CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 marzo 2019, n. 8178

Imposte sui redditi – Istanza di rimborso – Accertamento – Attività di cessione di gasolio – Attività ispettiva – PVC – Contenzioso tributario

Fatti di causa

la Spa R. Servizi, originaria ricorrente, in data 10.07.2008 riceveva notifica di due Processi Verbali di Costatazione (Pvc) emessi, al termine di attività ispettiva, dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano, III Gruppo Tutela Entrate – Sezione Accise sugli Oli Minerali, in ordine a violazioni riguardanti una serie di cessioni di gasolio avvenute nel corso degli esercizi 2002, 2003 e 2004.

Le cessioni erano state eseguite dalla Otto Eco 90 Srl, con sede in Torre d’isola (PV) la quale, con atto del 18.01.2005, è stata poi incorporata dalla C. Petroli Srl, con sede in Scarmagno (TO), a sua volta incorporata, il 12.09.2007, dalla R. Servizi Spa. Quest’ultima è stata, infine, incorporata dall’odierna controricorrente S. Spa.

A seguito di censure rivolte all’Amministrazione finanziaria, la R. Servizi Spa decideva di avvalersi dell’istituto dell’adesione ai verbali di costatazione, di cui all’art. 5 bis del D.Lgs. n. 218 del 1997, al fine di definire le contestate violazioni mediante il pagamento di una sanzione pari ad un ottavo del minimo, provvedendo in data 26.09.2008 ad inviare l’istanza di adesione sia al Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, che aveva redatto i processi verbali di costatazione, sia all’Agenzia delle Entrate di Milano n. 6 ritenuta, sulla base di quanto indicato dalla stessa Gdf nel Pvc, l’ufficio territorialmente competente rispetto alla sede legale della Società.

Il 22.12.2008 la R. Spa riceveva quattro avvisi di accertamento, emessi dall’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Pavia, sul presupposto dell’inefficacia della proposta istanza di adesione, perché depositata presso un Ufficio incompetente e non già presso quello competente rispetto alla sede legale del soggetto che aveva commesso le violazioni, ovvero la incorporata Otto Eco 90 Srl.

Con istanza di autotutela del 15.01.2009 la società R. chiedeva, pertanto, l’annullamento degli avvisi di accertamento, ritenuti illegittimi per avere l’Agenzia delle Entrate recepito in toto i rilievi contenuti nel processo verbale di costatazione, senza tener conto dell’istanza di adesione presentata dall’esponente. A seguito della comunicazione del mancato accoglimento della richiesta di annullamento degli atti impositivi, la R. Servizi Spa comunicava all’Ufficio di Pavia di voler definire gli avvisi di accertamento a norma dell’art. 15 del D.Lgs. n. 218 del 1997, e procedeva al pagamento dell’imposta dovuta e degli interessi, nonché delle sanzioni nella misura di un quarto, e presentava al contempo istanza di rimborso delle maggiori sanzioni versate che quantificava in Euro 25.280,00.

Avverso il diniego di rimborso opposto dall’Agenzia delle Entrate, l’istante ricorreva innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pavia la quale accoglieva le ragioni della Società, ritenendo che se l’Ufficio di Milano n. 6 “si fosse dimostrato sollecito nel trasmettere l’istanza all’Ufficio di Pavia, la sanzione sarebbe stata correttamente pagata nella misura di un 1/8” (sent. CTR, p. 2). L’Amministrazione finanziaria adiva il giudice dell’appello, ma la Commissione Tributaria Regionale di Milano riteneva infondate le doglianze prospettate dall’appellante e, per l’effetto, confermava la pronuncia dei primi giudici.

Avverso la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale lombarda ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico, articolato, motivo di impugnazione. Resiste con controricorso la contribuente Siram Spa.

Ragioni della decisione

1.1. – La ricorrente Agenzia delle Entrate contesta, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 5 bis e 15 del D.Lgs. n. 218 del 1997, nonché dell’art. 10 della L. n. 212 del 2000, in cui sarebbe incorsa la Commissione Tributaria Regionale impugnata, in primo luogo per non aver ritenuto che la presentazione dell’istanza di definizione del Pvc ad un Ufficio territorialmente incompetente comportasse la conseguenza di dover considerare la richiesta come mai presentata e, in secondo luogo, per aver giudicato ammissibile l’istanza di rimborso delle maggiori sanzioni versate, avendo la contribuente società definito gli avvisi di accertamento a norma dell’art. 15 del D.Lgs. n. 218 del 1997, ed essendo gli atti impositivi relativi alle sanzioni divenuti, in conseguenza, definitivi e non più revocabili o modificabili.

