 2 ottobre 2013 con il quale il G.D. dello stesso Tribunale aveva accolto l’istanza di ammissione in prededuzione al passivo del fallimento E. s.r.l. per l’importo di € 146.952,97 proposta da E.V., professionista attestatrice del piano concordatario a norma dell’art. 161 comma 3° legge fall..
Il giudice di merito, dopo aver rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dal sig. C., ha osservato che la dott.ssa V. non aveva documentato di aver ricevuto incarico per la redazione della relazione di attestazione di cui all’art. 161 comma 3° legge fall., essendo stato prodotta solo la lettera di incarico datata 19.05.2012 per l’elaborazione di un piano di ristrutturazione della società.
In ogni caso, anche superando tale questione, l’incarico doveva ritenersi viziato, difettando la professionista del requisito dell’indipendenza previsto dall’art. 161 comma 3° legge fall., per avere la stessa, prima di redigere la relazione di attestazione, precedentemente svolto attività di consulente per il piano di ristrutturazione aziendale. Ne conseguiva la nullità dell’incarico di attestazione per mancanza dei requisiti di liceità e/o possibilità del suo oggetto ex art. 1346 cod. civ..
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione V.E.. Sia la curatela che il terzo creditore impugnante C. L. non hanno svolto difese.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis. 1 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo V.E. ha dedotto la violazione dell’art. 99 comma 2° legge fall..
Lamenta la ricorrente che il sig. C., nell’impugnazione ex 98 legge fall., non aveva prodotto documentazione attestante la tempestività del ricorso e, nonostante ciò, il giudice relatore gli aveva assegnato termine per integrare la produzione documentale originaria, così consentendo ingiustificatamente all’impugnante di sopperire alle preclusioni e decadenze in cui era incorso.
La ricorrente si duole che l’impugnazione avrebbe dovuto essere decisa sulla base dei documenti prodotti con il ricorso introduttivo.
2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 16 bis 1° comma D.L. 18.10.2012 n. 179.
Lamenta la ricorrente che il sig. C. ha prodotto in data 12.1.2015 i documenti asseritamente attestanti la tempestività del deposito del suo ricorso in forma cartacea nonostante il divieto stabilito dalla norma sopra citata, che richiede il deposito telematico.
Rileva che il deposito cartaceo di atti e documenti successivi alla costituzione è da considerarsi totalmente inesistente, né è possibile la sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo a norma dell’art. 156 comma III cod. proc. civ..
3. I primi due motivi, da esaminarsi unitariamente in considerazione della connessione delle questioni trattate, sono infondati.
Va osservato che questa Corte ha più volte statuito che la verifica della tempestività dell’opposizione ex art. 98 l. fall, è questione rilevabile d’ufficio, indipendentemente dall’eccezione di parte e dalla eventuale contumacia del curatore, ed è pertanto dovere del giudice controllare la data di ricezione dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione dello stato passivo allegata al fascicolo fallimentare (previa sua acquisizione) o al ricorso in opposizione. (Cass. n. 24551 del 01/12/2016; vedi anche Cass. n. 18496/2014).
Nel caso di specie, il giudice di merito, anziché acquisire il fascicolo fallimentare, ha optato per l’assegnazione di un termine alla parte ricorrente per produrre la documentazione attestante la tempestività del deposito del ricorso, ma ciò non toglie che tale produzione, cui il ricorrente ha provveduto nell’adempimento del suo dovere di collaborazione con il giudice, è comunque riconducibile all’esercizio del potere officioso e la parte impugnante non è quindi incorsa in alcuna decadenza.
Né l’odierna ricorrente può invocare comunque la violazione dell’art. 16 bis 1° comma DL 18.10.2012 n. 179, per avere il sig. C. (che al 30.6.2014 era già costituito) depositato i documenti richiesti in forma cartacea e non telematica.
In proposito, va osservato che questa Corte, in un caso speculare, esaminato nella sentenza n. 9772/2016, ha statuito che nei procedimenti contenzioni incardinati dinanzi ai tribunale dal 30 giugno 2014, il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee, dell’atto introduttivo del giudizio (l’art. 16 bis D.L. n. 179 del 2012 aveva prescritto l’obbligo di deposito telematico solo per gli atti endoprocessuali e non per quelli introduttivi del giudizio) non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera irregolarità, essendo stato comunque realizzato il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti.
