CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 marzo 2022, n. 9204
Tributi – Imposte di registro, ipotecaria e catastale – Cessione di terreno agricolo – Rideterminazione del valore – Valore venale – Comparazione con terreno similare trasferito nello stesso periodo – Legittimità
Ritenuto che
Con sentenza n. 84444, depositata il 4/10/2016, la Commissione Tributaria Regionale della Campania Sezione staccata di Salerno, rigettava l’appello di E.P. s.r.l. avverso la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno, con condanna al pagamento delle spese di lite, avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di rettifica e liquidazione, notificato alla contribuente in data 1/8/2013, con il quale l’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, elevava il valore di un terreno agricolo con sovrastante fabbricato, ubicato nel Comune di Pagani, compravenduto con rogito notarile registrato il 26/7/2012 al dichiarato prezzo complessivo di € 489.500,00.
La CTR, a conferma della decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente, rilevava, tra l’altro, che deve trovare nella specie applicazione l’art. 43, d.p.r. n. 131 del 1986, in forza del quale la base imponibile dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale è determinata “dal valore venale del bene o del diritto alla data dell’atto” e che la società contribuente non aveva “offerto elementi idonei a poter contrastare quanto dedotto dall’Ufficio il quale, per la stima a valore di mercato, ha richiamato idoneamente la valutazione di un terreno similare trasferito nello stesso periodo.
Avverso la sentenza la società E.P. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, commi 1 e 3, I. n. 241 del 1990, 52, commi 2 e 2 bis. d.p.r. n. 131 del 1986, per difetto di motivazione dell’avviso impugnato, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., ritenendo che il giudice di appello non ha considerato che l’atto impositivo deve indicare i “presupposti di fatto” e le “ragioni giuridiche” che hanno determinato il provvedimento, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite dall’Ufficio, non essendo sufficiente il rinvio “de relato” all’astratto parametro comparativo costituito dal prezzo di alienazione di altro immobile pretesamente similare.
Con il secondo motivo, censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., In quanto l’atto pubblico utilizzato per la comparazione non risulta essere stato depositato in copia autentica e non è sufficiente l’indicazione del prezzo di alienazione (€ 552.200,00), il numero di registrazione (n. 5399/IT72021) e l’individuazione catastale (NCT al fol. 7 n. 2047), in quanto l’Amministrazione finanziaria deve fornire la prova, nel corso del processo, della fondatezza della propria pretesa.
Con il terzo motivo, censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 51, commi 2 e 2 bis, 52, d.p.r. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto l’Ufficio, utilizzando nell’avviso impugnato formule stereotipate, le quali non danno contezza della omogeneità dell’immobile comparato, ha proceduto ad elevare il valore del compendio immobiliare senza considerare che i cespiti erano occupati da un’impresa familiare agricola, che sono gravati di servitù di elettrodotto e di modeste dimensioni, che comprendono, altresì, un fabbricato collabente.
Con il quarto motivo, deduce falsa ed erronea considerazione del contenuto economico dell’atto di compravendita, arbitrarietà dell’assunto rettificativo e della metodologia applicata per inesistenza dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche addotte a sostegno del maggior valore venale accertato, in quanto l’iter comparativo seguito dall’Ufficio non è basato sulla conoscenza di concreti elementi ma astratto, potendo il prezzo pattuito essere frutto di valutazioni soggettive e rispondere a peculiari circostanze ed esigenze della parti contraenti.
La prima censura è inammissibile.
Il motivo contiene una non consentita sovrapposizione di censure di diritto facendo riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 5, c.p.c., che rimette al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874/2014).
Inoltre, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., la ricorrente, avendo censurato la sentenza della CTR sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di rettifica e liquidazione impugnato, avrebbe dovuto in ricorso riportare testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. n. 16147/2017).
La seconda censura è infondata.
La contribuente si duole, in relazione a quanto disposto dall’art. 2697 c.c., del fatto che l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto fornire la prova, nel corso del processo, della fondatezza della propria pretesa, in particolare, depositando copia autentica dell’atto utilizzato come parametro per l’elevazione del valore venale del bene compravenduto.
La controricorrente assume che per individuare i prezzi praticati nella zona del Comune di Pagani in cui è ubicato il terreno con sovrastante fabbricato è stato richiamato dall’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, quale parametro, altro “atto di trasferimento di terreno similare – stesso foglio – posto in essere dagli stessi venditori il giorno 20/7/2012 innanzi allo stesso Notaio, la cui copia era stata allegata in primo grado”.
Pertanto, se la censura si riferisce alla efficacia probatoria del deposito della mera copia fotografica o fotostatica del rogito notarile in questione, è sufficiente osservare che la parte interessata avrebbe dovuto disconoscere il documento (art. 2719 c.c.) in modo specifico e non generico (Cass. n. 7775/2014), cosa che non risulta essere avvenuto nel giudizio, per cui la conformità all’originale si ha per riconosciuta (Cass. n. 13425/2014), se la censura, invece, si riferisce alla presunta necessità che l’atto comparativo debba essere allegato materialmente e non soltanto richiamato dall’avviso impugnato, è sufficiente ricordare la giurisprudenza di questa Corte sull’obbligo motivazionale dei provvedimenti impositivi qui considerati.