2.1. – Mediante il suo unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate censura la valutazione della CTR che avrebbe “chiaramente errato” (ric. p. 6), nel confermare la sentenza di primo grado, ritenendo che “la ricorrente si era tempestivamente rivolta al proprio ufficio competente per territorio … di conseguenza senza incorrere in alcuna decadenza in relazione al proprio diritto al rimborso” (sent. CTR, p. 4), oltre ad aver ritenuto ammissibile un’istanza di restituzione di parte delle sanzioni versate ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. n. 218 del 1997.

In primo luogo, quindi, secondo l’Ente impositore, diversamente da quanto affermato dai giudici impugnati, solo una valida richiesta di adesione, sempreché rivolta all’Ufficio territorialmente competente, avrebbe potuto comportare la sospensione del termine decadenziale, di sessanta giorni, riconosciuto dalla legge come utile per poter proporre l’impugnazione innanzi alla Commissione tributaria. Non essendo stati rispettati questi requisiti, ne è discesa l’esecutività dell’accertamento medesimo, con la conseguenza che debbono ritenersi inammissibili, conformemente alla lettera della norma (art. 5 bis del D.Lgs. n. 218 del 1997), le istanze di adesione presentate ad un Ufficio diverso da quello competente a trattarle.

L’Ente impostore asserisce infatti l’incompetenza territoriale, nel caso di specie, dell’Ufficio dell’Agenzia di Milano n. 6, nonché l’inapplicabilità dell’art. 10 della L. n. 212 del 2000, atteso che la società Otto Eco 90 Srl, la quale aveva posto in essere le cessioni soggette ad imposizione fiscale, aveva sede in Torre d’isola (PV), essendo pertanto “ben individuabile l’ufficio competente, avendo detta società presentato per gli anni di imposta verificati le relative denunce dei redditi presso l’Ufficio di Pavia ed essendo stato l’Ufficio di Pavia, in data 22 dicembre 2008, ad avere notificato i quattro avvisi di accertamento che recepivano in toto i rilievi del processo verbale di constatazione” (ric. p. 7).

La presentazione dell’istanza di definizione ex art. 5 bis del D.Lgs. n. 218 del 1997 ad un Ufficio incompetente, secondo l’Amministrazione finanziaria, sarebbe idonea a rendere l’istanza medesima come mai presentata (rectius inesistente), diversamente opinando verrebbe consentito al contribuente di scegliere l’organo amministrativo, diverso da quello del suo domicilio fiscale, cui imporre l’onere di risposta, con conseguente violazione del principio di inderogabilità della competenza degli uffici finanziari.

Le argomentazioni proposte dalla ricorrente Agenzia non risultano a tal proposito decisivi, anche alla luce di copiosa giurisprudenza di legittimità secondo la quale “in tema di rimborso delle imposte sui redditi, disciplinato dall’art. 38, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973, la presentazione della relativa istanza ad un organo diverso da quello territorialmente competente a provvedere costituisce atto idoneo non solo ad impedire la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso, ma anche a determinare la formazione del silenzio-rifiuto impugnabile dinanzi al giudice tributario, sia perché l’ufficio non competente (purché non estraneo all’Amministrazione finanziaria) è tenuto a trasmettere l’istanza all’ufficio competente, in conformità delle regole di collaborazione tra organi della stessa Amministrazione, sia alla luce dell’esigenza di una sollecita definizione dei diritti delle parti, ai sensi dell’art. 111 Cost.“, Cass. sez. V, ord. 22.11.2018, n. 30229 (ex multis, cfr. Cass. sez. VI-V, ord. 06.03.2018, n. 5203; Cass. sez. V, sent. 28.12.2016, n. 27117; Cass. sez. V, ord. 20.12.2012, n. 23548). In senso conforme milita pure il disposto di cui all’art. 5 della L. n. 249 del 1968, il quale recita: “Le istanze o i ricorsi rivolti, nel termine previsto dalla legge, a organi diversi da quello competente ma appartenenti alla medesima amministrazione centrale non sono soggetti a dichiarazione di irricevibilità per scadenza di termine. Tali istanze e ricorsi sono trasmessi d’ufficio all’organo competente”, e merita di essere ricordata pure la prassi seguita dall’Amministrazione finanziaria in attuazione di specifiche istruzioni da essa stessa elaborate. Con Risoluzione n. 123/E del 13 dicembre 2011 – concernente l’individuazione dell’ufficio competente a trattare le istanze di rimborso, di cui all’art. 38 del DPR n. 602 del 1973, nelle ipotesi di mutamento del domicilio fiscale del contribuente – la Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate ha, infatti, chiarito che “laddove il contribuente dovesse inoltrare l’istanza di rimborso ad un ufficio non competente a riceverla, sarà cura di quest’ultimo provvedere alla trasmissione della richiesta alla struttura avente competenza in base alle indicazioni sopra fornite”.