In particolare, nel proprio percorso argomentativo, la citata pronuncia ha osservato che il citato art. 16 bis del D.L. n. 179 del 2012 – inserito nell’art. 1 comma 19 numero 2) della L. n. 228 del 2012 – pur prescrivendo la regola dell’obbligatorietà del deposito telematico per i soli atti endoprocessuali, non impedisce, in mancanza di una espressa sanzione di nullità, il deposito degli atti introduttivi in via telematica. Si è evidenziato che le forme degli atti del processo non sono prescritte dalla legge per la realizzazione di un valore in sé o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma sono previste per la realizzazione di un certo risultato, con la conseguenza che è irrilevante l’eventuale inosservanza della prescrizione formale se l’atto viziato ha egualmente raggiunto lo scopo cui è destinato. Alla luce di tale ragionamento, questa Corte, nella pronuncia in oggetto, ha concluso che essendo lo scopo di un atto processuale la presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è instaurata, e nella messa a disposizione delle altre parti processuali, il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee dell’atto introduttivo di un giudizio di cognizione, si risolve in una mera irregolarità tutte le volte in cui l’atto sia stato inserito nei registri informatici dell’ufficio giudiziario, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero di Giustizia.
Questa Corte ha parimenti applicato il principio del raggiungimento dello scopo, a norma dell’art. 156 cod. proc. civ., in un’altra fattispecie, esaminata nella sentenza n. 18535/2019 (non massimata), in cui è stato ritenuto che la domanda di insinuazione allo stato passivo, pur depositata in cancelleria, e non inviata al curatore a mezzo p.e.c. – come richiesto dall’art. 93 legge fall. – non incorre nella sanzione processuale della inammissibilità (non prevista dal legislatore) ove abbia comunque raggiunto il proprio scopo di determinare la costituzione di un contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è stata instaurata (in quel caso, tale domanda era stata inserita nel progetto di stato passivo del curatore, il quale, con tale condotta, aveva ha implicitamente attestato di averla regolarmente ricevuta).
Anche nel caso di specie, deve dunque ribadirsi il principio del raggiungimento dello scopo, atteso che la documentazione prodotta in giudizio dal creditore impugnante , pur depositata in forma cartacea e non telematica, era stata portata a conoscenza della controparte e del giudice, che aveva così potuto verificare la tempestività del deposito del ricorso ex art. 98 legge fall..
4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 1418 comma I e II e 1346 cod. civ..
Lamenta la ricorrente che erroneamente il Tribunale di Como ha dichiarato la nullità del contratto professionale.
Rileva, inoltre, di non aver mai ammesso di aver partecipato alla redazione del piano e comunque evidenzia che la partecipazione non può essere equiparata alla predisposizione del piano e non può quindi incidere sulla compatibilità dell’incarico ai sensi dell’art. 161 comma III legge fall..
5. Il motivo è infondato.
Va osservato che con il D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazione nella L. 7 agosto 2012 n. 134, è stato modificato l’art. 67 comma 3° lett. d) legge fall. – cui rinvia l’art. 161 comma 3° legge fall, nell’individuare i requisiti per lo svolgimento dell’attività di attestatore – che ha introdotto il requisito della indipendenza dell’attestatore.
In particolare, è stato previsto che il professionista cui è conferito, a norma dell’art. 67 comma 3° lett. d) legge fall., l’incarico di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano (e quindi, attraverso il richiamo di cui all’art. 161 comma 3° legge fall, anche l’attestatore nel concordato preventivo) deve essere indipendente, e per essere tale non deve essere legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da compromettere l’indipendenza di giudizio o, in ogni caso, non deve avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore.
Nel caso di specie, è pacifico in causa che alla ricorrente, cui l’impresa poi ammessa al concordato aveva conferito in data 19 maggio 19.05.2012 l’incarico per l’elaborazione di un piano di ristrutturazione della società, sia stato successivamente affidato l’ulteriore incarico di redigere la relazione ex art. 161 comma 3° legge fall.
