CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 maggio 2020, n. 9438
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Gestione albergo – Tariffa media per numero delle presenze
Fatti di causa
Con sentenza n. 29/1/12 la Commissione tributaria regionale di Firenze respingeva l’appello proposto da C. s.r.l. avverso la sentenza con la quale la Commissione Provinciale di Firenze aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento dei redditi dell’anno 2004 per la gestione di un albergo.
Osservava la CTR che l’avviso di accertamento si fondava su argomentazioni logiche e pienamente condivisibili, ossia sulla moltiplicazione del numero delle presenze nell’albergo per la tariffa media applicata e che nessuna rilevanza, ai fini della ricostruzione del reddito, poteva assegnarsi al fatto che l’albergo non godesse di una buona classificazione nelle indicazioni turistiche.
Avverso tale sentenza C. s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Resiste l’Agenzia mediante controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente si duole della nullità della sentenza per violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, degli artt. 112, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., e 118 disp. att. cod. proc. civ., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, nonché dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, anche con riferimento all’art. 111, sesto comma, Cost. (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.).
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. La motivazione posta dalla CTR a fondamento della decisione, per quanto succinta, non può tuttavia considerarsi, come sostiene il ricorrente, assolutamente mancante: da un lato, infatti, essa manifesta una convinta adesione alle argomentazioni concrete svolte nell’avviso (con particolare riguardo alla condivisibilità del metodo seguito dall’Ufficio, articolato sulla ricostruzione dei ricavi attraverso la moltiplicazione delle presenze in albergo e la tariffa media applicata) e dall’altro nega ogni rilevanza alla qualità dei servizi offerti dalla struttura alberghiera.
1.3. Del resto proprio su uno degli argomenti valorizzati dalla CTR (ossia sulla ricostruzione del reddito mediante la moltiplicazione delle presenze con le tariffe medie) si sofferma il secondo motivo, a dimostrazione del fatto che il contribuente è stato posto nelle condizioni di censurare, in concreto, uno degli argomenti considerati decisivi dalla sentenza impugnata.
2. Il secondo motivo lamenta l’omessa o comunque insufficiente motivazione sulle presunte tariffe medie applicate dall’albergo e sul fatto che i documenti acquisiti ed esaminati dall’Ufficio, nel contraddittorio preventivo (fatture e contratti con i tour operator), farebbero ragionevolmente presumere la percezione, da parte della società, di corrispettivi al netto di Iva superiori a quelli dichiarati, per l’ammontare congruo in base allo studio di settore (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.).
2.1. In particolare, il ricorrente si duole del fatto che quarantadue fatture, depositate in sede di contraddittorio preventivo, non sarebbero state prese in considerazione dall’Ufficio, in quanto da quest’ultimo ritenute inattendibili, quando invece solo sei di esse contemplavano prezzi diversi da quelli indicati nei contratti.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.3. Innanzitutto il ricorrente trascura di precisare il motivo per cui tale omissione della CTR debba considerarsi decisiva: il fatto che alcune fatture non siano state prese in considerazione dall’Ufficio, infatti, non comporta automaticamente che la determinazione delle tariffe medie debba reputarsi scorretto, non avendo il contribuente indicato nel ricorso né il valore della media, preso in considerazione dall’Ufficio (a pag. 21 è indicato solo il valore complessivo dei ricavi accertati), né il diverso risultato al quale l’Ufficio sarebbe pervenuto considerando quelle fatture ed i restanti documenti depositati.
2.4. Stessa sorte merita l’ulteriore rilievo (sempre svolto nel secondo motivo) concernente il fatto che l’Ufficio avrebbe considerato i prezzi comprensivi di Iva, in quanto anche in tal caso, pure a non voler considerare l’Iva, i maggiori ricavi accertati sarebbero comunque superiori a quelli dichiarati (e quindi non vi è alcuna certezza circa la decisività del rilievo e del fatto oggetto dell’omessa motivazione).
3. Il terzo motivo si sofferma sull’insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto decisivo e controverso, avendo la CTR affermato che il giudizio negativo espresso sull’albergo dalle indicazioni turistiche, legato alla vetustà dell’immobile, non avrebbe inciso negativamente sull’entità dei ricavi (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.).
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. Anche in tal caso, infatti, la censura è priva del necessario carattere della decisività, perché se è vero che in tema di studi di settore è sempre offerta al contribuente la possibilità di fornire prova contraria alle presunzioni semplici utilizzate dall’Ufficio, nel caso in esame manca, invece, ogni dimostrazione (ed anche, più radicalmente, l’allegazione, essendo il rilievo fondato semplicemente su un automatismo: scarsa qualità = ricavi inferiori alla media) del fatto che la concreta situazione dell’immobile e la tipologia dei servizi concretamente offerti abbiano significativamente inciso sui ricavi, in modo da comportarne una contrazione rispetto a quelli medi per il settore presi in considerazione dall’Ufficio.
4. Il quarto motivo è intitolato «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973 e 62 – sexies, comma 3, d.l. n. 331/1993, degli artt. 2697 e 2729 c.c. e dei principi generali sul valore di mere presunzioni semplici degli studi di settore (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)». Secondo il contribuente, la CTR avrebbe infatti legittimato inopinatamente l’accertamento fondato sugli studi di settore, pur non sussistendo alcun convincente elemento indiziario in grado di suffragarne le risultanze.
4.1. In realtà, esaminando specificamente il contenuto del ricorso, il ricorrente, più che lamentare l’assoluta assenza di ulteriori elementi indiziari, si duole piuttosto dell’inidoneità degli elementi utilizzati dall’Ufficio per corroborare gli studi di settore.
4.2. Secondo il ricorrente, dunque, l’approssimativa ricostruzione dei ricavi effettuata dall’Ufficio (e quindi l’omesso esame di alcuni documenti, la mancata considerazione della situazione di degrado dell’immobile, la valutazione dei prezzi al lordo dell’Iva) non poteva essere giudicata idonea, in quanto a sua volta fondata su dati scorretti, a corroborare i risultati dello studio di settore.
4.3. Il motivo è inammissibile perché, mirando a censurare gli stessi elementi già contestati tramite i precedenti motivi di ricorso (omessa considerazione dei documenti, dello stato dell’immobile e del valore netto dei prezzi), ne subisce la stessa sorte.
5. Le considerazioni che precedono impongono, dunque, il rigetto del ricorso. Le spese della presente fase di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Pone le spese di legittimità a carico del ricorrente, liquidandole in € 5.600, oltre spese prenotate a debito.
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