CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 novembre 2018, n. 30238
Ritardato pagamento di contributi INPS – Sanzioni – Deducibilità
Rilevato
che la contribuente reagiva avverso il provvedimento impositivo che riprendeva a tassazione, tra l’altro, la somma di € 217.050,29 relativo a sanzioni per ritardato pagamento di contributi INPS, portati a deduzione dalla contribuente sul presupposto trattarsi di costi inerenti l’attività di impresa;
che il giudice di prossimità apprezzava le ragioni della contribuente in ordine alla deducibilità delle sanzioni INPS, mantenendo l’accertamento per le altre voci;
che, ciascuno per i capi di rispettiva soccombenza, interponeva appello l’Ufficio ed appello incidentale la contribuente, riproponendo anche la domanda di disapplicazione delle sanzioni non penali, ritenuta assorbita in ragione dell’annullamento del recupero a tassazione delle predette sanzioni;
che la CTR accoglieva l’appello dell’ufficio e rigettava l’impugnazione incidentale della contribuente confermando sui punti la sentenza di primo grado, alla cui motivazione rinviava per relationem;
che insorge la contribuente affidandosi a tre motivi di ricorso; che resiste l’Avvocatura dello Stato con puntuale controricorso; che in prossimità dell’udienza la parte contribuente ha depositato memoria.
Considerato
che con il primo motivo si lamenta insufficiente motivazione circa un fatto controverso, ossia se le sanzioni per ritardato versamento di contributi INPS abbia natura afflittiva o risarcitoria, in parametro all’art. 360, comma primo, n. 5 del cod. proc. civ.;
che il motivo non attinge alla ratio deciderteli dell’impugnata sentenza, fondata invece sull’inerenza o meno del relativo costo ai fini della sua deduzione;
che il motivo, così come posto, è quindi inammissibile;
che con il secondo motivo si lamenta violazione di legge dell’art. 75, comma 5, vigente all’epoca dei fatti (ora art. 109) d.P.R. n. 917/1986 per cui le sanzioni Inps sarebbero da considerare sempre come oneri deducibili, proprio in quanto sanzioni civili di carattere risarcitorio e non amministrative di carattere afflittivo;
che nella sostanza, si lamenta aver errato la CTR nel ritenere le sanzioni per ritardato versamento dei contributi Inps come oneri non deducibili, in ragione dell’affermata natura di sanzione civile (e non amministrativa) recepita da questa Corte;
che la predetta natura di sanzione civile – affermata dalla Sezione Lavoro – non comporta per automatica conseguenza l’inerenza della «sanzione» all’attività di impresa, intesa come inevitabilità di un costo per il funzionamento ordinario dell’attività nel perseguimento dell’oggetto sociale (cfr. Cass. 5072/2015);
che, infatti, la natura risarcitoria è condizione necessaria, ma non sufficiente, per ritenere inerente alla – cioè inevitabile per la attività di impresa anche la spesa ulteriore, derivante dal pagamento di somma «aggiuntiva» in ragione del ritardato pagamento di oneri (quelli previdenziali) necessariamente dovuti all’attività di impresa;
che, diversamente opinando, verrebbe svilita proprio la funzione coercitiva della sanzione, consentendo all’imprenditore di valutare se corrispondere tempestivamente, ovvero se lucrare sul differimento del termine ad adempiere, sapendo di poter comunque portar a deduzione il maggior costo delle sanzioni; che, pertanto, il motivo è infondato e va disatteso; che con il terzo motivo si lamenta omissione di pronuncia per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in parametro all’art. 360, comma primo, n. 4 stesso codice di rito;
che, nello specifico, il patrono della contribuente afferma di aver riproposto in appello la domanda subordinata di disapplicazione della sanzione non penale nelle ipotesi previste dall’art. 8 della l. n. 546/1992 e che era stata dichiarata assorbita dall’accoglimento in primo grado dell’annullamento della ripresa a tassazione delle sanzioni;
che, ai fini dell’autosufficienza del motivo, viene riproposto a pag. 12 e 13 del ricorso per cassazione lo stralcio dell’atto di appello (incidentale) con la riproposizione (in via subordinata) della domanda dichiarata assorbita;
che dall’esame della sentenza impugnata non si evince alcun passaggio in cui sia stata presa in considerazione tale domanda; che il motivo è quindi fondato e va accolto; che, in definitiva, il ricorso è fondato per le ragioni attinte dal terzo motivo di gravame.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Lombardia, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese nel presente grado di giudizio.
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