Avendo quindi la ricorrente prestato attività professionale a favore della stessa impresa poi proponente solo qualche mese prima di redigere la relazione di attestazione, è evidente che non è stato osservato il requisito dell’indipendenza del professionista prescritto dalle norme sopra citate.
La circostanza che la ricorrente possa aver partecipato o meno alla redazione del piano è del tutto irrilevante, rientrando l’incarico precedentemente affidatogli ampiamente nell’intervallo temporale previsto dall’art. 67 comma 3° lett. d) legge fall..
Va, peraltro, osservato che le censure svolte per la prima volta dalla ricorrente nella memoria ex art. 180 bis. 1 cod.proc. civ. si configurano come palesemente inammissibili.
In particolare, la ricorrente deduce che il proprio ricorso vada accolto per l’assorbente argomento dato dal contenuto dell’ordinanza n. 14920/2019 nell’ambito della procedura concorsuale Fallimento E. s.r.l. (collegata a quella per cui è procedimento), ordinanza che ha statuito che “nel regime intermedio tra l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 169 del 2007 e l’entrata in vigore della legge n. 134/2012, la relazione attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano proposto con la domanda di ammissione alla procedura potesse essere redatta anche da un professionista che avesse già prestato la sua attività professionale in favore del debitore. In tale regime intermedio, non sussisteva, infatti, una incompatibilità alla predetta nomina, in quanto il rinvio all’art. 28 della legge fall., contenuto nell’art. 161, terzo comma, della legge fall, (come all’epoca vigente), doveva intendersi limitato al solo primo comma dell’art. 28 legge fall., che fissa esclusivamente i requisiti professionali per la nomina dei curatori fallimentari, (vedi, sempre relativamente al periodo intermedio, Sez. 1, Sentenza n. 22927 del 29/10/2009).
Solo successivamente all’espletamento dell’incarico da parte della ricorrente, è entrata in vigore, con la legge n. 134/2012, la modifica dell’art. 67 comma 3° lett. d) legge fall. – cui rinvia l’art. 161 comma 3° legge fall, nell’individuare i requisiti per lo svolgimento dell’attività di attestatore – che ha introdotto il requisito della indipendenza dell’attestatore.
Ne consegue che, a norma dell’art. 11 delle preleggi del codice civile, applicandosi la modifica normativa solo ai rapporti instauratisi successivamente alla sua entrata in vigore (non avendo la nuova legge efficacia retroattiva), si appalesa insussistente la causa di nullità dell’incarico dell’attestatore ritenuta dal giudice di merito”.
Tale deduzione è inammissibile in quanto la ricorrente, nei motivi del presente ricorso, non ha neppure allegato che l’incarico di attestazione le fosse stato conferito, e lo avesse poi eseguito, durante il regime intermedio tra l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 169 del 2007 e l’entrata in vigore della legge n. 134/2012, né che tale eventuale prospettazione fosse stata sottoposta al giudice di merito, di talché, si tratta di doglianza completamente nuova.
In ordine alle conseguenze giuridiche che derivano dall’aver svolto l’incarico di attestatore senza il necessario requisito dell’indipendenza, questo Collegio condivide l’impostazione del decreto impugnato.
La norma che prescrive l’indipendenza dell’attestatore di un piano di un concordato preventivo ha, infatti, natura imperativa, o comunque di ordine pubblico economico, essendo finalizzata ad assicurare la massima trasparenza ed obiettività delle informazioni riguardanti la società proponente, e ciò non solo nell’interesse dei soggetti direttamente interessati alla procedura di concordato preventivo (organi fallimentari, creditori), ma anche ai fini della tutela, in generale, degli interessi pubblicistici sottesi alla procedura fallimentare e della stessa economia (essendo un interesse di carattere generale che non rimangano sul mercato delle imprese insolventi).
Pertanto, dalla violazione della norma in esame deriva la nullità dell’atto di nomina dell’attestatore, a norma dell’art. 1418 cod. civ., con conseguente venir meno del diritto del professionista al compenso.
Il rigetto del ricorso non comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi la curatela ed il terzo creditore costituiti in giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, se dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.