CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 maggio 2020, n. 9504
Tributi – Eccedenza di imposta spettante alla società – Cessione al socio in sede di riparto finale di liquidazione della società – Utilizzo in compensazione – Illegittimità
Rilevato che
Il contribuente ha impugnato una cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo automatizzato, con la quale veniva ripreso a tassazione un credito per maggiore IRAP non versata per l’anno di imposta 2007, oggetto di compensazione con una eccedenza di imposta, in forza del disconoscimento dell’utilizzo in compensazione dell’eccedenza di imposta, rinveniente dal riparto finale di una società in liquidazione di cui il ricorrente era socio;
la CTP di Lecce ha accolto il ricorso e la CTR della Puglia, Sezione Staccata di Lecce, con sentenza in data 7 maggio 2018, ha rigettato l’appello dell’Ufficio, osservando che l’art. 43-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, pur in assenza di regolamenti di attuazione, consenta di utilizzare in compensazione un credito di imposta anche tra soggetti terzi, non appartenenti al gruppo societario, non apparendo differente il caso del contribuente che ottenga il rimborso procedendo al pagamento delle imposte dovute dal caso del contribuente che utilizzi il suddetto credito mediante compensazione;
propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a un unico motivo, l’intimato non si è costituito in giudizio;
la proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.
Considerato che
Con l’unico motivo l’Ufficio denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 17 d. Igs. 9 luglio 1997, n. 241 e dell’art. 8 I. 27 luglio 2000, n. 212, lamentando che la CTR abbia respinto il gravame dell’Ufficio sul rilievo che fosse ammissibile la compensazione di imposte a seguito di cessione al contribuente, in quanto socio della società titolare dell’eccedenza di imposta, del suddetto credito tributario, già spettante alla società, sul rilievo che la cessione del credito legittimerebbe il contribuente a utilizzarlo in compensazione, pur in assenza di regolamenti di attuazione; deduce il ricorrente che il riconoscimento della compensazione tra crediti tributari a termini dell’art. 8 I. 27 luglio 2000, n. 212, è demandato all’emanazione di un futuro regolamento, regolamento attualmente ancora non emanato, in attesa del quale deve farsi applicazione delle disposizioni vigenti, quali l’art. 17 d. Igs. 9 luglio 1997, n. 241, che limita la compensazione a crediti dello stesso periodo nei confronti degli stessi soggetti; deduce il ricorrente l’irrilevanza dell’art. 43-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, attinente alla mera cessione del credito e non all’effetto della estinzione dello stesso mediante compensazione;
la censura è fondata in quanto, in materia tributaria, la compensazione viene ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge;
né tale principio può ritenersi superato per effetto dell’art. 8, comma 1, l. n. 212/2000, il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni già vigenti, demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato (Cass., Sez. V, 18 maggio 2016, n. 10207; Cass., Sez. VI, 9 luglio 2013, n. 17001; Cass., Sez. V, 25 maggio 2007, n. 12262);
deve, pertanto, farsi applicazione della disposizione dell’art. 17 d.lgs. n. 241/1997, norma la quale, nell’ammettere la compensazione in sede di versamenti delle imposte, ne ha limitato l’applicazione all’ipotesi di crediti dello stesso periodo, vantati nei confronti dei medesimi soggetti e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore (Cass., Sez. V, 30 giugno 2006, n. 15123); tanto che, sulla scorta di tale principio generale, si è escluso che l’associazione professionale possa operare la compensazione diretta ed integrale dei propri debiti tributari con i crediti d’imposta dei singoli associati (Cass., Sez. V, 30 maggio 2018, n. 13638), come anche si è esclusa la compensazione tra IVA e registro (Cass., Sez. V, 5 luglio 2017, n. 16532);
la sentenza della CTR non si è quindi conformata ai suddetti principi, laddove ha riconosciuto al contribuente la possibilità di estinguere l’obbligazione tributaria per compensazione con un credito d’imposta cedutogli da un terzo, per cui deve essere cassata;
sulla scorta di quanto sin qui illustrato, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex articolo 384 cod. proc. civ., con rigetto del ricorso introduttivo del contribuente;
stante il consolidarsi soltanto nel corso del giudizio di merito del su riportato indirizzo giurisprudenziale, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dei gradi di merito, le spese del giudizio di legittimità seguono invece la soccombenza;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese dei gradi del giudizio di merito; pone le spese del giudizio di legittimità a carico del contribuente, liquidate in € 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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