A ciò si aggiunga che la contribuente R. Servizi Spa, nel presentare l’istanza di definizione di cui all’art. 5 bis del D.Lgs. n. 218 del 1997 all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Milano n. 6, non ha fatto altro che adeguarsi alle indicazioni contenute nel Pvc notificatole dalla Guardia di Finanza di Milano, ove si legge che “la parte è stata resa edotta della facoltà di comunicare all’Ufficio impositore (Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano 6), nel termine di 60 (sessanta) giorni dalla notifica del presente p.v. di costatazione, osservazioni e richieste … Il presente atto … – uno viene consegnato alla parte; – uno verrà trasmesso all’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano n. 6” (contr. p. 5, Pvc p. 41, estratto fascicolo primo grado allegato 8) – ne consegue che, a maggior ragione, non potrebbero imputarsi, ex art. 10, comma 2, della L. n. 212 del 2000, alla Società odierna controricorrente le conseguenze negative di un “errore” derivante dall’essersi conformata alle indicazioni contenute nell’atto amministrativo. Deve pertanto ritenersi che, nel caso di specie, sia ascrivibile in capo alla ricorrente Agenzia delle Entrate una violazione del generale principio di collaborazione tra organi della stessa amministrazione, non essendosi affatto attivata per la trasmissione della richiesta formulata dalla contribuente all’Ufficio competente, nonché la violazione del principio di collaborazione tra amministrazione e contribuente, di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto, in quanto avrebbe dovuto fornire corrette indicazioni circa l’Ufficio competente, ovvero avrebbe dovuto, al momento della ricezione dell’istanza di definizione, fornire tempestiva comunicazione alla R. Servizi Spa che l’Ufficio ritenuto competente era quello di Pavia.

Tanto premesso, e venendo al secondo motivo di contestazione proposto dalla ricorrente, la definizione delle sanzioni ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. n. 218 del 1997, pur nelle diverse formule succedutesi nel tempo, propone comunque al contribuente una opzione, consentendogli di proporre impugnativa avverso l’avviso di accertamento o di liquidazione, oppure di formulare istanza di accertamento con adesione, ed in alternativa gli consente di definire la vicenda delle sanzioni accedendo ad un versamento agevolato provvedendo a pagare, entro il termine utile per la proposizione del ricorso, le somme complessivamente dovute, tenuto conto della riduzione delle sanzioni ad un quarto, pagamento che però estingue il rapporto sul punto, ed esclude pertanto che la questione possa essere oggetto di esame giurisdizionale.

In materia questa Corte ha ormai formato un orientamento consolidato e condivisibile, che le osservazioni della controricorrente non inducono a rivedere. Si è infatti già rilevato che “in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il contribuente che, nei termini per impugnare l’atto impositivo, esegua spontaneamente il pagamento dell’imposta e della relativa sanzione in misura ridotta, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 218 del 1997, aderendo alla relativa misura agevolativa, assume un comportamento concludente, comportante la rinuncia ad impugnare il provvedimento impositivo“, Cass. sez. VI-V, ord. 26.09.2016 n. 18900, con la conseguenza che il versamento delle sanzioni, in misura notevolmente inferiore a quella concretamente irrogabile, effettuato a norma dell’art. 15, definisce irrevocabilmente ogni questione inerente l’aspetto sanzionatorio del rapporto tributario in contestazione, precludendo al contribuente di ripetere quanto già pagato, dovendosi ritenere definitivamente chiuso, a quel momento, il rapporto tra contribuente e fisco in ordine alle altre conseguenze sanzionatone delle violazioni stesse già rilevate (cfr. Cass. sez. VI-V, n. 18740 del 2015; Cass. n. 26740 del 2013; Cass. sez. V, n. 25577 del 2017).

In applicazione dei principi suesposti, pertanto, nessuna richiesta della contribuente di rimborso delle somme già versate a titolo di definizione agevolata delle sanzioni, può essere soddisfatta.

Il ricorso deve, quindi, essere accolto.

In conseguenza, la Corte deve cassare l’impugnata sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ., e ne consegue che quanto versato dalla contribuente, a titolo di sanzioni, non dovrà essere restituito.

In considerazione della complessità della materia trattata e dell’esito dei gradi di merito del giudizio, le spese di lite possono essere compensate tra le parti mentre, in relazione al giudizio di legittimità, trova applicazione il principio della soccombenza prevalente, e le spese sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla controricorrente R. Servizi Spa, ora Siram Spa, di restituzione delle maggiori somme versate a titolo di sanzioni amministrative, disponendo altresì la compensazione, fra le parti, delle spese di lite del giudizio di merito, e condanna la controricorrente Società al pagamento, in favore della ricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.