CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 novembre 2021, n. 35873
Lavoro – Professore universitario – Svolgimento di attività libero professionale in modo occasionale – Contribuzione – Prescrizione
Rilevato che
la Corte d’appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva annullato la cartella esattoriale emessa nei confronti dell’avv. U.P. per oneri contributivi non versati nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, ha confermato l’estinzione del diritto di quest’ultima per intervenuta prescrizione relativamente ai contributi maturati nel periodo 1988-2001, ritenendo dovuti i soli contributi maturati nei periodi 1992- 1993 e 2001-2007, nonché le sanzioni per omessa comunicazione annuale del reddito prodotto nel periodo 2004-2005;
ha confermato per il resto la sentenza appellata;
la Corte territoriale ha accertato che U.P., iscritto all’albo degli avvocati dal 1979 e professore universitario dal 1973 al 2005, aveva sempre svolto l’attività libero professionale in modo occasionale, in ragione sia dell’impegno universitario sia delle cariche pubbliche ricoperte dal 1994 al 2009 quale consigliere regionale e quale parlamentare europeo;
ha, pertanto, ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 22 della l. n. 576/1980, comma 4 – norma agevolativa – la quale prevede che gli iscritti alla Cassa, nei periodi in cui svolgono incarichi elettivi, e, quindi, non svolgono (più) con continuità l’attività professionale, conservano l’iscrizione (“…sono esonerati, durante il periodo in carica, dal requisito della continuità professionale…”);
ha evidenziato, altresì, che, onde evitare il depauperamento derivante dalla ridotta attività professionale connessa allo svolgimento di cariche elettive, la norma ha previsto che i professionisti possano versare volontariamente un contributo alla Cassa rapportato al reddito prodotto;
la Corte territoriale ha quindi concluso che: a) l’avvocato P. aveva da sempre svolto attività professionale in modo discontinuo (e non soltanto mentre ricopriva cariche elettive); b) l’iscrizione d’ufficio era stata legittimamente esercitata da parte della Cassa Forense, avendo il professionista dichiarato redditi superiori alla soglia di obbligatorietà dell’iscrizione; c) l’interessato avrebbe potuto opporsi all’iscrizione d’ufficio soltanto chiedendo la cancellazione dalla Cassa, soluzione alla quale non era mai pervenuto;
in definitiva, l’iscrizione alla Cassa era legittima anche in relazione ai periodi in cui il P. aveva ricoperto cariche elettive, così come era legittima la richiesta di adempimento dell’obbligo contributivo (non prescritto) nei confronti del professionista da parte della Cassa Forense;
quanto all’accertamento dell’intervenuta prescrizione dei crediti la Corte territoriale ha dichiarato: a) prescritti tutti i crediti relativi agli anni 1988-1991 per assenza di atti interruttivi, non essendo, le comunicazioni inviate dalla Cassa il 6 settembre 1999 e il 3 novembre 2003, idonee a produrre l’effetto interruttivo, in quanto non contenenti un’intimazione di pagamento, bensì una richiesta di regolarizzazione della documentazione; b) non prescritti i contributi relativi agli anni 1992 e 1993 per l’esistenza di un atto interruttivo in data 2003 cui ha fatto seguito, nel 2007, rituale richiesta di pagamento; c) non prescritti i contributi dovuti nell’anno 2001 sul reddito dichiarato dal professionista col modello 5, il novembre 2002, dato, questo, non contestato, per effetto dell’atto interruttivo del 14 maggio 2007; d) non prescritti i contributi relativi al periodo 2002 – 2007 perché collocati nel quinquennio dalla comunicazione del 14 maggio 2007, atto con efficacia interruttiva della prescrizione;
la cassazione della sentenza è domandata dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, sulla base di otto motivi;