In tema di imposta di registro (ed INVIM), infatti, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 7 della legge n. 212 del 2020, che ha esteso alla materia tributaria i principi di cui all’art. 3 della legge n. 241 del 1990, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato il maggior valore, con le specificazioni che si rendano in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando riservati a quest’ultima fase l’onere dell’Ufficio di fornire la prova della sussistenza in concreto dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, e la possibilità per il contribuente di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (tra le altre, Cass. n. 6914/2011; n. 11560/2016).
In particolare, l’avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta di registro, riguardante atti che hanno ad oggetto beni immobili, adottato a seguito di comparazione con beni simili, deve ritenersi adeguatamente motivato ove contenga la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto utilizzato come parametro di riferimento, e cioè delle parti utili a far comprendere il parametro impiegato per la rettifica, essendo anche in questo modo adempiuto l’obbligo di allegare all’avviso l’atto tenuto in considerazione ai fini della comparazione (tra le altre, Cass. n. 3388/2019; n. 29402/2017; n. 21066/2017).
L’obbligo di motivazione degli atti tributari, inoltre, può essere adempiuto anche per relationem, cioè mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato o questo ne riproduca il contenuto essenziale ovvero siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass. n. 13110/2012), in quanto l’obbligo di allegazione previsto dall’art. 7 della I. n. 212 del 2000, mira a garantire al contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive, laddove, in mancanza, egli sarebbe costretto ad un’attività di ricerca che comprimerebbe illegittimamente il suo diritto di difesa (Cass. n. 11623/2017).
Orbene, nel caso di specie, non è contestato che l’avviso oggetto di causa indicasse, per il cespite considerato parametricamente ai fini della stima comparativa, oltre al prezzo di alienazione (€ 552.200,00), il numero di registrazione (n. 5399/IT72021) e l’individuazione catastale (NCT al fol. 7 n. 2047) del terreno compravenduto (dagli stessi alienanti Ceccatelli) ed assunto come avente caratteristiche similari, in modo tale da mettere la contribuente nelle condizioni di acquisire, eventualmente, gli atti per verificare, in concreto, la veridicità e la congruità dei dati.
Vale, allora, richiamare il principio secondo cui l’avviso di rettifica del valore degli immobili è completo (e quindi legittimo), ai sensi degli artt. 51 e 52 del d.p.r. n. 131 del 1986, nel momento in cui contiene l’indicazione degli atti specifici utilizzati dall’Amministrazione finanziaria e gli estremi della registrazione, per consentire al contribuente che ne ha interesse di richiedere tali atti e di contestarli nel merito nella maniera più opportuna (Cass. n. 12741/2014), essendo il contribuente nelle condizioni di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e così di approntare la difesa senza un inesigibile aggravio (Cass. n. 13342/2017 e n. 25120/2020).
La terza e la quarta censura, scrutinagli congiuntamente in quanto connesse, sono infondate.
Le doglianze della contribuente in punto di corretta applicazione dei criteri di stima di cui agli artt. 51, commi 2 e 2 bis, 52, d.p.r. n. 131 del 1986, non colgono nel segno atteso non si confrontano con la motivazione della sentenza della CTR, la quale si incentra sulla mancata allegazione di elementi probatori in grado di confutare adeguatamente la congruità del valore venale di mercato accertato da II ‘Ufficio sulla scorta di dati oggettivi, ricavati dalla compravendita intervenuta “nello stesso periodo”, di un “terreno similare”, nonché sul rilievo ulteriore della mancata dimostrazione, da parte della società, “contro le risultanze attizie. che il solo fabbricato e non l’attiguo terreno fosse occupato dal sig. C.S.”, circostanza che non risulta affatto smentita.
Né si può richiedere al giudice di legittimità un apprezzamento del materiale istruttorio diverso da quello del giudice di merito, trattandosi di attività discrezionale riservata a quest’ultimo in via esclusiva.
Rimane, infatti, estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si e formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che “la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.” (Cass. n. 20553/2021).
Inoltre, l’impugnazione della ricorrente, formulata mediante la riproposizione di argomentazioni strettamente meritali, investe l’affermazione del giudice di appello secondo cui la prospettazione di elementi incidenti sulla correttezza della stima quali, appunto, la “esistenza di servitù coattiva a favore dell’E., esposizione a campi magnetici, esistenza di un varco di accesso”, non è esaminabile, trattandosi “di motivi nuovi, introdotti per la prima volta in appello e come tali inammissibili”, essendo evidentemente onere della contribuente di allegare e dimostrare che siffatta deduzione non fosse, invece, soggetta alla preclusione prevista dall’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Le spese processuali sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 4.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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