CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 marzo 2019, n. 8259
Imposte indirette – IVA – Società consortile – Accertamento – Riscossione – Compensazione
Rilevato che
– la M. s.p.a. propone ricorso per revocazione, ex art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., sulla base di un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso, avverso l’ordinanza in epigrafe indicata, con cui questa Corte ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di appello pronunciata nel giudizio di impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’amministrazione finanziaria aveva effettuato varie riprese a tassazione ai fini IVA anche con riguardo a compensazioni effettuate con il consorzio di cui la società contribuente è socia maggioritaria;
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito) con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197), risulta regolarmente costituito) il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memorie;
Considerato che
– il ricorrente lamenta che nell’ordinanza impugnata per revocazione questa Corte aveva disatteso la pronuncia del Supremo consesso n. 12190 del 14/06/2016, che, in materia dei rapporti tra consorzio e società consortili ed in fattispecie relativa proprio al consorzio N., aveva affermato il principio secondo cui «La società consortile può svolgere una distinta attività commerciale con scopo di lucro ed è questione di merito accertare i rapporti tra la società stessa e i consorziati nell’assegnazione dei lavori o servizi per stabilire la necessità del “ribaltamento” integrale o parziale di costi e ricavi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto; in caso di differenza tra quanto fatturato dalla società consortile al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato alla società consortile, il consorziato ha l’onere di provare – nel rispetto dei principi di certezza, effettività, inerenza e competenza — che la differenza stessa non integri suoi ricavi occulti ovvero che essa corrisponda a provvigioni o servizi resi dal consorzio al terzo»;
– il motivo è inammissibile;
– richiamando quanto affermato da Cass. n. 20635 del 2017, va ricordato che l’errore revocatorio, previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., deve consistere in un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva, oltre a rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronta tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi; in particolare questa Corte (Cass. n. 17443 del 2008) ha chiarito che «l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis cod. proc. civ., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali»; Cass. n. 10466 del 2011 ha quindi precisato che «In tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione configurabile solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso»;
deve, quindi, escludersi che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sé insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis cod. proc. civ. (Cass.5221/2009), in quanto «la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale, quale documentata in atti, induce ad escludere o ad affermare; non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione» (Cass. n. 14608 del 2007 e n. 20635 del 2017 cit.; v. anche Cass., Sez. U., n. 8984 del 2018 e n. 30994 del 2017, nonché Cass. n. 9835 del 2012, n. 8615 del 2017, n. 440 e n. 3760 del 2018);
– nel caso di specie il ricorso si pone in insanabile contrasto con tali principi avendo il ricorrente censurato con il ricorso per revocazione le valutazioni espresse da questa Corte in relazione ai motivi di ricorso per cassazione esaminati nella sentenza oggetto di revocazione, dovendosi all’evidenza escludere, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, che il contestato disallineamento della decisione impugnata dai principi affermati dal Supremo consesso di questa Corte costituisca errore di percezione degli elementi emergenti dagli atti processuali e non, piuttosto, error in iudicando;
né può essere condivisa l’affermazione contenuta nella memoria depositata dalla ricorrente, secondo cui «la sentenza delle Sezioni Unite (sia) una circostanza storica imprescindibile che non può essere negletta nemmeno d’ufficio, giacché l’ordinamento ne stabilisce la prevalenza», in quanto è pur sempre «la rilevanza e la decisività del responso» del Supremo consesso di questa Corte che la ricorrente, contraddicendo la precedente affermazione, pretende che venga applicato «per il vaglio e la soluzione della controversia specifica»;
– a diversa conclusione non può pervenirsi neppure ove si consideri che la pronuncia impugnata sia di cassazione con rinvio, atteso che è principio condiviso dal Collegio quello secondo cui «Il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera cd autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione» (Cass. n. 12046 del 2018; in termini, Cass. n. 20393 del 2015) ; invero, anche nell’ottica di tale principio, quello che rileva ai fini dell’ammissibilità del ricorso per revocazione di una pronuncia cassatoria con rinvio è sempre e comunque la sussistenza di un errore di percezione di un fatto, nella specie insussistente;
– conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo;
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 29.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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