CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 marzo 2022, n. 9194
Tributi – Rivalutazione dei beni d’impresa – Affrancamento del saldo di rivalutazione – Imposta sostitutiva – Determinazione base imponibile al lordo dell’imposta di rivalutazione – Illegittimità – Eccedenza di versamento – Diritto al rimborso
Fatti dì causa
1. La Performance in L. Spa procedeva alla rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni, ai sensi dell’art. 1, comma 469, della legge n. 266 del 2005, “versando l’imposta sostitutiva pari al 12% dei beni ammortizzabili per Euro 971,347,00, in data 20.6.2006” (ric., p. 2). La società procedeva anche all’affrancazione del saldo di rivalutazione, iscritto in apposita riserva in bilancio, ai sensi dell’art. 1, comma 472, della legge n. 266 del 2005, calcolando l’imposta sostitutiva da versare nella misura del 7% del valore iscritto, cui era aggiunto il valore dell’imposta sostitutiva versata per la rivalutazione, calcolandosi pertanto la base imponibile, come suol dirsi: “al lordo”, “e provvedendo al versamento delle relative tre rate secondo le modalità previste dalla stessa norma” (ibidem).
La società domandava quindi all’Agenzia delle Entrate il rimborso di parte delle somme versate, spiegando di essersi determinata a versare l’imposta relativa all’affrancazione nella misura indicata a titolo prudenziale, ma di ritenere che il valore su cui calcolare l’imponibile non dovesse corrispondere all’importo di rivalutazione al lordo, pari al valore di rivalutazione più l’imposta sostitutiva versata, bensì all’ammontare del valore di rivalutazione iscritto a riserva in bilancio ai sensi di legge, pertanto al netto dell’imposta versata per la rivalutazione.
2. L’Amministrazione finanziaria non rispondeva all’istanza di rimborso della contribuente che, formatosi il silenzio rifiuto, proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino. La CTP riteneva fondata la pretesa avanzata dalla società, ed accoglieva la sua impugnazione.
3. Avverso la sentenza sfavorevole conseguita in primo grado spiegava appello l’Amministrazione finanziaria, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, riproponendo la propria tesi secondo cui l’imposta per l’affrancazione dei valori iscritti a riserva, a seguito dell’intervenuta rivalutazione, avrebbe dovuto calcolarsi sulla base del valore lordo (valore iscritto a riserva a seguito dell’intervenuta rivalutazione + valore dell’imposta versata in conseguenza della rivalutazione) e non del valore netto, pari alla sola somma iscritta in bilancio quale riserva. La CTR riteneva infondata la tesi dell’Amministrazione finanziaria, e confermava la decisione di primo grado.
4. Avverso la decisione assunta dalla CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a due motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso la società Performance in L. Spa.
Ragioni della decisione
1. Con il suo primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., l’Ente impositore contesta la nullità della sentenza adottata dalla CTR, in considerazione del disposto di cui agli artt. 61 e 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., “perché in essa non viene esposto l’iter logico giuridico che ha portato la Commissione Tributaria Regionale a respingere il ricorso in appello dell’Ufficio” (ric., p. 8).
2. Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate censura la violazione o falsa applicazione dell’art. 1, commi 469, 472 e 476, della legge n. 266 del 2005, e dell’art. 4 del Dm n. 86 del 2002, per avere la CTR “disatteso il dettato normativo, ritenendo che la base imponibile per il calcolo dell’imposta sostitutiva relativa all’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione, fosse da assumere al netto anziché al lordo dell’imposta sostitutiva del 12%” (ric., p. 10).
3. Con il primo strumento di impugnazione l’Amministrazione finanziaria lamenta, a quanto è dato comprendere, la nullità della sentenza adottata dalla CTR per aver proposto una motivazione soltanto apparente.