U. P. ha depositato tempestivo controricorso, illustrato da successiva memoria.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., parte ricorrente deduce “Violazione art. 19 l. n. 576/1980”, per avere, la Corte d’appello, dichiarato intervenuta la prescrizione dei contributi dovuti per gli anni 1998, 1999 e 2000 sebbene l’avv. P., pur regolarmente iscritto alla Cassa, non avesse comunicato i redditi percepiti mediante i cd. modelli 5, ai sensi dell’art. 17 l. n. 576 del 1980;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 4 cod. proc. civ., contesta “Violazione art. 115 c.p.c.”; da quanto sarebbe emerso in atti, la Cassa Forense non aveva mai ricevuto comunicazione da parte dell’avv. P. dei redditi dallo stesso prodotti negli anni 1998, 1999 e 2000, rispetto ai quali pertanto, la prescrizione per i contributi maturati non poteva dirsi mai iniziata a decorrere;
col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 4 cod. proc. civ., lamenta “Nullità della sentenza” per mancanza totale di motivazione là dove la Corte territoriale ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dalla Cassa forense relativamente all’inefficacia delle annualità prescritte ai fini dell’anzianità pensionistica per carenza di interesse ad agire della Cassa, data l’assenza di una richiesta di pensione da parte dell’avv. P.; la difesa di parte ricorrente si chiede per quale ragione l’accertamento dell’inefficacia delle annualità di contribuzione prescritte (ai fini previdenziali) dovrebbe essere condizionato alla richiesta concreta di pensione;
col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.”; la fattispecie, sostiene la difesa della Cassa forense, non concernerebbe soltanto il quantum, ma anche l’an dell’intero rapporto previdenziale, dunque la motivazione resa in merito al rigetto della domanda riconvenzionale sarebbe meramente apparente; rileva che, non essendo prevista l’automaticità della prestazione previdenziale per i liberi professionisti, il mancato versamento dei contributi obbligatori impedirebbe in radice la costituzione del rapporto previdenziale e, comunque, la maturazione del diritto alle prestazioni;
pertanto, la Corte d’appello, avendo dichiarato la prescrizione dei contributi relativi agli anni dal 1989 (da intendersi correttamente 1988) al 1991, avrebbe poi dovuto pronunciarsi su tutti gli effetti del rapporto previdenziale tra le parti conseguenti alla prescrizione; sussisterebbe perciò un legame tra l’inefficacia ai fini pensionistici e l’irricevibilità dei contributi prescritti, la quale è indisponibile e rilevabile d’ufficio;
col quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., contesta “Violazione art. 100 c.p.c.”, affermando che erroneamente la Corte d’appello, che aveva convenuto col primo giudice circa la carenza di interesse ad agire da parte della Cassa, abbia ritenuto al tempo stesso di dovere pronunciarsi sul merito della controversia;
col sesto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., denuncia “Violazione artt. 2, 10 e 11, l. n. 576/1980, dell’art. 2116 c.c., dell’art. 27, co.2, r.d.l. n. 636/1939 e art. 3 d.lgs. n. 80/1992”; il motivo ritorna sul rigetto nel merito della domanda riconvenzionale proposta dalla Cassa da parte della decisione, che avvalorerebbe l’erronea conclusione per la quale il mancato versamento dei contributi incide soltanto sul quantum della prestazione pensionistica, ma non anche sull’anzianità contributiva;
col settimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., deduce “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 regolamento deliberato dal Comitato dei delegati della cassa forense del 16.12.2005, approvato con delibera ministeriale del 24.07.2006, successivamente modificato con il regolamento deliberato dal Comitato dei delegati del 23.09.2011, approvato con delibera ministeriale del 27.12.2011”; il motivo evidenzia che la Corte d’appello – fermo restando che la fattispecie deriva da un’omissione contributiva totale – avrebbe erroneamente richiamato due sentenze della Corte di Cassazione che hanno affermato che le sanzioni per il parziale omesso versamento sarebbero quelle contemplate dalla l. n. 689 del 1981, in quanto non espressamente derogate da norme di pari grado; parte ricorrente sostiene che la giurisprudenza richiamata è stata superata dal successivo orientamento di legittimità che ha ritenuto la materia devoluta all’autonomia regolamentare delle casse privatizzate;
