CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 novembre 2021, n. 35989
Esposizione all’amianto – Rivalutazione contributiva – Domanda – Criteri di ripartizione dell’onere probatorio
Rilevato che
1. con sentenza n.1347 del 2014, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda svolta dall’attuale ricorrente, tecnico aeronautico meccanico alle dipendenze di A., per il riconoscimento del diritto alla rivalutazione contributiva secondo il coefficiente 1,5 nei termini di cui all’art. 13, co.8 legge n.257 del 1992, ovvero di 1,25 per l’ esposizione ad amianto in periodo infradecennale;
2. per la Corte di merito il gravame non era sufficientemente specifico in riferimento all’espletata consulenza tecnica che, alla stregua di valutazioni tecniche, aveva rilevato un’esposizione inferiore ai parametri di legge, non superabile attraverso la prova testimoniale, neanche protratta in periodo decennale quanto all’esposizione più significativa e, infine, non risultavano neanche svolte specifiche censure all’elaborato peritale che aveva tenuto conto dell’intera vicenda personale del dipendente;
3. avverso tale sentenza P. A. ha proposto ricorso, affidato a sei motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale ha opposto difese l’INPS con controricorso;
Considerato che
4. con il primo motivo, deducendo plurime violazioni di legge, il ricorrente censura la Corte di merito per non avere considerato che, costituendosi in primo grado, l’INPS non avesse contestato, in modo specifico, le circostanze da cui derivava l’esposizione qualificata;
5. il motivo è privo di decisività in quanto la Corte territoriale non ha pronunciato su tale profilo e, in ogni caso, in tema di non contestazione, la decisione è pienamente conforme ai principi ripetutamente affermati da questa Corte (fra tante, Cass. n. 5929 le 2015 e numerose successive conformi) secondo cui la mancata contestazione o la contestazione generica possono assumere rilevanza solo se siano specifiche le allegazioni dell’attore; non ne assumono se riguardino espressioni qualificatorie o definitorie, o circostanze implicanti un’attività di giudizio;
6. del resto, costituisce principio ormai acquisito quello secondo il quale in tema di benefici contributivi in relazione alle lavorazioni cui sono stati addetti i lavoratori e alle condizioni dei relativi ambienti di lavoro, con esposizione qualificata ultradecennale a polveri di amianto, nell’esaminare la fondatezza della domanda il giudice di merito deve accertare, nel rispetto dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, ex art. 2697 cod. civ., se colui che ha proposto la domanda, oltre ad avere provato la specifica lavorazione praticata e l’ambiente in cui ha svolto, per più di dieci anni, tale lavorazione, abbia anche dimostrato che in tale ambiente erano presenti polveri di amianto con valori limite superiori a quelli normativamente previsti (fra tante, Cass. n. 23933 del 2014 e numerose successive conformi);
7. con il secondo mezzo si deducono plurime violazioni di legge, anche di rango costituzionale, per la mancata ammissione di altri mezzi di prova e per l’adesione alle conclusioni rassegnate dall’ausiliare officiato in giudizio senza tener conto della riconosciuta esposizione decennale in cause analoghe;
8. il motivo è inammissibile perché non si confronta con il decisum che ha escluso, nella specie, l’esposizione decennale all’amianto e, per di più, ha rimarcato la carente specificità del gravame in riferimento alla consulenza espletata in primo grado e alle relative conclusioni tecniche rassegnate, proposizione avverso la quale il ricorrente, in questa sede di legittimità, non ha svolto alcuna idonea censura, a confutazione del rilevato difetto di specificità, mediante la deduzione del tenore del gravame o richiamandone i passaggi salienti, in contrapposizione alla diversa affermazione evincibile dalla motivazione;
9. del pari, il terzo mezzo, che svolge censura per plurime violazioni delle norme del codice di rito, rinnovando la denuncia di mancata considerazione dei precedenti simili, è da rigettare, in continuità con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui risulta del tutto irrilevante la circostanza dedotta che, nei confronti di altri colleghi di lavoro, operanti nel medesimo ambiente lavorativo, sarebbe stata riconosciuta l’esposizione a rischio con decisioni assunte in altri giudizi (di primo grado), posto che dall’avvenuta esposizione di un lavoratore non è lecito inferire, in assenza di ulteriori precisi elementi di prova, il verificarsi, per altro lavoratore, di un’identica esposizione (per tutte, Cass. n. 2685 del 2017 ed ivi ulteriori precedenti);
