CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 marzo 2019, n. 8187
Tributi – Accertamento sintetico – Incrementi patrimoniali – Operazioni societarie – Giustificazioni – Aumento di capitale mediante utilizzo di riserve facoltative – Acquisto di azioni mediante operazione di fusione – Legittimità
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento, con il metodo “sintetico”, ai sensi dell’art. 38 d.p.r. 600/1973, nei confronti di R.P., con riferimento all’anno 2004, rideterminando il reddito da € 38.673,00 ad € 383.668,0, ritenendo a lui riferibili incrementi patrimoniali costituiti da un conferimento per aumento di capitale alla P.F. s.r.l. per € 1.750.000,00, in data 28-7-2004, da un acquisto di azioni per € 1.876,28 il 20-12-2004, nonché da un successivo aumento di capitale della P.F. s.r.l. (divenuta poi M. s.r.l.) pari ad € 1.734.671,00, in data 14-11-2005, a seguito della fusione per incorporazione della S. s.r.l..
2. Proponeva ricorso il contribuente, rilevando che, in realtà, il primo aumento di capitale per € 1.750.000,00 (da € 1.750.000 ad € 3.500.000,00), in data 28-7-2004, era stato costituito dall’utilizzo delle “riserva facoltative” pari ad € 29.484,32 oltre che da “condono” per € 624.741,00, sicché al più poteva essere attribuito al ricorrente l’incremento patrimoniale residuo di € 672.887,27. Inoltre, l’ulteriore aumento di capitale per € 1.734.671,00 (da € 3.500,00 ad € 5.200.000,00), in data 14-11-2005, originava dalla fusione per incorporazione della S. s.r.l. nella P.F. s.r.l., senza versamenti dei soci. Inoltre, gli incrementi da acquisto di azioni (€ 1.876,28) e l’acquisto di fondi comuni (€ 116.667,00) erano stati realizzati utilizzando i redditi dichiarati relativi agli anni 2000 (lire 158.497.000,00), 2001 (lire 416.433.000,00) e 2002 (€ 118.450,00).
3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, con una motivazione che richiamava altra sentenza della Commissione tributaria provinciale, che aveva deciso il ricorso proposto dalla M.N. s.r.l. (già P.F. s.r.l.) nei confronti dell’Agenzia delle entrate.
4. La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate.
5. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
6. Ha resistito con controricorso la società.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione degli artt. 112 c.p.c.per omessa pronuncia nonché 21 d.lgs. 546/1992, 2697 e 2730 c.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.)”, in quanto il giudice tributario, a fronte delle esplicite ammissioni del contribuente, in ordine al conferimento di capitale per € 672.887,27 ed all’acquisto di fondi comuni per € 116.667,00, oltre che all’acquisto di azioni per € 1.876,28, avrebbe dovuto quantificare la pretesa impositiva e non limitarsi a rigettare l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, incorrendo così nel vizio di “omessa pronuncia”.
1.1. Tale motivo è infondato.
Invero, la Commissione regionale ha pronunciato in ordine sia al primo aumento di capitale da € 1.750.000 ad € 3.500,00, sia in relazione all’acquisto di fondi comuni ed azioni.
Infatti, in motivazione la Commissione ha affermato che, sulla scorta della documentazione prodotta, consistente negli atti notarili relativi a dette operazioni di aumento del capotale sociale, con riferimento agli anni dal 2003 al 2007, il contribuente ha documentato “operazioni legittime che evidenziavano che esse non avevano comportato alcun esborso di capitale poiché trattavasi o di riserve portate ad aumento di capitale sociale, o voci del patrimonio netto di società cui il sig. P.R. partecipava”.
V’è stata, dunque, una pronuncia espressa della Commissione regionale sui punti in contestazione, tanto più che in motivazione si fa riferimento anche al primo aumento di capitale (“nel caso di specie l’Ufficio contesta al sig. P.R. col metodo degli incrementi patrimoniali somme per l’anno 2004, che al contrario risultano ampiamente giustificate dal Contribuente col conferimento per aumento di capitale sociale alla P.F. prima, e alla fusione ed incorporazione successiva della soc. S. nella P.F….”).
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione dell’art. 38 d.p.r. 600/1973 – Omessa o comunque insufficiente motivazione (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.)”, in quanto la Commissione regionale si è limitata ad affermare, in modo generico, che le operazioni finanziarie relative alla P.F. s.r.l. non hanno comportato alcun esborso di capitale da parte del contribuente “poiché trattavasi o di riserve portate ad aumento di capitale sociale, o voci del patrimonio netto di società cui il sig. P.R. partecipava”. In realtà, il contribuente non ha offerto alcuna prova contraria in relazione alla consistenza del patrimonio della società incorporata S. s.r.l., con capitale sociale di appena € 102.300,00, fusa per incorporazione alla P.F. s.r.l., con aumento di capitale da € 3.500.000,00 ad € 5.200.000,00.
2.1. Tale motivo è infondato.
Invero, anzitutto si rileva che la censura di insufficiente motivazione, oltre che di violazione di legge, si limita a contestare esclusivamente l’operazione di fusione tra la S. s.r.l., società incorporata, e la M. s.r.l (già P.F. s.r.l.), con riferimento al secondo aumento di capitale da € 3.500.000,00 ad € 5.200.0, 00, sicché non v’è alcuna contestazione in questo motivo di gravame, sul primo aumento di capitale e sull’acquisto di azioni e di fondi comuni.
Inoltre, costituisce principio consolidato quello per cui costituiscono “spesa per incrementi patrimoniali”, ai sensi dell’art. 38, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, anche i finanziamenti soci e tutte le altre forme di capitalizzazione, ove comportino un esborso effettuato a tale scopo da parte del contribuente (Cass., 24 luglio 2018, n. 19613).
Ebbene, proprio gli esborsi da parte del contribuente sono stati esclusi dalla Commissione regionale, nell’ambito del secondo aumento di capitale a seguito di fusione per incorporazione.
Si evidenzia, sul punto, che la Commissione regionale ha reso una motivazione, seppure sintetica, ma sufficiente ad escludere che l’aumento di capitale sia avvenuto, non attraverso apporti del socio, ma con l’incorporazione della S. s.r.l. nella M. s.r.l., a seguito di fusione, attraverso l’esame degli atti notarili sottesi a tale operazione societaria. Si è fatto riferimento, infatti, in motivazione oltre che all’utilizzo di “riserve” (le riserve S. s.r.l., sono state quantificate in € 1.781.616,00 dalla società nel contoricorso), portate ad aumento del capitale sociale, anche alle voci del “patrimonio netto” delle due società, fuse, appunto, per incorporazione, e ciò alla stregua della documentazione prodotta dal contribuente, consistente negli atti notarili che hanno documentato tali operazioni straordinarie societarie.
In tal modo, si è, dunque, ritenuto in motivazione che il contribuente abbia fornito la prova contraria, idonea a dimostrare che l’incremento patrimoniale è stato costituito da redditi estranei al patrimonio del ricorrente (Cass., 30 maggio 2018, n. 13602, in relazione all’onere della prova contraria rappresentato da finanziamenti di terzi, redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte).
3. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della società le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 6.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, accessori di legge e rimborso delle spese generali nella misura forfettaria del 15 %.
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