con l’ottavo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., contesta “Violazione e falsa applicazione artt. 2 e 3 d.lgs. n. 509 del 1994 e dell’art. 3 co.12 l. n. 335 del 1995; censura l’erronea l’affermazione, contenuta nella sentenza, secondo cui solo le norme primarie e non anche quelle secondarie o regolamentari potrebbero introdurre deroghe alle prime, le quali prevedono che il parziale versamento dei contributi possa incidere soltanto sul quantum della prestazione, ma non anche sul diritto alla prestazione (e quindi sull’anzianità contributiva);
i primi due motivi, esaminati congiuntamente per evidente connessione, meritano accoglimento;
alla luce dei precedenti di questa Corte concernenti la verifica del possesso del requisito della continuità dell’attività professionale ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia in capo al professionista iscritto all’albo, si evidenzia il rilievo assorbente della regolare e tempestiva comunicazione del reddito conseguito alla Cassa forense;
ai sensi dell’art. 3 l. n. 319 del 1975, così come modificato dall’art. 22 l. n. 576 del 1980, soltanto dalla regolarità di tale adempimento, infatti, sorge in capo alla Cassa l’obbligo di revisione dei versamenti effettuati dal richiedente nei periodi anteriori al quinquennio che precede la domanda di pensione (Cass. n. 13517 del 2019; Cass. n. 30714 del 2017 e Cass. n. 4092 del 2016);
la circostanza di fatto accertata dalla Corte territoriale, secondo cui l’avv. P. non aveva mai comunicato alla Cassa Forense i redditi per gli anni oggetto di censura, impatta sulla corretta applicazione dell’art. 19 l. n. 576 del 1980, il quale sancisce che se la dichiarazione è difforme al vero il dies a quo di decorrenza della prescrizione è quello della sua trasmissione alla Cassa Forense (Cass. n. 27218 del 2018);
il criterio costituisce un adattamento alla categoria dei liberi professionisti, della regola generale prevista per i rapporti di lavoro subordinati, per i quali vige il principio generale di automaticità delle prestazioni previdenziali;
tutt’affatto diversa è l’ipotesi in cui la dichiarazione dei redditi sia stata totalmente omessa dal professionista, atteso che, in una siffatta circostanza, proprio in virtù del rilievo conferito a tale adempimento ai fini dell’individuazione del dies a quo, va escluso che il termine di prescrizione abbia iniziato a decorrere;
di conseguenza, avendo la fattispecie ad oggetto proprio redditi non dichiarati dal professionista, la Cassa Forense ben può rivendicare i contributi maturati, per l’evidente ragione che rispetto ad essi la prescrizione non ha mai iniziato a decorrere;
l’orientamento affermato da questa Corte ritiene che “L’art. 19 della legge 20 settembre 1980, n. 576, che contiene la disciplina della prescrizione dei contributi, dei relativi accessori e dei crediti conseguenti a sanzioni dovuti in favore della Cassa nazionale forense, individua un distinto regime della prescrizione medesima a seconda che la comunicazione dovuta da parte dell’obbligato, in relazione alla dichiarazione di cui agli artt. 17 e 23 della stessa legge, sia stata omessa o sia stata resa in modo non conforme al vero, riferendosi solo al primo caso l’ipotesi di esclusione del decorso del termine prescrizionale decennale, mentre, in ordine alla seconda fattispecie, il decorso di siffatto termine è da intendersi riconducibile al momento della data di trasmissione all’anzidetta cassa previdenziale della menzionata dichiarazione.”(Cass. n. 6259 del 2011);
i motivi dal terzo all’ottavo rimangono assorbiti, in ragione dell’accoglimento dei primi due motivi;
in definitiva, accolti i primi due motivi e assorbiti tutti gli altri, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Catanzaro, che provvederà anche in merito alle spese del presente giudizio;
in considerazione dell’esito del giudizio, si dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Catanzaro, che provvederà anche in merito alle spese del presente giudizio.