10. i motivi quarto e sesto, con i quali si critica il segmento temporale accertato dall’ausiliare officiato in giudizio in riferimento all’esposizione all’amianto, si condensano nell’espressione di un mero dissenso volto a contestare, nel merito, la decisione impugnata, chiedendo un nuovo esame dei dati fattuali, già implicitamente o esplicitamente valutati nella consulenza tecnica, e introducendo rilievi non decisivi;
11. si tratta, pertanto, di doglianza da ritenersi inammissibile alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio può essere contestata, in Cassazione, soltanto in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza del settore, la cui fonte va indicata in ricorso, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi; mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce, appunto, un’inammissibile critica del convincimento del giudice (ex plurimis Cass. n. 14372 del 2020 ed ivi ulteriori precedenti);
12. il quinto motivo deduce nullità della sentenza per mancata pronuncia sul capo di gravame formulato ex art. 416 cod.proc.civ. in riferimento a Cass.,Sez.Un., n.11353 del 2004 e richiama, per relationem, il contenuto del gravame che intende riscritto, indica dove reperirlo e rinvia ai termini con cui è stata svolta la prima censura ma, come già dianzi precisato, e a cui per completezza si rinvia, non è affatto chiaro se si intende ribadire il denunciato difetto di contestazione di cui al primo mezzo ovvero dolersi, evocando le Sezioni unite richiamate, il mancato esercizio di poteri officiosi nei limiti disegnati dalle Sezioni unite, per cui il motivo si palesa inammissibile;
13. al riguardo, comunque, va riaffermato che nel rito dei lavoro l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio deve avvenire contemperando il principio della ricerca della verità con quello dispositivo, sicché lo stesso non può riguardare fatti non allegati tempestivamente dalle parti o non acquisiti al processo in modo rituale ( Cass., Sez.Un., n. 11353 del 2004) e questa Corte ha anche precisato che detto esercizio involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione nei casi in cui la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione (fra tante, Cass. n. 10001 del 2016);
14. nel caso di specie, la Corte territoriale ha motivato sulle ragioni per le quali la prova testimoniale non poteva essere ammesso in ordine ai parametri di esposizione mentre, per converso, sulla natura delle mansioni svolte la prova era stata disposta dal primo giudice e il consulente tecnico aveva tenuto conto dell’attività svolta dal lavoratore;
15. infondata anche la doglianza relativa alla mancata rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio giacché per essere la consulenza non un mezzo di prova, ma finalizzata all’acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la decisione sulla necessità o meno della rinnovazione, che ben può essere omessa, anche a fronte di una esplicita richiesta della parte, ove l’indagine tecnica effettuata nel primo grado di giudizio risulti completa ed esente da critiche (Cass. n.10001 del 2016 cit. ed ivi ulteriori precedenti);
16. infine, quanto al vizio motivazionale dedotto con l’ultimo mezzo (del quale in parte si è già detto) va ricordato che nel caso di specie trova applicazione, in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata, l’art. 360, n. 5 cod.proc.civ. nella formulazione attualmente vigente, e la censura non risulta articolata con modalità coerenti a tale formulazione, secondo la lettura che della stessa è stata data dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass., Sez.Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) posto che parte ricorrente omette di individuare quale sia il fatto storico decisivo, oggetto di discussione tra le parti, il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di seconde cure nel pervenire alla statuizione di rigetto del gravame;
17. le spese vengono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza;
18. ai sensi dell’art.13,co.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi dell’art.13,c o.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13, co. 1, se dovuto.
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