CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 novembre 2018, n. 30279
Licenziamento disciplinare – Ammanco di cassa – Responsabilità – Prova – Irrimediabile rottura del vincolo fiduciario
Rilevato
che, con la sentenza n. 691/2017, la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma della pronuncia n. 127/2017 del Tribunale di Avezzano, ha dichiarato illegittimo, per carenza di giusta causa, il licenziamento disciplinare intimato con nota dell’1.4.2015 dalla E. Lazio spa a L.G., in quanto ritenuta responsabile, quale cassiera del supermercato, di un ammanco di cassa di euro 400,00 e, ai sensi dell’art. 18 comma V della legge n. 300 del 1970, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro e ha condannato la società al pagamento di una indennità risarcitoria nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori; che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione L.G. affidato a due motivi, illustrati con memoria; che la E. Lazio spa ha resistito con controricorso formulando a sua volta ricorso incidentale sulla base di due motivi; che il P.G. non ha formulato richieste scritte.
Considerato
che, con il ricorso principale per cassazione, in sintesi, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 18 comma IV della legge n. 300 del 1970 e ss. nonché degli artt. 2104, 2106 e 2119 cc, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 cpc) perché la Corte di merito, nella fattispecie in esame, accertata la mancanza della giusta causa per insussistenza del fatto contestato, avrebbe dovuto concedere la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 comma IV legge n. 300 del 1970 e non quella di cui al quinto comma della medesima disposizione come, invece, ha applicato; 2) la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 18 commi 5° e 7° legge n. 300 del 1970 e art. 18 comma 6° legge n. 300 del 1970, in relazione all’art. 360 n. 3 epe) per non avere i giudici di secondo grado, nel caso di specie, motivato sulla misura dell’indennità risarcitoria concessa ai sensi dell’art. 18 comma 5° legge n. 300 del 1970;
che con il ricorso incidentale, in sintesi, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 604/1966 nonché dell’art. 227 del CCNL Commercio applicato dalla E. Lazio spa in relazione alla lettera di licenziamento della ricorrente (art. 360 n. 3 cpc) nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione (art. 360 n. 5 cpc), per non avere ritenuto, erroneamente, la Corte di appello tempestivo il licenziamento irrogato alla G. sull’assunto che la prima lettera raccomandata, inviata entro il termine di 15 gg. (previsto dalla contrattazione collettiva) dal 25.3.2015, non fosse idonea a spiegare alcun effetto perché, avendo un indirizzo inesistente, non sarebbe mai potuta entrare nella sfera di riconoscibilità del destinatario, quando, invece, ciò che avrebbe dovuto rilevare ai fini della decisione era la manifestazione di volontà di irrogare la sanzione; 2) la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 nonché degli artt. 112 e 115 cpc (art. 360 n. 3 cpc) nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione (art. 360 n. 5 cpc), per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto sproporzionato il licenziamento irrogato alla G. quando, invece, la stessa ricorrente aveva riconosciuto l’addebito e tutte le risultanze probatorie erano nel senso della dimostrazione della sua responsabilità, così rendendosi inadempiente ai doveri di diligenza ex art. 2104 cc e determinando l’irrimediabile rottura del vincolo fiduciario particolarmente forte per il lavoratore addetto quotidianamente al maneggio di denaro per conto del datore di lavoro; che, per motivi di pregiudizialità logico-giuridica, deve essere esaminato preliminarmente il ricorso incidentale;
che il primo motivo non è fondato: la gravata sentenza è conforme al principio affermato in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 8136/2017), condiviso da questo Collegio, secondo il quale non rileva il momento in cui è maturato il proposito di licenziare il dipendente né l’eventualità esternazione dell’atto a terzi, ma è necessario che l’intento negoziale si traduca in un atto giuridico diretto alla persona nella cui sfera giuridica è destinato a produrre effetti; nel caso in esame, quindi, correttamente la Corte di merito non ha attribuito alcuna rilevanza alla lettera di recesso dell’1.4.2015, inviata ad un indirizzo inesistente, perché non idonea a rappresentare nella sfera di conoscibilità del destinatario il convincimento della esistenza di un provvedimento espulsivo; che il secondo motivo è inammissibile perché sia le denunziate violazioni di legge che l’asserito omesso esame di un fatto decisivo si risolvono, in sostanza, nel richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa (cfr. Cass. n. 8053/2014), ampiamente esaminate dalla Corte territoriale che ha congruamente escluso, attraverso un esame delle risultanze istruttorie, la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti idonei a dimostrare il contestato comportamento infedele della lavoratrice; al riguardo giova, altresì, sottolineare che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante (nel caso in esame la condotta della dipendente) sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. Un. 22.9.2014 n. 19881);
che il primo motivo del ricorso principale è fondato: l’assunto dei giudici di seconde cure, secondo cui il mancato raggiungimento della prova sulla sussistenza di una giusta causa ovvero di un giustificato motivo per la insufficienza di indizi gravi, precisi e concordanti idonei a far presupporre la verosimile sussistenza del contestato comportamento infedele della lavoratrice, con conseguente necessità, da un lato, di operare una valutazione di proporzionalità tra la gravità del fatto e l’entità della sanzione irrogata e, dall’altro, di applicare la tutela indennitaria attraverso la dichiarazione della risoluzione del rapporto ed il riconoscimento di una indennità risarcitoria di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta, non è condivisibile.
Questa Corte con la fondamentale sentenza n. 13178/2017, ha statuito che la legge 20 maggio 1970 n. 300, art. 18 come modificato dalla legge 28.6.2012 n. 92, art. 1 comma 42, riconosce al comma 4 la tutela reintegratoria nel caso di insussistenza del fatto contestato nonché nei casi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore; la non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato rientra nel IV comma quando questa risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che stabiliscano per esso una sanzione conservativa, diversamente verificandosi “le altre ipotesi” di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per le quali l’art. 18 comma 5 citato prevede la tutela indennitaria forte”.
Orbene la Corte di appello, nella fattispecie in esame, una volta accertata la carenza o l’insussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti idonei a far presumere la verosimile sussistenza del contestato comportamento infedele della lavoratrice, ha in sostanza escluso l’ipotesi di sussistenza del fatto materiale contestato, inteso come dato fenomenico imputabile ad un soggetto asseritamente ritenuto autore (cfr. Cass. n. 13383/2017; Cass. n. 29062/2017), con la conseguenza che, nel caso de quo, la tutela applicabile era quella reintegratoria attenuata e non quella indennitaria cd. “forte”; che, pertanto, l’accoglimento del motivo scrutinato determina la cassazione della sentenza impugnata sul punto affinché il giudice del rinvio applichi alla fattispecie concreta il comma 4 dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012; che la trattazione dell’altro motivo del ricorso principale resta, quindi, assorbito;
che, conclusivamente, va rigettato il ricorso incidentale, va accolto il primo motivo del ricorso principale e in relazione ad esso va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità; deve, infine essere dichiarata assorbita la trattazione del secondo motivo del ricorso principale;
che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo, relativamente alla società ricorrente incidentale.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità; rigetta il ricorso incidentale. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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