CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 marzo 2018, n. 7120
Trasferimento del dipendente – Assistenza continuativa al familiare affetto da handicap grave – Diritto soggettivo in capo al lavoratore a scegliere e/o a mutare la propria sede di lavoro – Sussiste – Necessario bilanciamento di interessi, con relativo onere probatorio in capo al datore di lavoro
Rilevato
che, con la sentenza n. 526/2012, la Corte di appello di Brescia ha confermato la pronuncia del 7.12.2011 del Tribunale di Bergamo con la quale, in accoglimento della domanda proposta da S. L., Poste Italiane spa era stata condannata a trasferire la ricorrente nella sede di Terme Vigilatore o in altro Ufficio della zona, limitrofo al Comune di residenza del padre, inabile e bisognoso di assistenza continuativa, essendo stati ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 33 legge n. 104/1992;
che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane spa affidato a tre motivi;
che S. L. ha resistito con controricorso, illustrati con memoria;
che il PG non ha formulato richieste scritte.
Considerato
che, con il ricorso per cassazione, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 33 comma 5 legge 104/92 (art. 360 n. 3 c.p.c.) per errato riconoscimento, da parte della Corte territoriale, dell’invocato diritto alla ricorrente sebbene l’assistenza continuativa all’handicappato, nel caso in esame, fosse stata interrotta e sebbene si vertesse in una fattispecie di trasferimento di sede di lavoro in corso di rapporto, in relazione al quale non era ravvisabile alcun diritto soggettivo, e non di prima assegnazione di lavoro; si deduce, inoltre, che l’inciso “ove possibile” contenuto nel disposto normativo comunque avrebbe richiesto un contemperamento di interessi tra parte datoriale e lavoratori; 2) la violazione e falsa applicazione dell’art. 33 comma 5 legge n. 104/92; la violazione dell’art. 41 Cost. e la violazione dell’art. 30 comma 1 legge n. 183/2010 (art. 360 n. 3 c.p.c.) per avere erroneamente i giudici di merito riconosciuto, sulla base della disposizione di cui all’art. 33 coma 5 citato, un diritto soggettivo perfetto in capo al lavoratore a scegliere e/o a mutare la propria sede di lavoro, salvo facoltà del datore di provarne l’impossibilità, quando, invece, si trattava di un semplice interesse legittimo a scegliere la propria sede di servizio ove possibile; 3) la violazione e falsa applicazione degli artt. 420 e 416 c.p.c. nonché dell’art. 2697 cc (art. 360 n. 3 c.p.c.) per avere erroneamente i giudice del merito ritenuto generico il capitolo di prova articolato dalla società circa l’esistenza di sedi disponibili per le esigenze della L. e che la pronuncia violava la libertà di impresa di cui all’art. 41 Cost. intromettendosi in valutazioni di merito aziendale contro il disposto di cui all’art. 30 comma 1 legge n. 183/2010;
che il primo motivo non coglie nel segno perché la decisione della Corte di appello è stata fondata su una doppia ratio decidendi, una delle quali è costituita dalla circostanza secondo cui era verosimile che la situazione di necessità di assistenza al genitore fosse stata resa nota immediatamente e che la lavoratrice non avesse correttamente fatto valere il proprio diritto per una questione di inesperienza e di ignoranza: tanto è che per il numero di assenze di congedo straordinario fruito doveva ritenersi che il rapporto di assistenza non si fosse mai interrotto (pag. 5 della motivazione della gravata sentenza); che tale ratio, basata quindi non su un trasferimento ma su un’errata assegnazione della prima sede, non risulta censurata per cui la doglianza relativa esclusivamente ad una interruzione di assistenza e ad un trasferimento di sede di lavoro in corso di rapporto non è conferente alle argomentazioni poste a sostegno della decisione; che il secondo e terzo motivo, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, sono infondati: la disposizione dell’art. 33 comma 5° della legge n. 104/1992 deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati -alla luce dell’art. 3 comma 2° Cost., dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni del 13.12.2006 sui diritti dei disabili, ratificata con legge n. 18 del 2009- in funzione della tutela della persona disabile (cfr. Cass. 7.6.2012 n. 9201); le misure previste dall’art. 33 comma 5° devono intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo – riconducibile al principio sancito dall’art. 3 comma 2 Cost. – che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da un lato, non si identificano esclusivamente con l’assistenza familiare e, dall’altro, devono coesistere con altri valori costituzionali (cfr. da ultimo Cass. n. 24015/2017); ne consegue che le posizioni giuridiche soggettive in capo agli interessati, proprio per il loro fondamento costituzionale e di diritto sovranazionale, vanno individuate quali diritti soggettivi (e non interessi legittimi) ma richiedenti, di volta in volta, un bilanciamento necessario di interessi, con il relativo onere probatorio in capo al datore di lavoro (cfr. sull’onere probatorio Cass. 18.2.2009 n. 3896);
che nella fattispecie in esame la Corte territoriale, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, ha operato tale verifica perché, sulla base della documentazione prodotta, ha rilevato la sussistenza di numerosi vuoti di organico, destinati alla copertura, per le stesse mansioni della lavoratrice nelle sedi dipendenti della filiale di Messina Due ed ha ravvisato anche un ulteriore profilo, non oggetto di specifiche censure, legittimante la pretesa della L., costituita dal fatto che la madre di quest’ultima era divenuta ultrasessantacinquenne ed era portatrice a sua volta di gravi disabilità con la conseguenza che i presupposti di cui all’art. 33 per ottenere il mutamento di sede comunque si sarebbero realizzati nel giugno del 2010; che, pertanto, l’esigenza di consentire l’effettività del diritto al lavoro della persona in qualche modo svantaggiata a causa dalla situazione di handicap è stata comparata con gli altri interessi implicati senza ritenere, nel caso concreto, lese le esigenze economiche, produttive ed organizzative della società atteso che, se ci sono posti disponibili cui collocare la lavoratrice, non si viola l’iniziativa imprenditoriale ma si contemperano e si bilanciano appunto i due interessi contrapposti; che, infine, sono inammissibili sia le doglianze sulla mancata ammissione della prova testimoniale articolata dalla società, che può essere denunciata in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini del decidere (cfr. Cass. 8.1.2015 n. 66), mentre nel caso in esame la Corte territoriale, con argomentazioni logiche, ha ritenuto generico il capitolo articolato, sia sul sindacato dei documenti prodotti in quanto la ricostruzione degli elementi probatori e la relativa valutazione rientrano nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove e risultanze che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti si sia realizzato, come è avvenuto nel caso in esame, attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso (Cass. 1.8.2001 n. 10484);
che alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato; che, al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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