Il giudice dell’appello, nella sua pronuncia, innanzitutto riporta la decisione adottata dai giudici di primo grado, cui aderisce, dalla quale emergono con chiarezza le questioni controverse. Quindi espone le critiche proposte a tale decisione, nel secondo grado del giudizio, da parte dell’Agenzia delle Entrate, e procede poi all’analisi delle censure, con ampio richiamo delle normative primarie e secondarie rilevanti per la decisione. Evidenzia, in particolare, la necessità di distinguere la disciplina fiscale della rivalutazione dei beni da quella che regola l’affrancazione del saldo di rivalutazione. Conclude, quindi, che ai fini dell’affrancazione “la base imponibile dell’imposta sostitutiva è la riserva che figura nello stato patrimoniale ossia al netto dell’imposta”. Per quanto sintetica, la decisione assunta dalla CTR individua ed espone le questioni controverse, è ben comprensibile e risulta condivisibile negli esiti, anche se appare opportuno integrare gli argomenti proposti dal giudice dell’appello, e vi si provvederà esaminando il secondo motivo di impugnazione.
Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto ritenuto infondato, e deve in conseguenza essere rigettato.
4. Mediante il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate critica la violazione di legge in cui reputa essere incorsa la CTR per aver erroneamente ritenuto che la base imponibile su cui calcolare l’imposta sostitutiva, ai fini dell’affrancazione, dovesse essere costituita dal valore iscritto in bilancio quale riserva, in conseguenza il valore netto, e non il valore lordo, pertanto con aggiunta del valore dell’imposta versata al fine di provvedere alla rivalutazione.
Evidenzia a sostegno della propria tesi l’Amministrazione finanziaria che l’art. 1, comma 476, della legge n. 266 del 2005, il quale disciplina l’affrancamento della riserva in questione, opera espresso rinvio al decreto del Ministero delle Finanze n. 86 del 2002. Quest’ultimo testo, all’art. 4, comma 1, prevede, ricorda anche l’Ente impositore, che “il saldo attivo risultante dalla rivalutazione è costituito dall’importo iscritto nel passivo del bilancio o rendiconto in contropartita dei maggiori valori attribuiti ai beni rivalutati e, al netto dell’imposta sostitutiva, deve essere imputato al capitale o accantonato in una apposita riserva” (evidenze aggiunte). Tuttavia lo stesso testo, al comma 2, precisa, sottolinea l’Amministrazione finanziaria, che “2. Nelle ipotesi indicate nell’articolo 13, comma 3, della legge n. 342 del 2000, il saldo aumentato dell’imposta sostitutiva, concorre a formare la base imponibile della società o dell’ente ai soli fini dell’imposta sui redditi” (evidenza aggiunta). Pertanto, secondo l’Ente impositore, “se è vero che ai fini della costituzione della riserva il saldo attivo si considera al netto dell’imposta, è pur vero che la normativa espressamente impone di considerare, quale base imponibile delle imposte sui redditi, il saldo al lordo dell’imposta sostitutiva … l’imposta sostitutiva pagata in relazione alla rivalutazione è indeducibile … accogliendo le conclusioni cui è (erroneamente) pervenuta la CTR, si finirebbe quindi per aggirare … l’art. 1, comma 477, della legge 311/2004 … permettendo sostanzialmente di dedurre dalla base imponibile dell’imposta sostitutiva da versare in caso di affrancamento, l’imposta versata in relazione alla rivalutazione” (ric., p. 14 s.)
4.1. Merita di essere subito evidenziato in proposito, che l’art. 13, comma 3, della legge n. 342 del 2000, invocato dall’Amministrazione finanziaria quale disposizione centrale della propria ricostruzione, senza però riportarne il testo, nel suo ricorso pur ricco di trascrizioni di atti normativi, dispone: “3. Se il saldo attivo viene attribuito ai soci o ai partecipanti mediante riduzione della riserva prevista dal comma 1 ovvero mediante riduzione del capitale sociale o del fondo di dotazione o del fondo patrimoniale, le somme attribuite ai soci o ai partecipanti, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società o dell’ente e il reddito imponibile dei soci o dei partecipanti” (evidenze aggiunte).
Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di esaminare le questioni sollevate dalla ricorrente Agenzia delle Entrate in condivisibile decisione, Cass. sez. V, 18.4.2018, n. 9509, resa tra le medesime parti ed a cui pare opportuno operare esplicito richiamo, e gli argomenti offerti dall’Amministrazione finanziaria, che riproduce le medesime censure che aveva proposto in quel giudizio, non inducono a modificare l’orientamento interpretativo adottato da questa Corte di legittimità, peraltro confermato in ulteriori pronunce. Deve innanzitutto condividersi l’impostazione seguita dal giudice dell’appello che distingue nitidamente, anche ai fini fiscali, la rivalutazione dei beni dall’affrancazione dell’importo di rivalutazione iscritto nel bilancio in apposita riserva. Il presente giudizio attiene soltanto a quest’ultima vicenda.
Proprio il D.m. finanze n. 86 del 2002 invocato dalla ricorrente, prevede espressamente all’art. 4, primo comma, che “ai fini fiscali il saldo risultante dalla rivalutazione è costituito dall’importo iscritto nel passivo del bilancio … al netto dell’imposta”, che deve essere “imputato al capitale o accantonato in apposita riserva ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge n. 342 del 2000”, ed è stata quest’ultima l’opzione prescelta dalla società nel caso di specie. Appare indubbio, pertanto, che il saldo attivo di rivalutazione deve trovare collocazione in bilancio al netto dell’imposta sostitutiva pagata, dovendo pertanto escludersi che a tale valore debba sommarsi quanto pagato a titolo di imposta in conseguenza dell’intervenuta rivalutazione. Ai fini dell’affrancamento, il valore della base imponibile per il calcolo dell’imposta sostitutiva da versare è pari al valore della riserva iscritta in bilancio, calcolato pertanto al netto dell’imposta versata in sede di rivalutazione.
4.2. Il valore della base imponibile calcolato al “lordo”, e pertanto sommandosi l’importo dell’imposta pagata in conseguenza della rivalutazione, viene in rilievo (solo) nell’ipotesi in cui si intenda procedere alla distribuzione ai soci (o ai partecipanti) di quanto accantonato a riserva. Per questa (sola) ipotesi, infatti, la legge rinvia alla disposizione di cui all’art. 13, comma 3, della legge n. 342 del 2000, ove si prevede, sembra opportuno ribadire, che “se il saldo attivo viene attribuito ai soci o ai partecipanti mediante riduzione della riserva … le somme attribuite … aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società o dell’ente e il reddito imponibile dei soci o dei partecipanti”.
4.3. Può quindi confermarsi che l’imposta sostitutiva versata in conseguenza della rivalutazione rientra nella base imponibile soltanto nell’ipotesi di effettiva distribuzione ai soci (o ai partecipanti) del saldo attivo di rivalutazione; nel caso in cui ciò non si verifichi, non può operare il richiamo normativo all’ipotesi di cui al terzo comma dell’articolo 13, legge n. 342 del 2000. In quest’ultima ipotesi, pertanto, deve trovare applicazione la regola generale secondo cui: a. l’imposta sostitutiva di affrancamento del fondo ha quale base imponibile il saldo attivo di rivalutazione; b. il saldo attivo di rivalutazione è iscritto in riserva al nettò dell’imposta sostitutiva di rivalutazione. L’argomento sostenuto dall’Amministrazione finanziaria, “non dà conto dunque dell’elemento di diversificazione intercorrente tra la fattispecie di distribuzione e quella di affrancamento. Atteso che soltanto nella prima ipotesi (distribuzione ai soci della riserva di rivalutazione ancora in sospensione d’imposta, in quanto non affrancata) si pone la finalità, per l’amministrazione finanziaria, di recuperare a tassazione ordinaria l’intero ammontare della rivalutazione; costituito sia dal saldo attivo di questa sia dall’importo già versato a titolo di imposta sostitutiva”, Cass. sez. V, 18.4.2018, n. 9509 (con esiti conformi, da ultimo, Cass. sez. V, 30.7.2021, n. 21866).
Il motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve essere rigettato.
5. Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate deve essere, in definitiva, respinto. Le spese di lite seguono l’ordinaria regola della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni esaminate e del valore della causa.
5.1. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della Performance in L. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, e le liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre al 15% per spese generali, Euro 200,00 per esborsi, ed accessori di legge.
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