CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 maggio 2018, n. 12614
Tributi – Accertamenti bancari – Lavoratore autonomo – Versamento su conto corrente bancario – Assenza di idonea giustificazione – Presuzione legale di reddito non dichiarato ex art. 32, DPR n. 600/1973
Rilevato che
Con sentenza in data 14 giugno 2016 la Commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 1883/6/14 della Commissione tributaria provinciale di Torino che aveva accolto il ricorso proposto da C.N.F. contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2008. La CTR osservava in particolare che, essendo il contribuente un lavoratore autonomo e basandosi l’atto impositivo impugnato sulla mancata giustificazione di un versamento di euro 25.000 su di un suo c.c. bancario, trattandosi dunque di applicare la presunzione legale relativa di cui all’art. 32, d.P.R. 600/1973, il contribuente non aveva adeguatamente assolto al proprio onere di controprovare la circostanza fattuale riscontrata secondo detta previsione normativa (dimostrazione della evidenziazione ai fini tributari del versamento ovvero della sua irrilevanza fiscale).
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
Con il primo mezzo il ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. 600/1973, 51, d.P.R. 633/1972, 2697, cod. civ., poiché la CTR ha ritenuto di applicare la presunzione legale relativa di cui alle prime due disposizioni legislative evocate, nonostante la declaratoria di incostituzionalità della novella dell’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. 600/1973, introdotta con l’art. 1, comma 402, lett. a), n. 1, della legge 311/2004, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 228/2014.
La censura è infondata.
Va ribadito che «In tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti» (Sez. 5, Sentenza n. 16697 del 09/08/2016, Rv. 640983 — 01; successive conformi, ex pluribus, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3628 del 10/02/2017, Rv. 643207 — 01; Sez. 5 Ordinanza n. 27049 del 2017; Sez. 5, Ordinanza n. 947 del 2018), trattandosi di principio di diritto che deve considerarsi minai consolidato nell’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte sulle conseguenze della evocata pronuncia di costituzionalità.
Rispetto alla questione di diritto de qua la sentenza impugnata deve quindi considerarsi giuridicamente corretta.
Con il secondo, subordinato, mezzo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 57, d.lgs. 546/1992, poiché la CTR nell’accogliere il gravame agenziale non ha tenuto conto del divieto di nuove eccezioni (non rilevabili d’ufficio) sancito dalla disposizione processuale speciale evocata, così qualificando la contestazione, appunto ex novo contenuta nell’appello, dell’efficacia probatoria dei documenti dal ricorrente medesimo prodotti già nel primo grado del giudizio ex art. 24, d.lgs. 546/1992, senza che in quel grado l’Agenzia delle entrate, ufficio locale, svolgesse puntuali difese al riguardo, secondo le relative disposizioni processuali speciali.
La censura è infondata.
Va ribadito che «Nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile in grado di appello la contestazione delle deduzioni documentali del contribuente, effettuata dall’Agenzia delle Entrate per la prima volta in grado di appello)» (Sez. 5, Ordinanza n. 22105 del 22/09/2017, Rv. 645639 – 01).
È quindi del tutto evidente che la contestazione della valenza probatoria della documentazione giustificativa prodotta dal contribuente in prime cure non può essere considerata, come ritiene il contribuente medesimo, una eccezione “in senso stretto”, quindi vietata in appello dall’art. 57, comma 2, d.lgs. 546/1992, ma che invece debba essere qualificata come “mera difesa” del tutto consentita, anche quale motivo di gravame, che appunto, in parte qua, censura la sentenza appellata.
Si tratta infatti della presa di posizione difensiva, in ordine all’assolvimento dell’onere probatorio gravante sul contribuente secondo il meccanismo presuntivo legale in oggetto, che si limita a negare l’efficacia controprobatoria della documentazione dimessa dal contribuente stesso, senza in alcun modo ampliare l’oggetto fattuale della lite, secondo il diverso, e non pertinente al caso, schema giuridico di cui all’art. 2697, primo e secondo comma, cod. civ.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in curo 2.300 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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