CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 luglio 2019, n. 19715
Imposte dirette – IRPEF – Riscossione – Indennita aventi causa o che comunque traevano origine dal rapporto
Rilevato
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della CTR dell’Umbria, di accoglimento dell’appello proposto dal contribuente B. F. avverso una pronuncia della CTP di Terni, di rigetto del ricorso proposto dal contribuente avverso il diniego di rimborso, da parte dell’Agenzia delle entrate, dell’IRPEF trattenuta sull’indennità versata al contribuente dal Ministero dell’istruzione, per avere quest’ultimo stipulato con il contribuente reiterati contratti di lavoro a tempo determinato in successione fra di loro per coprire esigenze lavorative non transitorie;
Considerato
che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale la ricorrente prospetta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto erroneamente la CTR aveva escluso l’assoggettabilità a tassazione delle indennità risarcitorie percepite dalla contribuente in virtù di una sentenza del Tribunale di Viterbo sezione lavoro, atteso che tutte le indennità aventi causa o che comunque traevano origine dal rapporto di lavoro erano soggette a tassazione; ed era onere della contribuente provare che l’indennità percepita si riferisse a voci di risarcimento c.d. “puro”, siccome riconducibili a danni alla persona od alla personalità, ovvero rientrassero nell’ambito del danno non patrimoniale; al contrario, nella specie, la sentenza del Tribunale di Viterbo aveva avuto l’intento di riconoscere alla contribuente un risarcimento del danno da mancato guadagno, derivante dalla mancata stipula di un contratto a tempo indeterminato e dalla conseguente perdita del lavoro e della retribuzione;
che l’intimato si è costituito con controricorso;
che il motivo di ricorso in esame è infondato;
che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 23795 del 2010; Cass. n. 25080 del 2015; Cass. n. 25471 del 2018), in tema di imposte sui redditi di lavoro dipendente, dall’esame dell’art. 6 comma 2 del d.P.R. n. 917 del 1986, si ricava che, per negare l’assoggettabilità ad IRPEF di una erogazione economica effettuata a favore del prestatore di lavoro da parte del datore di lavoro, è necessario accertare che la stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro e, qualora ciò non venga positivamente escluso, che detta erogazione, in base ad un’approfondita disanima della concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della sua obbligatorietà in redditi sostituiti, ovvero nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione od interruzione del rapporto di lavoro;
che, nella specie, la sentenza impugnata ha rilevato come l’indennità corrisposta al contribuente fosse inquadrabile nell’ambito dell’art. 36 comma 5 del d.lgs. n. 165 del 2001 e, stante il divieto nel pubblico impiego di trasformare un contratto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato, configurasse un danno da perdita di chance, in quanto il lavoratore che aveva più volte subito un’illegittima apposizione di termini al suo rapporto di lavoro, con la stipula di reiterati contratti a termine, era rimasto ingiustamente confinato in una situazione d’incertezza e di precarietà, si che il risarcimento da lui ottenuto era da qualificare come derivante da perdita di chance, per essere stato egli privato della possibilità di sviluppi e progressioni nella sua attività professionale, siccome ingiustamente escluso dai concorsi per la progressione in carriera;
che pertanto il ricorso va respinto e la condanna alle spese segue la soccombenza;
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 1.000,00, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
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